lunedì 31 dicembre 2012

Poesia in ipnosi



Il prefetto lesse con preoccupazione la nota informativa proveniente dalla Protezione Civile. Da diverse zone del paese arrivavano segnalazioni di persone gravemente ustionate col caffé nero bollente, d’uomini e donne ricoverate con profonde ferite alla schiena e al petto causate da frustate. Gli interventi dei Vigili del Fuoco si erano raddoppiati, molte abitazioni erano andate in fumo di recente per l'utilizzo smodato di candele e lumini. Il prefetto alzò il telefono per chiamare il capo della Polizia: con voce allarmata gli lesse il dispaccio della Protezione Civile e lo invitò a dare disposizioni perché fossero accelerate le indagini su questi episodi. Il capo della Polizia si mise subito in azione: convocò una riunione con i suoi collaboratori più stretti per fare il punto della situazione. Furono sentiti i funzionari interessati alle indagini: tutti, però, sembravano brancolare nel buio. Fu deciso di attivare una speciale cellula investigativa, una struttura segreta tipo "X FIles", per risolvere il mistero legato a quegli eventi. Felice S. il responsabile  della "Struttura Theta", questo era il nome della cellula segreta della Polizia, era un quarantenne alto, bruno ed atletico: si era addestrato negli Usa, all'uso di nuove tecnologie d'indagine. Fece contattare dai suoi collaboratori i commissariati interessati alle indagini per avere tutti i nominativi delle persone ricoverate e i dati relativi alla provenienza, alla professione, alla situazione giudiziaria. Apparentemente non vi era alcun collegamento tra loro: erano uomini e donne che provenivano da ogni regione del paese, avevano seguito corsi di studio diversi, svolgevano ogni genere di professione. Le ustioni causate dal caffé nero bollente, però, erano inconsuete: nei rapporti di polizia si parlava addirittura di bagni nel caffé: che razza di caffettiera avranno utilizzato, fu il primo pensiero di Felice S.! Gli venne in mente la canzone di Fiorella Mannoia "Caffé nero Bollente": potrebbe trattarsi di una setta segreta ispirata alle canzoni della cantante, ma le frustate, le candele e i lumini, cosa c'entrano? Cercò in rete i testi delle altre canzoni della Mannoia, per capire se nascondessero delle allusioni sadiche, li fece esaminare da esperti, ma senza alcun risultato. Fece indagare sui club  di scambisti a sfondo sadomaso, ma nessuno dei ricoverati n’aveva mai fatto parte. Non gli restò che procedere all'interrogatorio di tutte le vittime per cercare quei collegamenti che sino a quel momento gli erano sfuggiti. Volle sapere nei dettagli cosa avessero fatto nelle ventiquattro ore precedenti il ricovero, i luoghi frequentati, le persone incontrate, i siti web navigati. Scoprì che erano tutti iscritti ad un sito di poesia: lo avevano visitato il giorno in cui erano stati male. Tra loro c'erano delle vere star del sito web
"Metaforando": nessuno però ricordava quali versi stava leggendo poco prima dello strano impulso a farsi del male di cui era stato vittima. Felice si mise a leggere i testi pubblicati nei giorni precedenti e successivi alla maggior parte dei ricoveri: nei suoi occhi si poteva leggere il disgusto per il materiale edito, da appassionato di letteratura e da poeta dilettante, non poteva sopportare certi scempi di parole. Tornato a casa si preparò una caffettiera da dodici tazze di caffé e se lo versò sul braccio: la moglie accorsa in suo aiuto alle urla di dolore, si vide assalire da Felice, trascinare 
di corsa in camera da letto, strappare i vestiti di dosso e colpire con la frusta sulle natiche. Stupita gliela strappò di mano e lo colpì più volte con forza gridando "Finalmente, erano anni che sognavo di poterti frustare così"! La notte caliente lasciò qualche strascico sul fisico di Felice, ma lo convinse di aver già trovato il bandolo della matassa nell'indagine che stava conducendo. Aveva letto la poesia che aveva prodotto gli effetti collaterali all'origine della sua istruttoria, doveva solo capire quale era! Tornato in ufficio controllò sulla cronologia del browser i versi letti il giorno prima: ad attirarlo fu una composizione dal titolo "Ipnosi", accompagnata da una canzone dei Tangerine Dream. Cominciò a leggere:

Atmosfere tenebrose
Fiochi lumi incendiano
La nostra dimora

Danziamo su tappeti
Di suoni ipnotici
I versi di Satana.

Frustami
Fammi male, picchiami
Sino alla morte
Cullami nel caffé
Nero bollente di mamma.

Annegami
In una pozzanghera di letame
Fammi lo shampoo
Con lo scarico del wc.

Ho bisogno di sentire
Nella mia cloaca
Il fetore nauseabondo
Delle tue feci
Per espiare il peccato
Di essere nato.

I versi erano firmati con il nickname “Angel dark”. Il mistero era risolto: bastò togliere quei versi dal sito “Metaforando” e impedire all’autore di pubblicarne altri per riportare la situazione alla normalità. Non si potrà impedirgli in futuro di pubblicare con un diverso nickname su analoghe piattaforme di scrittura poetica, ma la “Struttura Theta” ormai sta monitorando continuamente la situazione. Un software studiato ad hoc, è in grado di segnalare i versi, le cui metafore rischiano di mettere a repentaglio l’altrui incolumità.

sabato 29 dicembre 2012

Un talento al dente



E’ proprio vero che il fiore del talento può sbocciare dappertutto. Dopo una vita spesa ad imbiancare stanze, a pitturare porte e inferriate, a mischiare colori, mi ritrovo ad abbinare parole, a costruire metafore, a verseggiare in rima, a spostare accenti. Chi l’avrebbe mai detto solo alcuni anni fa? Mi chiamo Eugenio (un nome, un destino) e sono il maggiore di sette fratelli: a Natale quando si riunisce tutta la famiglia, in genere, ci tocca affittare la sala di un ristorante per non stare troppo stretti. Da ragazzo non ho potuto completare gli studi: a dire il vero non li ho quasi iniziati, visto che non sono andato più in là della prima media. Col tempo, però, ho saputo affinare il mio talento: nelle cene tra colleghi di lavoro, ad esempio, sono sempre stato il più bravo nel trovare le rime, sotto l’effetto del vino. Non amo leggere: in genere do un’occhiata alle pagine sportive e di gossip di giornali e riviste, quando sono al bar o vado dal barbiere. Da qualche anno, però, è cambiato tutto: un giorno, ero in pensione da pochi mesi, navigando su internet, mi sono imbattuto per caso in un sito di poesia. E’ bastato leggere pochi versi per accorgermi che potevo fare di meglio: mi sono iscritto e messo subito all’opera per pubblicare. Che soddisfazione vedere edita la mia prima poesia! Rileggendola, anche oggi, provo gli stessi brividi di commozione. Che ne pensate?

L’angelo del focolare

Sei l’angelo del focolare
Lavi, cucini e spazzi.
Tieni a bada i nostri ragazzi
Quando vado a lavorare.

Odori di sudore e di fatica
Quando torno dal lavoro
Ma ugualmente t’imploro
Di darmi l’amore e la fica.

La tua bocca alita d’aglio
I seni sembrano pere sfatte
ma m’abbevero a quel latte
come se fossi ancora un giglio.

T’amo sempre come il primo giorno
Ti sposerei cento altre volte
Lo ripeterei ancora mille volte
Quando guardiamo un film porno.

Che successo! Cento letture in un giorno, dieci commenti entusiastici: chi mi paragonava a quel poeta, chi ad un altro. Non ci capivo molto: i miei ricordi di poesia si fermano alle elementari, a qualche verso di Pascoli o del Leopardi. Il talento, però, può sbocciare dovunque, ed io ne ho da vendere.
Sono diventato una macchina di scrittura: sforno dalle dieci alle quindici poesie al giorno. Sul sito, però, se ne può pubblicare solo una al dì: mi sono messo a cercare, dunque, altri luoghi dove poter far conoscere il mio materiale. Dovunque un successo, tanti commenti fantastici per i miei lavori. C’è qualcosa di strano, però, nei commenti: capita spesso di riceverne d’identici su siti diversi e su poesie d’argomento opposto. Strane coincidenze, pensai le prime volte: poi, però, la curiosità mi spinse ad indagare, a chiedere a qualche poeta amico, la spiegazione. Scoprii, dunque, che c’era una specie di commentario ufficiale: invece di spremere le meningi, bastava cercare il commento più appropriato tra le centinaia trascritti sul sito “Un commento per ogni autore”. Col passare del tempo, letture e commenti sono diventati merce rara: le grida di giubilo, puntualmente, s’indirizzavano verso un nuovo autore. Cercai, attraverso le mie fonti una spiegazione: se non commenti gli altri, mi dissero, nessuno ti commenterà più. Fui costretto a diventare un habituè del sito “Un commento per ogni autore”, ad accorrere in soccorso di poeti con un talento inferiore al mio. Un giorno, una domenica se non ricordo male, ebbi l’idea risolutiva: perché non sfruttare il mio esteso clan familiare per tornare in testa nella classifica di letture e commenti? Detto fatto: convinsi figli e nipoti ad iscriversi ad alcuni dei siti di poesia in cui presento i miei lavori con dei nickname, pubblicai a loro nome le poesie in esubero che corsi subito a commentare entusiasticamente. Ogni azione è studiata nei dettagli: una volta pubblicato un testo, esco dal sito per rientrarvi con la password di un parente, quindi inserisco un commento prima di fare il logaut. Ripeto l’operazione per i parenti che non sono reperibili al momento. Agli altri, invece, invio un sms tipo “Pubblicato, butta giù la pasta” Nel giro di pochi secondi arrivano una trentina di commenti. C’è ancora da affinare qualcosa, però: a volte viene ricopiato più volte lo stesso commento da persone diverse. Sto studiando insieme a mio figlio un software che blocchi i commenti doppi: tra breve, anche questo problema potrà andare in soffitta. Volete sapere quale mia poesia ha il record delle letture e dei commenti? Undicimilatrecentoventidue letture e cinquantasei commenti: sapeste quanti nickname ho dovuto inventarmi per arrivare a quel numero di letture! Era meno faticoso fare l’imbianchino!

In ginocchio da te

Io voglio per me le tue carezze
si, io t'amo più della mia vita !

Ritornerò in ginocchio da te,
l'altra non è
non è niente per me,
ora lo so
ho sbagliato con te
ritornerò in ginocchio da te

e bacerò le tue mani amor
negli occhi tuoi
che hanno pianto per me
io cercherò
il perdono da te
e bacerò le tue mani amor.
Io voglio per me le tue carezze
si, io t'amo più della mia vita.

Io voglio per me le tue carezze
si, io t'amo più della mia vita.


Dite che è una canzone di Morandi? Lo so, ma sapete quante canzoni ho pubblicato a mio nome, senza che nessuno battesse ciglio! Un talento al dente, ecco ciò che sono: basta buttare giù la pasta, attendere qualche minuto, per avere sfornata una poesia da premio Nobel.

venerdì 28 dicembre 2012

Cinque piccoli indiani in viaggio



Alle cinque di mattina dell’Epifania, cinque piccoli indiani con la valigia in mano, in fila per uno, in marcia verso la stazione. La pioggia sottile intristisce il paesaggio; mamma saluta dal balcone, ha già ago, filo e forbici vicini alla macchina da cucire. Ricordo quanto era diversa l’atmosfera del viaggio d’andata: spensierata, ilare, sbarazzina. Riepilogo nella mente il da farsi: una volta raggiunta la fermata dell’autobus, c’è il “2” che può trasportarci diritti in stazione. Due biglietti solo andata per Taormina e due per Messina, più il mio, di andata e ritorno. Dopo aver accompagnato in collegio i quattro piccoli indiani, domani prenderò l’autobus che mi porta ad Acireale, il luogo della mia reclusione. E’ già qualche anno che ho questo compito: lascio il collegio con un giorno di anticipo per recuperare i miei fratelli in giro per la Sicilia e vi faccio ritorno con qualche giorno di ritardo, dopo averli riportati a destinazione. Ogni volta mi tocca discutere col controllore dei biglietti: forse non ha torto, quando sostiene che è un rischio mandare in giro da soli cinque ragazzi così piccoli. Fortuna è che è sempre filato tutto liscio: i nostri viaggi in ogni occasione sono stati protetti da una buona stella. Qualche anno prima, invece, quando viaggiavamo con mamma, ricordo che ci toccò tornare a Catania dopo mezzanotte, a causa di un guasto al treno. A quell’ora non vi erano più mezzi pubblici in servizio per rientrare a casa: dovemmo spendere una cifra per prendere una carrozza. Nel silenzio della notte, gli zoccoli del cavallo sull’acciottolato di via Etnea e le nostre grida d’incoraggiamento, erano come le note di un’allegra canzone, di un inno alla fantasia e alla gioia. Qualche anno prima, invece, avevamo accettato per il giorno di Pasqua l’invito a pranzo della madrina di Natalia la più piccola delle sorelle, a Giardini Naxos: dopo l’abbuffata di rito, a qualcuno venne la stramba idea di andare a vedere la festa degli “spampanati” a Messina. Il nostro mezzo di trasporto era un “Ape”, il numero dei passeggeri, conducente escluso, era di una dozzina. Durante il viaggio, però, da un'automobile che ci precedeva, volarono via dei biglietti da mille lire: il guidatore frenò subito, grandi e piccini ci precipitammo a raccogliere il denaro e a dividercelo. Il raccolto, con gran gioia di tutti, fu superiore alle trentamila lire: molti furono spesi in dolci, lo stomaco al ritorno a casa, ancora borbottava per gli straordinari. Torniamo al giorno dell’Epifania del 1970: il treno per Messina è alle sette, l’arrivo a Giardini Naxos, prima tappa del viaggio è previsto per le otto della mattina. Il Collegio di Natalia non è distante dalla stazione, bastano cinque minuti per raggiungerlo a piedi. Dopo, però, bisogna spostarsi a Taormina per accompagnare Salve: se il meteo lo permette, possiamo prendere una scorciatoia che ci consente di arrivare a destinazione in venti minuti. In caso contrario, dobbiamo aspettare l’autobus di linea. Tornati in stazione dopo aver accompagnato Salve in collegio, prendiamo il primo treno per Messina: è il turno di Massimo ed Erminio. Un’ora dopo circa, si può completare l’opera: sono l’ultimo indiano ancora libero, anche se con le lacrime agli occhi. Il rientro a casa è previsto per le diciassette, dodici ore dopo la partenza: anche a tredici anni si può essere stanchi, dopo una giornata tanto convulsa. A volte i miei figli mi chiedono perché non amo viaggiare: se avranno la bontà di leggermi, potranno capire che ai miei occhi, l’idea del viaggio è associata a quella del distacco dagli affetti, dell’addio a chi si vuol bene.

giovedì 27 dicembre 2012

Peripezie e gioie di cinque piccoli indiani.



Una terrazza, una speciale palla di carta, tre piccoli indiani su cinque: ecco gli ingredienti per il calcio a tre, sport di nostra invenzione. Funzionava così: si prendevano una decina di fogli di giornale, si arrotolavano uno sopra l’altro sino a trasformarli in una palla, si coprivano con una busta di plastica. Un nodo fatto con i manici del sacchetto serviva a rendere la sfera più robusta e consistente. Massimo, il più piccolo degli indiani maschi, era il portiere designato, a me ed Erminio, invece, toccava inventare gli schemi da utilizzare, quando in compagnia di Salvo, che abitava nella casa di fronte, sfidavamo con un pallone vero gli altri ragazzi del quartiere. Era un lavoro serio: nell’inventare schemi ed azioni di gioco, mettevamo la stessa passione di Nereo Rocco o di Nils Liedholm, gli allenatori di calcio che più ammiravamo in quel periodo. La terrazza era grande quanto l’intero appartamento: quaranta metri quadri. Gli errori di mira erano favoriti dalla speciale composizione della palla di carta: non era raro, dunque, vederla volare oltre i confini della terrazza. Quando superava le ringhiere a sinistra finiva per strada: per fortuna, però, non abbiamo colpito mai in testa nessuno, né beccato in pieno una macchina di passaggio. Bastava farsi le due rampe di scale che dividevano la terrazza dalla strada per tornare a giocare come se nulla fosse successo. Era più complicato, invece, quando la palla cadeva dal lato opposto: finiva sulle tegole di una casa sottostante sfitta. Il problema era che non potevamo recuperarla: per continuare a giocare occorreva farne subito un’altra. Dall’alto, però, potevamo ammirare lo spettacolo: sulle tegole di quella casa erano parcheggiate non meno di una cinquantina di speciali palle di carta. Ogni tanto il proprietario era costretto a chiamare qualcuno perché le togliesse. Gli incidenti erano all’ordine del giorno: a volte poteva succedere che invece della palla su quelle tegole finisse una scarpa. In quel caso ci toccava cambiare sport e improvvisarci alpinisti, oppure cambiare scarpe o sperare che mamma, come successe una volta, arrivasse dal mercato con un paio di scarpe nuove, proprio cinque minuti dopo che la mia scarpa destra era finita sulle tegole della casa sottostante. Grazie a quell’allenamento intensivo nelle partite a calcio eravamo quasi imbattibili: ci riusciva di sconfiggere anche ragazzi ben più grandi di noi. Allora non esistevano i campi di calcetto: credo, anzi, che quello sport, non fosse ancora stato inventato. Giocavano nelle piazze o negli spiazzi grandi: per fortuna in quel quartiere non mancavano. Non sognavamo di diventare calciatori: ci bastava divertirci, stare insieme, fare ciò che ci piaceva. La terrazza non era solo il nostro campo d’allenamento per il calcio: all’occorrenza diventava una pista d’atletica leggera, una pedana di salto in alto, con un cestino della biancheria appeso ad un gancio diventava pure un terreno adatto per il basket. Forse abbiamo inventato anche il karaoke: per coinvolgere le nostre due piccole indiane organizzavamo anche delle gare di canto e di recitazione. Lontano da quel regno incantato tutto era più difficile: ciò che avevamo intorno era più un girone infernale che una proiezione del paradiso in terra. Andare al cinema, ad esempio, era una vera e propria impresa: nella sala più vicina ed economica, venivano proiettati due film al giorno. Uno comico, l’altro d’azione: Franco e Ciccio, Lando Buzzanca per la prima categoria, un western, un film di kung fu, per la seconda. Piccoli bulli, delinquenti in calzoni corti, erano tra i più assidui frequentatori della sala: se qualcuno dietro di noi poggiava i piedi sul nostro sedile, ci toccava star zitti e far finta di niente, se volevamo portare a casa la pelle. Molti di quei ragazzi, probabilmente, sono stati assidui frequentatori delle patrie galere o hanno già raggiunto un nuovo girone infernale, dopo quello frequentato su questo lato dell’universo. Il nostro regno degli Elfi e degli Gnomi, però, era ad orologeria: finita l’estate o le vacanze di Natale, ci toccava smontar tutto e rimandare il proseguimento alla puntata successiva. C’era il Collegio ad attenderci: roba da racconti di Dickens, non da educande svizzere. Una casa sfitta con le tegole coperte da palle di carta: se c’è un’immagine che identifica la mia adolescenza e quella degli altri quattro piccoli indiani che l’hanno condivisa con me, è proprio questa.

mercoledì 26 dicembre 2012

Dalila, Sansone e Wonder Woman




Guardo Sansone dormire beato: è bastato un bicchiere di vino drogato, per spedirlo direttamente nel mondo dei sogni. Ho già in mano le forbici per tagliargli i capelli, ma non riesco a decidermi: sono profondamente innamorata dell'uomo che ho sposato, ma il dovere è dovere. Che muscoli, che forza ha il mio Sansone: anche dopo estenuanti battaglie, guerre di cappa e spada, trova le energie per fare l'amore con me. La patria chiama, sono una Filistea, il mio popolo è in guerra con quello di Sansone, ma dove posso andare a pescare un altro amante così appassionato e inesauribile? Certo Sansone non è una cima, legge solo i salmi, è spietato con chi intralcia il suo lavoro, quando è impegnato con gli affari di stato non trova tempo nemmeno per me. Se è nervoso mi insulta, se è tranquillo m'ignora: non sa resistere da buon maschio alle avance delle ragazze ed in genere, dopo aver sbirciato i suoi muscoli, non sono poche le fanciulle che avanzano...e si offrono. Meriterebbe che gli tagliassi i capelli solo per questo, ma lo amo troppo per farlo: che volete farci, la determinazione non è la mia dote migliore! Un vento impetuoso e improvviso invade la stanza: l'ingresso di Wonder Woman, la sorella bionica, di Dalila è sempre un po' sopra le righe. Wonder Woman è l'esuberante fustigatrice di uomini che terrorizza questa parte di mondo. A vederla non lo si crederebbe: non è un gigante di statura, non è quasi mai in peso forma, il suo viso è quello della ragazza della porta accanto. Ha braccia e gambe bioniche, una forza capace di rivaleggiare con quella di Sansone; a differenza del cognato, però, la usa solo per una giusta causa. A suo dire io sono già una causa persa: succube di mio marito, incapace di oppormi a ogni sua decisione, col fegato spappolato per le sue numerose avventure sessuali. Che volete farci, sono così: quando mio marito torna a casa la sera gli faccio trovare la cena in tavola, lo coccolo un po', gli chiedo di raccontarmi quanti innocenti ha condannato, quanti nemici ha trafitto con la sua spada invincibile, quanti cuori femminili ha sedotto, quante volte, insomma ha fatto l'amore. Tengo un diario in cui annoto tutto: secondo i calcoli aggiornati a oggi, sulla mia testa pende il peso di duemilacentoventuno corna. Non so quale sia il record mondiale, ma di sicuro sono tra le prime in classifica. Wonder Woman non lo sopporta, m'invita ogni giorno a ribellarmi, a pretendere il rispetto che un uomo deve alla moglie. Mi trova con le forbici in mano, Sansone è addormentato: me le strappa in un lampo, il suo braccio bionico esegue in pochi secondi la tosatura dei lunghi capelli di Sansone. Strepito, urlo e mi dispero: la forza di Sansone, dico a Wonder Woman, è nei suoi lunghi capelli neri! Mia sorella gongola, ride a crepapelle, corre a prenderlo a sberle, lo gonfia di schiaffi e pugni sino a rendere la sua faccia un pallone, lo incatena per tradurlo nelle galere dei Filistei. Sono disperata: chi mai crederà che non io, ma mia sorella ha tagliato i capelli di Sansone, ha fatto arrestare mio marito? Il popolo di Sansone è in ginocchio, solo un miracolo a questo punto può salvarlo dalla sconfitta. Il trionfo di Wonder Woman è anche il mio: ho deciso di fare buon viso a cattivo gioco, di godermi la popolarità che l'azione di mia sorella mi ha regalato presso il popolo. Il processo a Sansone è fulmineo: già cieco per le torture inflittegli in carcere, è condannato a morte. Prima della pubblica esecuzione, però, i Filistei decidono di infierire: dieci giovani ragazze dai vestiti succinti gli si strusciano addosso, mentre un flauto suona note sensuali e conturbanti. Sansone cieco e in catene freme: l'istinto del conquistatore di cuori femminili, non è scomparso. La folla applaude e schernisce il prigioniero: mi aveva mentito, la sua forza non era nei capelli, ma nei peli del pube e quelli non sono stati toccati dalle forbici di Wonder Woman.
È un gioco per Sansone liberarsi dalle catene e avvinghiarsi alla prima ragazza che gli capita sotto mano: la folla sbanda, i genitori coprono gli occhi dei bimbi, le ragazze non ancora sposate, aguzzano la vista. Non basta l'intervento di cento soldati a ridurre a più miti consigli Sansone: la sua forza è davvero mostruosa. Quando già le dieci ragazze succinte pregustano le gioie dell'amplesso, un vento impetuoso scuote la piazza: già la folla grida slogan a favore di Wonder Woman. Lo scontro finale ha inizio: Sansone e Wonder Woman possono finalmente affrontarsi a viso aperto. La folla parteggia per l'eroina dei Filistei, solo le dieci ragazze succinte tifano per il condottiero degli Ebrei. Il match è avvincente: furiosi corpo a corpo sono accompagnati dalle urla di stupore degli spettatori non paganti. Nessuno sembra avere la meglio: la lotta è equilibrata, ma dura: qualcosa, però, non quadra. Certi corpo a corpo sono strani, sembrano quasi degli amplessi, le urla di Wonder Woman sembrano dei mugolii di piacere. Le dieci ragazze succinte si agitano, io, invece, mi precipito sul teatro di lotta: "gran troia" urlo a mia sorella. "Era questo il tuo vero obiettivo, volevi fregarmi il marito". Sansone, intanto non è più cieco: Wonder Woman col suo braccio bionico ha rimesso ogni cosa a posto. Rivolto alla folla può urlare "Muoiano tutti i Filistei, esclusi Dalila e Wonder Woman". La strage di nemici è sanguinosa, la guerra si conclude con la vittoria del popolo di Sansone. Tutti vivono felici e contenti: io e Wonder Woman ci dividiamo a turno le grazie di Sansone. Gli Ebrei chiudono un occhio: a loro basta che mio marito non dia più la caccia alle loro mogli e figlie per appagare il suo robusto appetito sessuale.

lunedì 24 dicembre 2012

Cinque piccoli indiani in fila per uno


Cinque piccoli indiani, in fila per uno, in marcia verso le gioie del Natale. La meta? Il panificio: dista da casa meno di cento metri, ma con l'ingombro delle teglie, la distanza, pur breve, sembra interminabile.  Nelle teglie ci sono i tesori desiderati da un intero anno, specialmente, quando lo stomaco si agita, brontola per la fame e il rancio o la sbobba del collegio non è di gradimento. Cinque piccoli indiani anoressici o quasi: a Salve, la sorella più grande, serve una cura di ferro. Grazie a Dio, i farmaci in fiale prescritti dal medico, le piacciono  così tanto che mamma deve tenerli sottochiave per evitare che ne faccia una scorpacciata. Massimo, il fratello più piccolo va in giro con vestiti di un paio di taglie più larghi: lo fanno sentire ancora più magro, ma più grande. In genere tocca a me aprire il corteo di Natale, perché sono il più vecchio con i miei tredici anni. La strada per arrivare al panificio è stretta ed a senso unico, per giungere alla meta, però, bisogna attraversare Via Vittorio Emanuele II. Serve qualcuno  che faccia da guida ai fratelli più piccoli, che magari aiuti Natalia, che ha solo sei anni, ad attraversare la strada. Mamma tiene molto alle tradizioni: in questa zona della Sicilia Orientale si usa aspettare la nascita di Gesù,  in famiglia, giocando a tombola e a sette e mezzo, tra un pezzo di pizza e di "scacciata" e l'altro. Due teglie di pizza con pomodoro e mozzarella, tre di "scacciate" alla siciliana, con cavolfiori e salsiccia, broccoli e spinaci, sono appunto quello che stiamo portando ad infornare al panificio. Mamma ha cominciato a lavorarci di mattina, non appena le ho consegnato tutti gli ingredienti necessari: di solito, nonostante i miei tredici anni sono io ad occuparmi della spesa, del pagamento della pigione o del disbrigo dei documenti.   Frutta e verdura li compro al mercatino vicino la chiesa dei Cappuccini, a trecento metri da casa: stavolta, anche Erminio e Massimo mi hanno aiutato a portare le buste della spesa. Pane, pasta, salumi e scatolette, invece, li acquisto nella bottega sotto casa: ha prezzi alti, ma nei paraggi non c'è alcun supermercato e senza auto non è possibile raggiungere quello più vicino. A casa abbiamo il cucinìno a tre fornelli: nella cucina a forma triangolare di un paio di metri quadri c'è appena lo spazio per un lavello e la bombola a gas.  Preparare da mangiare è quasi un'impresa, si può cuocere solo una pietanza per volta. La lista delle cose da cucinare è lunga: il pomodoro per la pizza, i cavolfiori e i broccoli affogati col vino, gli spinaci lessi. La pasta per pizza va fatta lievitare per alcune ore, lavorata col matterello per renderla sottile e poi stesa su una teglia spalmata d'olio d'oliva. Nelle pizze su quello strato di pasta va aggiunto pomodoro, mozzarella, origano e basilico, nelle "scacciate", invece va messo il condimento prescelto, in questo caso verdure, formaggio e salsiccia, prima di richiuderle con un altro strato di pane in pasta. Il sole è appena tramontato, quando raggiungiamo il forno a legna del panificio: dobbiamo fare la coda, in genere passano un paio d'ore prima di vedere infornate le nostre teglie. Ci guardano con tenerezza: di sicuro cinque piccoli indiani anoressici armati di teglie più grandi di loro non passano inosservati. Giochiamo con le figurine Panini per ingannare il tempo: le mischiamo a turno, le dividiamo in tre mazzetti, decidiamo quante figurine puntarci: vince chi pesca il nome del calciatore più lungo. Oggi, probabilmente ci metteremmo a chattare con lo smartphone con un amico in vacanza ai Caraibi, o giocheremmo con la console Nintendo 3ds. Il profumo del forno è speciale, una fragranza d’odori speziati, ma forti, davvero inconfondibili. Fuori, come da tradizione, sta iniziando a piovere, le tovaglie che abbiamo non servono solo a proteggerci dalle scottature, ma anche a difendere le teglie dalla pioggia: se noi ci bagniamo, pazienza! Cinque teglie per altrettanti piccoli indiani appena sfornate: le sistemiamo con cura, paghiamo il conto, prima di correre verso casa. Il passo del ritorno è più veloce, non solo per la fame, ma anche per evitare scottature. Mamma ci aspetta davanti al televisore in bianco e nero: allora le trasmissioni a colori neanche esistevano. È già tutto apparecchiato, bisogna solo tagliare pizze e scacciate, aspettare qualche minuto che si raffreddino, prima di dare inizio alle danze. Da anoressici per necessità non ce la caviamo male: il record mondiale di velocità nel divorare una pizza è in serio pericolo. Solo i maschi però: Salve non partecipa alla gara. Prima d’ogni morso di pizza, medita, pensa e ragiona, persino riflette su come digerirlo. Forse riesce a battere il record opposto: ha tempo sino al trenta dicembre per concludere la cena della Vigilia. Natalia taglia la pizza in piccoli pezzi: così dura di più. Fa lo stesso con la granita in estate, travasandola in un nuovo bicchiere a piccole dosi, cui aggiunge un po' d'acqua per farla durare di più.
In genere finisce di far colazione poco prima di mettersi a tavola per pranzo. Dopo aver sparecchiato si gioca: la tombola è d'obbligo, ma il finale è scontato: a dividersi ambo, terna, quaterna, cinquina e premio finale sono Erminio e Natalia, quanto a me, in genere, riesco ad imbroccare appena qualche numero. La musica non cambia nemmeno quando giochiamo a tombola con le carte: però ridiamo di gusto, quando mamma a voce alta, grida "duella, triella, quattrella", invece d’ambo, terno, etc, magari dopo che la posta è già stata vinta. Chiudiamo con il "sette e mezzo", perché a quel punto, dopo non aver vinto alcuna mano, dopo avere pescato solo tre e quattro, immancabilmente io o Massimo, dopo aver gettato all'aria le carte, ci alziamo dal tavolo, mentre già Erminio e Natalia contano le monete vinte. A mezzanotte in punto si apre il panettone e si brinda al Natale: prima di tornare a giocare a carte. Voglio rifarmi delle perdite, sconfiggere una volta tanto la sfiga con i soldi che nel frattempo mamma mi ha dato a compensazione di quelli persi. L'unica che ci rimette alla fine dei conti è solo lei. Si va avanti sino alle tre, prima di andare a letto, ma la magia si ripete anche nelle sere successive: pizze e scacciate, in genere durano per qualche giorno e giocare a carte nelle fredde serate invernali, nel piccolo appartamento riscaldato con una stufa a gas, è un piacere.  Piccoli indiani anoressici per necessità, a stomaco pieno solo per qualche giorno l'anno, ma felici: così con ironica nostalgia ricordo i miei Natali di un tempo.

venerdì 21 dicembre 2012

Dracula, l’utilizzatore finale e Mariastella la Vergine


Sono stella, in declino, ma ancor lucente: persino nel partito c’è chi ancor a mi fa l’inchino, il baciamano e chi il ruffiano. Col capo ci ho provato, ma con questo fisico è dura: ho una mia dignità, non potevo certo mettermi a cercagli “accompagnatrici” solo per fare carriera. Non mi lamento, ho avuto il mio tempo di celebrità: ricordo ancora tutti quei ragazzi in strada con le mie foto, il mio nome sulla loro bocca ogni giorno. Le avrei baciate tutte quelle bocche giovani: che eccitazione è stata armarsi di parrucca, inforcare gli occhiali, per infiltrarsi nei loro cortei in incognito. Ho corso i miei rischi: una volta, un poliziotto della celere mi ha preso per i capelli e mi ha sbattuto con forza per terra: poi dopo aver visto il mio tailleur bleu firmato Valentino, le scarpe by Prada, non ha infierito. Che peccato! Pensate se accidentalmente mi toglieva la parrucca: mi avrebbero riconosciuta tutti, chissà che festa mi avrebbero fatto! Sapeste quante belle letterine ho ricevuto, tanti inviti a andare di qui e di là: la maggior parte però arrivavano da un comune chiamato ”Quelpaese”. Evidentemente, in quella località, sono proprio popolare, un giorno di questi mi decido e ci vado! Non c’è stata ministra più amata di me! Eppure non ho mai pianto davanti alla telecamere, anzi, ho tirato su il morale a tutti. Pensate a quando mi sono inventata il tunnel che collega Ginevra col Gran Sasso: avete creduto davvero che non sapessi che non esisteva? Mi ero messo d’accordo con Crozza; io facevo da spalla per le sue battute. Che risate ragazzi! Come quando si discuteva in Parlamento della mia riforma; giuro che non capivo una sola parola di ciò che leggevo, di commi e codicilli non ho mai compreso nulla. Dite che mi sono laureata in giurisprudenza? Davvero? Come Ghedini? Quanto mi piace Ghedini! Insieme siamo perfetti per interpretare un film dell’orrore. Non pensate che con un titolo tipo “Dracula, l’utilizzatore finale e Mariastella la Vergine” non sbancheremmo il botteghino? Ghedini mi fa scompisciare dalle risate, a sentir lui il capo è un santo, le ragazze che frequenta sono delle collegiali in gita premio per buona condotta. Il bello è che ci crede: una volta, ricordo, è stato invitato dal capo a una delle feste per ragazze di buona famiglia in trasferta. Dovevate vedere il suo volto paonazzo, quando una delle partecipanti iniziò a sfilarsi la biancheria che indossava sulle note di “You can leave your hat on” di Joe Cocker. Certo, quel signore lì è proprio un genio,  cominciò a spogliarsi anche lui, occhieggiando al capo, forse aveva bevuto qualche bicchierino di troppo, forse si era inventato all’istante una nuova strategia difensiva. Come mi sono eccitata a vederlo nudo! Quando ho cominciato a togliermi il tailleur grigio firmato Versace, però, qualcuno ha pensato di far suonare le note di “Sono una donna non sono una santa” solo per smontarmi e farmi desistere dall’impresa. Tutta invidia! Pazienza, sarà per un’altra volta mi sono detta.  Un altro del mio partito che mi sta simpatico è Bersani: senza di noi Crozza, forse sarebbe già disoccupato. Non lo crederete, ma anche noi contribuiamo, in qualche misura a difendere i posti di lavoro di questo paese. Non è del nostro partito? Dite davvero che Pier Luigi, è il capo dell’opposizione? E da quando? Ha sempre militato a sinistra? Che stupida che sono! Su Facebook, in chat privata, gli ho sempre raccontato i retroscena del consiglio dei ministri, i disegni e i decreti legge che avevamo intenzione di licenziare. Una volta gli ho chiesto persino un appuntamento, una cena a lume di candela in un piccolo ristorante fuori mano, ma ha rifiutato. Mi ha detto di essere felicemente sposato: sono rimasta sorpresa, non sapevo che ci fosse ancora qualcuno che poteva essere felice stando sempre con la stessa donna. Il capo ieri mi ha convocata: con le lacrime agli occhi ha ricordato i tempi belli del nostro governo, le leggi ad personam inventate da Ghedini, la riforma della scuola che porta il mio nome, le risate ogni volta che Bossi si alzava a parlare e Maroni era costretto a tradurlo dal lumbard all’italiano. Si è scusato con me: “ Non posso candidarti per le prossime elezioni, ho tante brave ragazze da sistemare e non so dove piazzarle. Devi capirmi, ora sono fidanzato e devo rendere conto a Francesca". Ci sono rimasta un po' male, ma poi ho pensato, che c'è sempre Pier Luigi che mi aspetta a braccia aperte. Gli ho spedito un messaggio in chat su Facebook: solo dopo mi sono accorta che mi ha depennato dall'elenco delle amicizie. Che delusione la politica! E' il regno dell'ipocrisia e del tornaconto! Quasi quasi m'iscrivo alle magistrali: così posso sfilare in corteo senza parrucca e occhiali scuri e gridare slogan contro la riforma di Mariastella, me medesima al tempo della gloria che fu!

giovedì 20 dicembre 2012

L’amore al tempo dello zar



In un lungo e morbido abito da sera nero, con la coccinella in bella vista a  insinuare pensieri impuri nella mente degli spettatori di entrambi i sessi, grazie a profondi e sensuali spacchi, la bionda Sofia Vassilieva, entrò ancheggiando nello studio tenendosi per mano con Alan Smith, con cui condivideva la conduzione della trasmissione “ Quattro passi nella storia” e molto altro. Ebbe inizio così l’ultima puntata del programma. Annunciate dalla viva voce di Alan “Le nudità danzanti”, il corpo di ballo di punta del momento, si esibirono in una coreografia di propria ideazione dal titolo “ Dopo veniamo da voi per un’offerta, siate generosi!” Toccò a Sofia comunicare l’opera letteraria su cui s’incentrava la trasmissione: Anna Karenina di Lev Tolstoj. Alan Smith riassunse per sommi capi la trama del romanzo per i telespettatori che ancora non la conoscevano. Anna, moglie del conte Karenin, conobbe alla stazione di Mosca, in circostanze rese drammatiche dalla morte accidentale di un operaio finito sotto a un treno, l’ufficiale dell’esercito Aleksej Wronskij, lo stesso che la sorella Kitty sogna di sposare. Lusingata dal corteggiamento dell’ufficiale si abbandonò a una relazione appassionata: presto incinta di Wronskij, chiese al marito il divorzio, ottenendone un netto rifiuto. Karenin le impedì di vedere il figlio, accrescendone le frustrazioni: quando le complicazioni per il parto misero la vita di Anna in pericolo, però, il marito sembrò ravvedersi, Wronskij tentò il suicidio. Karenin, influenzato dalla contessa Ivanovna, ritornò presto sulla sua decisione, quando la moglie si rimise in salute e si oppose nuovamente al divorzio: la relazione tra Anna e Wronskij, intanto cominciò a scricchiolare, per le ostilità ambientali e per la gelosia sempre più insistente di lei. Confusa e disperata, Anna  si tolse la vita alla stazione di Mosca, gettandosi sotto un treno: l’amore tra lei e Wronskij, sbocciato in circostanze simili nello stesso luogo, finì nel modo più drammatico. Sofia scossa dai singhiozzi cominciò a recitare inginocchiata la scena del suicidio in russo: nella sua patria, si era laureata col massimo dei voti in Letteratura e aveva scritto la tesi, proprio su Anna Karenina. La regia inquadrò subito la coccinella: così per alleggerire la tensione, poi, fu Alan a sbrogliare la matassa traducendo dal russo all’italiano il testo recitato. Il pubblico trattenne il fiato, Sofia non resse alla tensione e abbracciò lo studioso britannico declamando in russo “ Aleksej ya tybyà luyblyu”. Poi lo baciò.
Dal pubblico partì una standing ovation, il lungo applauso, però, fu interrotto dalla regia per lanciare i consigli per gli acquisti.
La trasmissione riprese con una nuova esibizione delle "Nudità danzanti" dal titolo “Non applauditeci soltanto, ma invitateci a cena, inviate un bonifico al conto corrente che sta scorrendo sul vostro teleschermo”. Un nuovo rapper deliziò subito dopo i telespettatori col brano “Se mangio la scheda elettorale è per fame, non per protesta”, un cantante neomelodico intenerì il pubblico con la canzone “Concetta, ma quando me la dai?”. Sofia Vassilieva, ritornata in sé, col suo italiano balbettante, parlò al pubblico dell’amore per la letteratura della sua terra, della scoperta fatta, quando stava scrivendo la tesi di laurea, di un manoscritto di Tolstoj successivo alla data di pubblicazione del romanzo che presentava una diversa lettura della storia di Anna Karenina. Insieme ad Alan, proseguì, abbiamo chiesto alla compagnia teatrale “ I lupi razzolano nell’aia”  di metterlo in scena per voi.
Wronskij attendeva alla stazione di Mosca l’arrivo della madre, quando, a causa del trambusto creato dalla morte di un operaio finito sotto a un treno, conobbe Anna Karenina, la sorella di una sua spasimante. La scintilla scattò al primo sguardo, tra Aleksej e Anna fu passione a prima vista. La madre di Wronskij, però, si mise di traverso, insieme al conte Karenin organizzò un piano per fare fallire la tresca, dopo la notizia della gravidanza di Anna. Utilizzarono la sorella Kitty, per allargare i suoi sensi di colpa e per costringere con degli stratagemmi Aleksej a tradirla, ma inutilmente. Il parto che spinse Anna vicino alla morte, bloccò per un po’ la macchinazione; Karenin e Kitty si tirarono indietro, Wronskij, tentò il suicidio. Anna, però, guarì; il marito che aveva acconsentito al divorzio, tornò sui suoi passi, la madre di Wronskij, riprese a trafficare proponendo al figlio un’amante dietro l’altra, giungendo a pagare fior di prostitute, pur di  farlo cadere in tentazione. La gelosia di Anna fece il resto: prese a torturare Aleksej, lo costrinse a lasciare Mosca per sottrarlo alle attenzioni del sesso opposto. Non bastò: la madre di Wronskij era proprio un osso duro da battere. Tentò allora una manovra diversiva, chiese un colloquio alla madre dell’amante e la raggiunse a Mosca. L’incontro avvenne alla stazione, ma tra le due donne non ci fu alcun accordo: furiosa Anna, spinse la madre di Aleksej sotto il primo treno in arrivo sul binario centrale della stazione di Mosca. L’amore trionfò, ma Anna finì nella patrie galere; Wronskij si accontentò di sposarne la sorella e di crescere insieme a lei, la figlia avuta con la donna amata.
I telespettatori votarono la seconda versione della storia: le suocere di qualunque epoca o nazione, evidentemente, non attirano molti consensi. Sofia e Alan si baciarono e salutarono il pubblico felici, dopo aver provveduto ai ringraziamenti di rito, quando una trasmissione chiude i battenti. Giornali e siti on line del giorno dopo uscirono listati a lutto: “ Quattro passi nella storia” ha chiuso col botto, scrissero, ci mancherà.

venerdì 14 dicembre 2012

Questione di naso



Le "Nudità danzanti" aprirono sotto gli applausi scroscianti del pubblico la quinta puntata di "Quattro passi nella storia" la trasmissione più seguita nella settimana precedente dell'emittente televisiva "Videofront". Si esibirono in un balletto di loro ideazione dal titolo "Se c'invitate a cena almeno pagateci il conto". Sofia Vassilieva in abito lungo, nero e con profondo spacco inguinale entrò in studio mano nella mano con Alan Smith in smoking bianco e papillon nero. Le telecamere si soffermarono a lungo sulle lunghe gambe di Sofia, inquadrando il nuovo tatuaggio che raffigurava una coccinella, che faceva bella mostra di sé proprio in prossimità del pube. Nel suo pronunciato accento russo introdusse l'argomento della puntata, prima di passare la parola all'amato Alan. Lo studioso britannico cominciò a descrivere le virtù di provetto spadaccino, di rude guerriero, di poeta istrionico che fecero di Cyrano de Bergerac un mito. Un mito con un tallone d'Achille: un lungo naso che lo rendeva brutto e ridicolo dinanzi al gentil sesso. Il suo cuore, però, batteva ugualmente per la cugina Rossana, bella e sensibile, amante della poesia e dell'arte. Non bastarono imprese leggendarie, duelli all'arma bianca contro fichi spadaccini, versi che come diretti al mento atterravano e atterrivano nobili, cardinali e generali con l'elmetto. Rossana gli chiese un appuntamento: il suo cuore esultante, però, fu subito tradito dalla confidenza che non lui, ma Cristiano era la luce dei suoi occhi, l'amante diletto. Cristiano chi? Chi è costui? Fu il primo pensiero di Cyrano. È un cadetto, coraggioso e leale, mettilo sotto la tua protezione, lo implorò Rossana facendogli gli occhi dolci. Cyrano lo protesse, provò ad educarlo all'arte della spada e a quella del corteggiamento, a quella scrittura poetica che Rossana tanto amava. L'allievo era fiero e prestante, ma parco di belle parole, di frasi ad effetto per il cuore trepidante di donne col fazzoletto in mano. Fu costretto a sostituirlo mentre recitava un sonetto, declinava il suo amore in frasi in rima: solo nel letto, era Cristiano a prendere la parola e l’arma. Rossana era rapita dalla bellezza del suo volto, il naso perfetto, i pettorali in bella vista, l'eloquio elegante, i versi che dal cuore dell'amante si riversavano nel suo. Il destino però è crudele con chi inganna: Rossana è tanto innamorata della sua poesia che lo amerebbe anche da brutto, almeno così dice, ma se scoprisse la verità, che Cyrano e non Cristiano è l'autore dei versi che le fanno impazzire il cuore di gioia, manterrebbe la parola o non fuggirebbe a gambe levate, gridando al mostro, al lupo? Il fato spense Cristiano, Cyrano non ardì tradire la memoria dell'amico scomparso, Rossana si rinchiuse in convento. Cyrano l'andò a trovare ogni settimana, pago già solo di poter vedere in volto e parlare con l'amata cugina. Sul punto di morte si tradì, ripetendo a memoria una lettera che solo Cristiano poteva conoscere. Spirò tra le braccia di Rossana, ma mai non seppe se lei avrebbe potuto amarlo per ciò che fu, un prode e brutto guerriero, un audace e sensibile poeta, un uomo vero, tutto e niente.

Sofia aveva le lacrime agli occhi, ma accese il sorriso per annunciare i consigli per gli acquisti.
Tornarono  a esibirsi le "Nudità danzanti", a sorpresa, per scacciare la malinconia, in una loro composizione dal titolo " Boh, non ci siamo ancora messe d'accordo". Alan declamò dei versi scritti apposta per Sofia intitolati " Ma quanto mi piace la coccinella".
Ricompostosi, riprese il racconto. Conoscete tutti il capolavoro di Rostrand, disse, ciò che non potete immaginare è che ho scoperto in una vecchia soffitta di Parigi, un copione più recente della commedia ed ho chiesto alla compagnia teatrale " I gufi sorridenti" di sceneggiarla per voi.
La prima scena fu uno choc: era Rossana ad aver il naso enorme ed aquilino, a verseggiare con animo fine e frasi toccanti, a bramare l'amore di Cyrano, bello e impossibile. Cristina era l'amica del cuore di Rossana, l'unica a cui aveva confidato la sua pena, l'amore impossibile per il prestante cugino. Cristina, era anche l'amore segreto di Cyrano, la donna che sognava di notte, che sperava di stringere tra le braccia quanto prima. Cristina amava Cyrano, ma tra l'incudine della lealtà verso l’amica e il martello dell’amore verso il cugino di Rossana, non sapeva decidere da che parte stare. Fu Cyrano a chiedere udienza a Rossana per pregarla d'intercedere a suo nome con Cristina, per favorirne l'unione. Il cuore di Rossana si piegò ma non si ruppe: non prima di avere promesso al suo amato, l'aiuto che gli chiedeva. Cristina era un'amica leale, disposta a rinunciare all'amore per non fare torto a colei che riteneva una sorella: parlarono, si scrissero, entrarono sempre più in confidenza, ma non decisero a chi spettava la primogenitura sul cuore di Cyrano. Di duello in duello, con l'animo rattristato dall'amore non corrisposto di Cristina, Cyrano osava e osava, spinto dal demone della follia, dalla furia dolorosa della passione. Il fato non ebbe pietà del suo ardire: un giorno una spada assassina gli trafisse il cuore. Lo piansero entrambe: Rossana scriveva i versi e Cristina li recitava in teatro, in privato. Unirono le loro passioni: ne invocarono il nome prima d’ogni momento d'intimità, come vedove inconsolabili dello stesso uomo. A Cristina non importava quanto fosse lungo il naso di Rossana, a Rossana non faceva alcun effetto sapere che Cristina andava a letto in sottana,  che usava il suo stesso reggicalze per uscire. Gli bastava che nel suo cuore ci fosse posto solo per Cyrano e per lei. La fine della commedia fu accolta dal silenzio: nessuno applaudì, Sofia sbiancò in volto. Il voto del pubblico in studio e a casa fu un vero plebiscito: tutti i consensi andarono alla versione conosciuta della commedia. Un uomo brutto ma geniale muove a commozione, una donna racchia suscita solo ilarità. Alan Smith s'infuriò minacciando le dimissioni, per calmarlo, Sofia Vassilieva fu costretta a mostragli la coccinella. I giornali del giorno dopo lodarono la saggezza degli spettatori, ma stroncarono il programma: la farfallina, scrissero, è meglio della coccinella. 

mercoledì 12 dicembre 2012

Romeo e Juliet fra tragedia e farsa



Sofia Vassilieva e Alan Smith mano nella mano attraversarono lo studio accompagnati dalle note di "Vattene Amore" di Amedeo Minghi e Mietta. La produzione aveva deciso di affidare ad entrambi la conduzione della trasmissione "Quattro passi nella storia", dopo che Alberto Rana era stato designato per la presentazione di "Intimo notte" la trasmissione culturale quotidiana più prestigiosa dell'emittente, in onda dalle due del mattino. Il video che li ritraeva impegnati in un'interminabile respirazione bocca a bocca era ormai un cult della televisione d’ogni tempo; tra loro secondo i giornali rosa usciti in settimana, era scoppiata impetuosa la passione. Sofia iniziò a parlare, nel suo italiano stentato con spiccato accento russo, non appena furono abbassate le luci in studio. Spiegò al pubblico le novità della trasmissione: la nuova conduzione, la scelta di raccontare storie un po' più leggere, meno violente o misteriose. Il pubblico da casa, attraverso il televoto, doveva decidere quale tra due versioni alternative di una storia era la più convincente o la preferita. Le "Nudità danzanti" si esibirono in un'applaudita performance intitolata "E ora a noi chi ci paga, se in cassa non c'è più una lira". Alan Smith guardò Sofia Vassilieva negli occhi e le spedì un bacio con la mano, prima d'introdurre il tema della nuova puntata. Vi narreremo la storia di Romeo e Giulietta, del loro amore tragico, ebbe appena il tempo di dire, prima che Sofia scoppiasse in singhiozzi. Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti erano i giovani rampolli di famiglie che si combattevano e si odiavano, esordì lo studioso inglese. Per questo e per le imminenti nozze di Giulietta con Paride, il loro amore e il matrimonio che ne seguì dovette restare segreto. Il fato avverso li precipitò nel dramma: Romeo, condannato all'esilio per l'omicidio in duello di Tebaldo, fu spedito a Mantova. Il piano architettato da Padre Lorenzo per evitare le nozze tra Giulietta e Paride, con la falsa morte della ragazza, non funzionò per un disguido: saputo del suicidio di Giulietta, anche Romeo si tolse la vita. Giulietta, al risveglio dopo la fine dell'effetto della pozione che ne aveva procurato la falsa morte, scorto il corpo senza vita di Romeo, si uccise. Questa è per sommi capi, continuò, lo studioso britannico, la storia narrata da Shakespeare: io, però, ho rinvenuto un secondo e più tardo manoscritto di sir William, che presenta un finale diverso. È questo testo che la compagnia teatrale "Non si fa credito a nessuno" ci reciterà, subito dopo i consigli per gli acquisti. Nelle prime fasi della recitazione il testo seguiva il copione originale: la lite tra i servi dei Capuleti e dei Montecchi, la preparazione della festa dai Capuleti, la malinconia di Romeo innamorato di Rosalina e quella di Giulietta promessa in moglie dal padre a Paride. Alla festa Romeo incontrò Giulietta: la scintilla però, non scoccò, forse si piacquero, ma il Montecchi aveva occhi solo per la sua Rosalina. Padre Lorenzo fu chiamato ad una delicata mediazione: venne incaricato dal vescovo di Verona di sondare la possibilità di un accordo tra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi. Dopo avere ascoltato le lagnanze d’entrambi i capifamiglia, propose una soluzione radicale della contesa: un matrimonio tra una Capuleti e un Montecchi! Dopo attente riflessioni fu raggiunto l'accordo e siglato il contratto matrimoniale tra le due casate. Toccò a Padre Lorenzo il compito d'informare Paride, promesso sposò di Giulietta, dell'avvenuto cambio di programma. Il giovane si disperò, confidò al francescano, di amare alla follia la giovane Capuleti, d’essere pronto a darsi fuoco sotto il balcone di Giulietta per dimostrare tutto il suo amore. Si disperò anche Giulietta: le era bastato incontrare Paride una sola volta per innamorarsene perdutamente. Il testo, a questo punto segue il copione universalmente noto: lo spasimante sotto il balcone di Giulietta, però, non era Romeo, ma Paride. Rosalinda, intanto aveva ceduto alla corte di Romeo, lo aveva baciato, gli si era promessa in sposa. Fu dato incarico a Padre Lorenzo di sbrogliare la matassa, di convincere Romeo e Giulietta a convolare a giuste nozze con l'approvazione dei genitori. L'impresa fu più ardua del previsto, ma la soluzione escogitata dal religioso fu davvero ingegnosa. Per sceneggiarla, però, si dovette aspettare, la fine dei consigli per gli acquisti.
Le "Nudità danzanti" aprirono la seconda parte della trasmissione con un’applaudita performance dal titolo "Adottate una ballerina a distanza". Sofia Vassilieva e Alan Smith deliziarono il pubblico con un breve sketch, intitolato "La zarina e il baronetto" concluso con un bacio alla francese della durata di una maratona olimpica. La compagnia teatrale" Non si fa credito a nessuno" riprese la sceneggiatura del copione ritrovato da Alan Smith e scritto probabilmente da Shakespeare. Padre Lorenzo decise di sposare Giulietta e Paride,  Romeo e Rosalina in gran segreto nello stesso giorno ad un'ora di distanza e cercò con l’inganno di cambiare le carte in tavola. Convocò per le diciotto Giulietta e Romeo e per le diciannove Paride e Rosalina. Ebbe l'accortezza di non farli incontrare prima dell'avvio della cerimonia, schierò tra loro un paio di  sacrestani alti e corpulenti per evitare che, guardandosi in volto, potessero accorgersi della macchinazione. Pronunciò la formula di rito del matrimonio a tale velocità e storpiando le parole che gli sposi non si accorsero dell’inganno. Finita la cerimonia li rispedì a casa propria, chiedendo loro d mantenere segreta la notizia dell'avvenuto matrimonio. L'indomani si recò a casa dei Capuleti e dei Montecchi per annunciare le avvenute nozze, fece lo stesso con le famiglie di Paride e Rosalina. Romeo e Giulietta strepitarono e si opposero, ma deposero l'ascia di guerra, dopo che ebbero preso nota dell'elenco dei beni e delle proprietà acquisiti col matrimonio. Non ci fu però il lieto fine: la fedeltà d’entrambe le coppie durò quanto lo spazio di un mattino. Romeo già dopo pochi giorni riprese a trescare con Rosalina, Giulietta, invece, attese qualche settimana per dare appuntamento a Paride per un convegno d'amore nella cripta di famiglia. Le rotte della gelosia, commentò  Shakespeare, non incrociano quelle del cuore; Romeo, informato da Rosalina della tresca della moglie con Paride, si appostò nella cripta per sorprenderli in flagrante. Li colse sul fatto, ma non attese la fine dell'amplesso; come una furia li trafisse con la spada, prima di darsi anche lui la morte. Sopraggiunse Rosalina: alla vista dei corpi senza vita del coniuge e dell'amante girò i tacchi, calcolando mentalmente, la quota di eredità che le sarebbe spettata. Rosalina visse a lungo tra lussi e piaceri smodati, ma ad ogni anniversario non mancò di deporre un fiore, di fare recitare una messa da Padre Lorenzo alla memoria di Romeo e Giulietta. Capuleti e Montecchi vissero in pace: dopo quello di Romeo e Giulietta, altre unioni consolidarono gli interessi comuni e i legami delle due casate. Il pubblico seguì muto la fine della recita, non un solo applauso si levò. Non la pensarono così i telespettatori che da casa votarono in massa la versione alternativa della commedia di Romeo e Giulietta. Gli uomini s'identificarono con Romeo, le donne con Rosalina: anche loro avrebbero girato i tacchi, nella stessa situazione. Alan Smith esultò, Sofia gli stampò un tenero bacio sulla guancia. L'indomani l'Auditel decretò il trionfo del programma, i giornali titolarono sull'avvio di un nuovo genere televisivo: la smitizzazione dell'amore.

lunedì 10 dicembre 2012

Un fiasco in diretta



 Alberto Rana, il conduttore del programma "Quattro passi nella storia" guardò diritto nella telecamera, dopo che le "Nudità danzanti" il corpo di ballo della trasmissione, avevano dato inizio alla nuova puntata con un balletto dal titolo "Ci spogliamo per campare". Con voce seria e grave comunicò agli spettatori  l'argomento della trasmissione: la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Il pubblico trattenne il fiato: è un caso irrisolto, disse, dopo più di quarant'anni dagli eventi, non è stata emessa alcuna condanna definitiva, chiarì il presentatore. I processi, però, hanno dimostrato che la bomba che uccise  diciassette innocenti, fu piazzata da sconosciuti che militavano nei gruppi d’estrema destra. Con la collaborazione di Alan Smith, cercheremo di sciogliere il fitto mistero che ancora avvolge questa drammatica pagina di storia. Le telecamere zummarono sul profilo ancora agile dello studioso inglese, mentre già gli altoparlanti diffondevano le note di "The final Countdown" degli Europe. Davanti alle telecamere il suo volto esprimeva eccitazione, la voce era agitata, un fremito ne scuoteva il volto. Ricapitolò in breve i fatti: l'esplosione, molto violenta, aveva causato feriti e vittime, aveva messo in ginocchio una nazione che per molto tempo, dopo quel giorno, avrebbe dovuto convivere con la paura del terrorismo. Le indagini furono indirizzate verso la pista anarchica: furono fermati Valpreda e Pinelli, perquisite centinaia di abitazioni di militanti di sinistra. Giuseppe Pinelli ebbe ufficialmente un malore, mentre veniva interrogato in un ufficio al quarto piano della questura, Giuseppe Calabresi accusato da gruppi estremisti di averlo suicidato, scaraventandolo nel vuoto, morì in un attentato per il quale fu condannato in via definitiva Adriano Sofri, leader di Lotta Continua. La pista anarchica si rivelò fallace, le indagini allora si concentrarono sull'azione di gruppi neofascisti veneti. Freda e Ventura, accusati della strage furono assolti in via definitiva negli anni ottanta. Furono dimostrati i legami, tra la parte deviata dei servizi segreti dell'epoca e i gruppi neofascisti. Altri estremisti di destra come Delfo Zorzi furono assolti nel 2005 in via definitiva. La strage a tutt'oggi, è impunita. Ho potuto visionare documenti catalogati come top secret dai servizi d'intelligence di Sua Maestà, rivelò lo studioso britannico; posso avanzare una mia teoria sull'andamento dei fatti. Nei documenti coperti dalla massima riservatezza si ipotizza un collegamento tra la setta massonica P2,  gli ambienti neofascisti veneti e  i circoli anarchici milanesi.  Pinelli secondo i servizi segreti britannici era un massone agli ordini di Licio Gelli: non cadde accidentalmente dalla finestra al quarto piano della questura, nè fu gettato nel vuoto, ma si suicidò per evitare che venissero scoperti i collegamenti con la massoneria. Gli stessi Freda, Ventura, Zorzi erano al soldo di Licio Gelli, già allora deus machina di segreti e patti inconfessabili. I neofascisti avrebbero procurato il materiale esplosivo, gli anarchici avrebbero fisicamente deposto l'ordigno alla Banca dell'Agricoltura, i servizi di spionaggio italiani avrebbero provveduto al trasporto della bomba  e al collegamento tra i due gruppi. La parte più interessante, però, era l'analisi dell'organizzazione della Loggia massonica P2. Licio Gelli, secondo i report dell'intellingence di sua Maestà, non era il vero capo della setta. Lo scettro del comando era affidato a un misterioso medium in contatto con Giuseppe Mazzini. Il burattinaio, il grande vecchio della politica italiana, il manovratore occulto dei segreti del Belpaese, aveva finalmente un nome, un cognome, un volto. In preda all'emozione del racconto Alan Smith ebbe un mancamento, si afflosciò come un sacco vuoto sul pavimento: il pubblico applaudì, Sofia, la nuova co-conduttrice della trasmissione si gettò addosso allo studioso inglese per praticargli la respirazione bocca a bocca, tra gli oh di stupore e invidia del pubblico maschile. Il regista ordinò al corpo di ballo di anticipare l'esecuzione del brano provato in mattinata dal titolo "Non ce la facciamo ad arrivare a fine mese"' quando Alan e Sofia furono inquadrati dal cameraman mentre erano allacciati in un furioso e avvincente corpo a corpo. Il corpo di ballo non ballò: nessuna delle danzatrici aveva ancora indossato i costumi di scena. Arrivarono come una liberazione i consigli per gli acquisti.
Ripresosi dal mancamento e dalle avance audaci di Sofia, Alan completò l'esposizione delle sue tesi: l'esecutore materiale dell'attentato era Pinelli, il mandante, invece,  Giuseppe Mazzini. Sofia alzò la cornetta per rispondere alla prima telefonata: in collegamento, da qualche parte dell'universo Ali Babà, rivendicò le stragi delle Torri Gemelle, in una successiva telefonata Winston Churchill in persona si autoaccusò dell'organizzazione dell'incidente a Lady D. Seguì la difesa di Pinelli: in una concitata telefonata, negò di aver mai avuto dei contatti con Licio Gelli, Giannettini e Giuseppe Mazzini. Scagionò il commissario Calabresi: insieme, rivelò, avevano deciso di giocare uno scherzo al questore Guida che sostava in cortile sotto la loro finestra. Nel tirargli addosso un posacenere, si era sporto più del necessario per controllare l'esatta posizione del malcapitato. L'unica cosa che gli dispiaceva era di averlo mancato: era morto invano. Freda, Ventura e Giannettini declinarono l'invito ad intervenire in trasmissione: non mancò all'appello invece Licio Gelli. Dopo aver negato ogni coinvolgimento nell'attentato del 1969, smentì la tesi di Alan Smith: non era Giuseppe Mazzini il grande vecchio della politica italiana, ma Garibaldi. In una successiva telefonata Cossiga, intervenuto per misteriosi motivi, negò di essere a conoscenza dei fatti, dichiarò di non aver mai conosciuto di presenza Mazzini, Garibaldi o Giuseppe Verdi, di essere lui il vero capo della loggia massonica di Gelli. Spiegò al pubblico perché Prodi aveva sconfitto Berlusconi in entrambe le campagne elettorali in cui si erano trovati in competizione. Il leader del centrodestra utilizzava i sondaggi per definire le strategie elettorali, Prodi, invece, i medium. I consigli per gli acquisti di Natale chiusero la prima parte della trasmissione.
Al rientro in studio il corpo di ballo deliziò il pubblico con una prova d'autore; un gruppo rap, invece, eseguì un brano dal titolo " A metà mese non ho una lira, ecco perché scippo la pensione alle vecchie signore ingioiellate". Un cantante melodico napoletano, invece, si esibì   in una canzone di successo intitolata " Scippo di qua e di là, son ladro di qualità".
Alle 22,30 in punto Alberto Rana convocò la compagnia teatrale "Quattro salti alla brace"' per sceneggiare la migliore soluzione proposta dal pubblico e scelta  da una giuria qualificata. Si spensero le luci in studio: nella prima scena Prodi e una medium ottantenne evocarono lo spirito di Mazzini e Garibaldi per capire chi di loro fosse il grande vecchio. La seduta spiritica si concluse in un nulla di fatto, i due protagonisti si misero a litigare su chi fosse nato prima.   Pinelli e Valpreda, invece nella scena successiva incontrarono Licio Gelli: dopo un'estenuante trattativa di pochi minuti definirono nei dettagli le loro spettanze in caso di successo del l'attentato: un bonifico di dieci milioni a testa, un posto in lista nella successiva campagna elettorale nelle fila del partito di maggioranza relativa, un auto di media cilindrata ciascuno, un vitalizio di centomila lire. Freda e Ventura, invece, alzarono troppo il prezzo: alla fine fu deciso di commissionare la strage solo alla cellula anarchica. Garibaldi e Mazzini disapprovarono il ricorso a metodi terroristici: proposero al maestro venerabile uno sbarco in banca di dieci eroi in calzamaglia rossa , per gridare slogan contro il governo. Pinelli e Valpreda restarono con l'auto in panne lungo il tragitto verso la banca: al vigile che li soccorse consegnarono l’ordigno e gli chiesero il favore di metterlo di nascosto sotto il tavolo al centro del salone dell’istituto di credito, spiegando che era un omaggio al direttore da parte dei dipendenti per il Natale imminente. Il mistero invece di essere risolto si era infittito; qual’era il nome del vigile, perché nei giorni successivi non si era costituito per spiegare l’andamento dei fatti? Il pubblico deluso fischiò la compagnia teatrale, la giuria, la regia, il conduttore della trasmissione. Solo Sofia si salvò dal naufragio, ma fu costretta a praticare la respirazione bocca a bocca a tre spettatori tirati a sorte tra il pubblico di entrambi i sessi. I giornali il giorno dopo titolarono entusiasti sull'avvio di un nuovo genere televisivo: l'eutanasia in diretta di un programma di successo.

venerdì 7 dicembre 2012

Cesare e le sue concubine



Una standing ovation accolse il conduttore al suo ingresso in studio. Dopo il successo della trasmissione su Anna Bolena, ci si attendeva dalla nuova puntata un tourbillon di emozioni e colpi di scena. Alberto Rana, questo era il nome del presentatore, era balzato da poco agli onori delle cronache dopo una lunga gavetta. Dovette per prima cosa presentare la nuova valletta o velina, insomma una di quelle ragazze da schianto che sorridono alle telecamere, mostrano le gambe e non spiccicano una parola in italiano o in un qualsiasi idioma comprensibile. La bionda Sofia si mostrò in tutta la sua bellezza, prima di raggiungere e accompagnare al centro dello studio, Alan Smith, lo studioso di storia inglese che nel corso della settimana aveva battuto tutti i record di visualizzazione su youtube. La voce di Alberto cambiò registro: le luci abbassate già davano un alone di mistero alle sue parole. Giulio Cesare, esordì, fu ucciso in una congiura ordita da Caio Cassio e Marco Bruto, alle idi di marzo del 44 a.C. La storia ci tramanda il luogo dell'assassinio (il Senato di Roma), il movente, (il tentativo di risollevare le sorti della Repubblica) e il modus operandi (le ventitré coltellate che spensero la vita di uno dei più abili condottieri della storia). Il nostro Alan Smith, però, in un libro di prossima pubblicazione ci presenta un'inedita versione della vicenda. Nel corso della puntata proveremo a illustrarvela. Le prime note di "The final Countdown" degli Europe, accompagnarono l'accensione delle luci in studio, mentre la telecamera zummava sul volto di Alan Smith. Le ricerche condotte su documenti inediti, furono le sue prime parole, mentre il pubblico in sala tratteneva il respiro, mi hanno condotto ad ipotizzare un diverso movente per l'omicidio di Giulio Cesare ed ovviamente altre mani assassine. La versione tramandata dalla storiografia ufficiale, proseguì, servì a tacitare uno scandalo di enormi proporzioni che poteva mettere a rischio, l'egemonia di Roma sul mondo. Tenete a mente questo nome: "Domus Olgiettina". Negli appunti del contabile di Giulio Cesare, da me casualmente trovati in una tomba da poco rinvenuta, erano trascritti accanto al nome di alcune signore delle cifre in sesterzi. "Ad esempio Laetizia settemila sesterzi, Rubia diecimila sesterzi, Gioia duemila sesterzi, Patrizia (una filantropa?) "a gratis". L'elenco delle signore, probabilmente mantenute o prostitute era interminabile o quasi. In un libro, poco noto, lo storico Marcus Labor, proseguì Alan Smith, ha ricostruito in dettaglio la vicenda. Fu Cicerone, racconta il Labor, a tuonare contro il decadimento dei costumi, a puntare l'indice contro il proliferare di mantenute e i discutibili costumi sessuali dei potenti. Lo scandalo dilagò, la plebe eccitata stazionava in permanenza dinanzi alla Domus Olgiettina, in attesa di poter ammirare e palpare di presenza le donne più avvenenti dell'Urbe. In breve diventò una questione di ordine pubblico: Cesare non poteva uscire di casa senza essere assalito da un'orda di giovani donne che si proponevano, che gli si spogliavano davanti per mostrare la mercanzia. I senatori rumoreggiavano: per tenerseli buoni Cesare si vide costretto a condividere parte del proprio harem. Le toghe rosse ascoltavano tutto, annotavano incontri, segnavano adescamenti e mercimoni: un giorno intervennero. Mandarono i pretoriani ad arrestare il contabile di Cesare o forse lo rapirono: Marcus Labor, propone entrambe le versioni nei suoi scritti di storia. Al pubblico fischiarono le orecchie, l'applauso partito dal fondo della sala non era a comando. Fu giustiziato senza processo, l'accusa ritenne che si era appropriato dei sesterzi di Cesare per soddisfare i suoi robusti appetiti sessuali. A nulla valse la sua tesi difensiva, i suoi novant'anni non bastarono a salvargli la pelle. L'harem di Cesare fu semplicemente trasferito: Marcus Labor, ne indica nome e luogo, una dimora nei pressi del mons Saeptorium. Il malcontento del Senato montava: Cesare da qualche tempo non condivideva con i togati più in vista le donne più procaci del suo harem. Si mormorava di senatori che stavano organizzando una congiura, Marcus Labor riporta le voci di un "abboccamento" tra Cicerone e Patrizia, una delle concubine di Giulio Cesare. Fu preparato un veleno, da somministrare a Cesare alle Idi di  Marzo del 44 a.C. Il piano funzionò alla perfezione: Cesare morì come il più eroico degli uomini, intento a cavalcare una puledra di razza. Patrizia ebbe in cambio la concessione edilizia che sino ad allora aveva inutilmente chiesto a Giulio. Il pubblico applaudì a comando, ma non si spellò le mani. Parteggiava per la versione tradizionale della storia. Il trillo del telefono si udì alto e forte: la voce di Patrizia fu accolta da fischi e ululati. Negò ogni addebito: non aveva visto Cesare in vita sua, aveva invece avuto una tempestosa relazione con Marcus Labor, che aveva mollato quando lo aveva trovato a letto con Rubia, allora ancora minorenne. Il colpo di scena lasciò tutti di stucco. I telespettatori che aspettavano ansiosi la versione di Marcus Labor, non furono delusi. Confermò nella sua breve telefonata tutti i punti esposti da un gongolante Alan Smith. L'intervento di Marco Tullio Cicerone fu un capolavoro di sintesi e di abilità dialettica: disse e non disse, fece intuire e negò, ma tutti ebbero l'impressione che stesse tacendo la verità. Non conosceva nessuna Patrizia, Rubia o Laetizia, aveva passato però a Marcus Labor, informazioni riservate sulle concubine a pagamento di Cesare. I sospetti si addensavano ormai tutti su Labor: solo Giulio Cesare in persona poteva scagionarlo. Il miracolo avvenne: da vero condottiero Giulio Cesare rivendicò l'eroismo della sua morte, contò una ad una le coltellate infertegli dai congiurati come l'insonne fa con le pecore. Respinse tutte le infamie che i rivali avevano sparso sul suo conto: non aveva avuto amanti, concubine, non era mai andato a prostitute, non aveva la più pallida idea di chi fossero Rubia, Patrizia ed altre professioniste di tal fatta. Alan Smith, perse il sorriso, il pubblico si sbellicò dalle risate al solo guardarlo in faccia, prima dei consigli per gli acquisti. Al conduttore non restò che fare appello al pubblico per la soluzione del mistero: al vincitore selezionato dalla giuria stavolta sarebbe toccata in dote, una fiammante auto sportiva. In attesa della migliore soluzione proposta dai telespettatori, Sofia diede inizio alla seconda parte del programma presentando una rilettura del "Lago dei cigni" dal titolo " Lo stagno delle papere"' e un paio d'affermati protagonisti del playback. Alan Smith deliziò il pubblico con la lettura di un suo racconto sui tempi dell'università. Una decina di spettatori in catalessi furono ricoverati al pronto soccorso più vicino. Alle 22.30 in punto, Alberto Rana presentò la compagnia teatrale chiamata a sceneggiare la soluzione del mistero approvata dalla giuria. Due ragazze facevano l'amore davanti agli occhi eccitati di Giulio Cesare: questa la prima scena del dramma. Una scritta sul teleschermo informava che la visione dello spettacolo era vietata ai minori di diciotto anni. Nella seconda scena Marco Tullio Cicerone addestrava un sosia di Cesare a parlare e a muoversi come il condottiero di Roma. Patrizia, travestita da uomo veniva nella scena successiva ricevuta dal più famoso oratore dell'antichità. La trappola che doveva uccidere Cesare scattò per le Idi di Marzo: quello era il giorno in cui toccava a Patrizia tirare su... di morale Giulio. Il veleno fece effetto poco prima che arrivasse all'apice del piacere: fu l'ultima delusione di una vita votata al successo. Il sosia di Cesare invece fu trasportato in Senato, dove fu accoltellato per ventitré volte prima che potesse aprir bocca, davanti agli occhi degli storici che seguivano la seduta in corso. La standing ovation del pubblico contrappuntò la fine della recita. Alan Smith raggiante salutò la spiegazione come un successo personale. I giornali del giorno dopo strillarono sulla nascita di un nuovo genere televisivo: le comiche melodrammatiche della Storia.