giovedì 31 gennaio 2013

Un'indagine ad alto rischio



  
La trappola era pronta, per far scattare la vasta e complessa operazione “ Penne pulite”, si aspettava solo l’ordine finale. Intanto nella centrale operativa della Guardia di finanza si limavano gli ultimi dettagli, già si preparava il comunicato stampa dell’azione. L’indagine era nata per caso: un’intercettazione ambientale al parco pubblico aveva fatto drizzare le antenne agli investigatori. Un uomo anziano, un pensionato, riceveva un misterioso pacco da un pregiudicato sotto sorveglianza. La stessa scena si sarebbe ripetuta nei giorni successivi con altre persone: un’avvenente ragazza trentenne, un distinto professore universitario, un ragazzo tutto piercing e tatuaggi. Un traffico di cocaina? Una vendita al dettaglio di crack o di sostanze chimiche? La prima ipotesi dei detective non aveva prodotto alcunché: le persone che avevano ritirato il pacco sospetto erano incensurate, non si facevano di nessuna sostanza. Interrogate, però, si erano rifiutate di rivelare il contenuto dell’involucro ricevuto dal pregiudicato con cui erano entrate in contatto. Il delinquente era pedinato giorno e notte, i suoi telefoni erano sottoposti ad intercettazione: ogni parola, qualsiasi mossa non sfuggiva agli inquirenti che lo sorvegliavano. Aveva strane frequentazioni: mostre, convegni culturali, presentazioni di libri, prime teatrali. Discuteva con artisti, scrittori, critici letterari, filosofi, ingegneri, con cognizione di causa e linguaggio forbito. Pregiudicato? Si, ma non dei bassifondi, la cultura era per lui, anzi, un libro aperto. Nella sua scheda segnaletica era riportato un diploma di terza media: probabilmente  nei dieci anni di carcere già scontati, aveva trovato il modo di ampliare le sue conoscenze. L’inchiesta era ferma: non era possibile interrogare fior di professionisti ed intellettuali, senza avere uno straccio d’accusa. Come tante indagini, fu la fortuna a mettere gli inquirenti sulla pista giusta. Il solito parco, al tramonto: un’elegante bionda quarantenne si appartò col nostro sorvegliato. Gli agenti filmarono una sveltina in piena regola, conclusa con il pagamento di una somma di danaro da parte della signora e la consegna del solito pacco. Gli ordini della centrale furono concitati e tassativi: la bionda signora doveva essere fermata e condotta in centrale per un interrogatorio. L’apertura del pacco, però, lasciò tutti esterrefatti: il materiale oggetto di scambio era un libro di poesia. L’interrogatorio servì a chiarire molti lati oscuri di quella vicenda: la signora era la moglie di un noto avvocato  e si dilettava di poesia all'insaputa dell’illustre consorte. Il libro sequestrato era la prima copia di una sua raccolta, che stava pubblicando in incognito: il denaro era quanto pattuito con la casa editrice, la sveltina, invece, era il pagamento richiesto per quel favore. I detective delle finanze le mostrarono altri filmati, chiedendole se riconoscesse qualcuna delle persone inquadrate. Identificò il professore universitario: "È un conoscente di mio marito, un amante della poesia, un autore molto dotato" rivelò agli inquirenti. "Il commercio dei libri di poesia", chiese che fosse messo a verbale la bionda signora, "è quasi clandestino: ormai chi vuole pubblicare qualcosa, deve accettare questi metodi". Gli inquirenti ne vagliarono a lungo la deposizione, per capire quali estremi di reato potesse nascondere quella pratica di diffusione degli scritti. I dubbi crebbero col passare dei giorni, le modalità di consegna dei libri di poesia sembravano celare qualcosa di più losco di un tentativo di sottrarre le proprie opere all'attenzione di un marito ignaro. I dirigenti della casa editoriale che stava curando la pubblicazione del libro sequestrato, sentiti sull'argomento, non ebbero difficoltà a mettere a disposizione dei detective della Finanza, tutto il materiale in loro possesso: il testo originale, le bozze corrette, il contratto editoriale, le mail scambiate con l'autore. La documentazione era in ordine, non c'era nulla da eccepire sul comportamento della casa editrice: i reati, se di questo si trattava, erano a monte. Uno degli investigatori si prese la briga di leggere la pubblicazione, era esperto della materia, poeta in incognito anche lui. Capì subito di cosa si trattava, l'indomani, in ufficio avrebbe cercato sul web, tutti i riscontri alla propria ipotesi. Un traffico internazionale di versi: ecco di cosa si trattava. Qualcuno traduceva le opere di poeti sconosciuti nel nostro paese: estoni, iraniani, libanesi, kazaki, bulgari e li vendeva a degli autori. Rimaneggiati, aggiustati alla bisogna, potevano essere pubblicati a nome proprio. Il sistema aveva però, un anello debole: se uno di quegli autori diventava famoso, se i suoi versi iniziavano a circolare liberamente per il web, c'era il rischio che qualcuno scoprisse l'inganno. Era ciò che era capitato: l'investigatore si era imbattuto in una poesia di un autore che di recente era stato pubblicato e di cui aveva acquistato on line, l'opera. Le indagini poterono procedere velocemente: la bionda poetessa quarantenne, denunciata per plagio e ricettazione d'opere d'arte, accettò di collaborare con gli inquirenti. La prima poetessa "pentita" della storia: ecco il titolo di cui poteva vantarsi! Fece nomi e cognomi d’autori rei di plagio, dei siti di scrittura su cui si potevano contattare gli spacciatori di versi, dei collaboratori delle case editrici che dietro una piccola "donazione" chiudevano un occhio su quel che succedeva. Il canto dei poeti riempì migliaia di pagine di verbali giudiziari: alla prima minaccia di denuncia per plagio, non esitarono vuotare il sacco. In pochi giorni gli inquirenti furono sulle tracce degli organizzatori di quel traffico, ne conobbero l'organigramma, le sedi operative, i complici, ma anche i nomi degli ignari traduttori che ne consentivano la riuscita. La trappola era pronta per scattare, ma l'operazione "Penne pulite" non ebbe mai luogo: una telefonata dalle alte sfere bloccò tutto. Mesi d'indagine andarono in fumo, i poeti tornarono dopo un po' alle amate abitudini, tutto sembrò finire nel dimenticatoio. All'investigatore che aveva scoperto l'inganno, però, il rospo non andò giù: riprese ad indagare, per scoprire quale personaggio influente, toccato dalle indagini, aveva fatto insabbiare tutto. Ci volle un po' per arrivare alla verità; su quell'argomento c'erano troppo bocche cucite. Erano intervenuti i servizi d'intelligence: tra gli organizzatori del traffico, nascosto dietro un nome falso, c'era un famoso uomo politico e collezionista di libri. Non ebbe materialmente il tempo di rivelare ad alcuno la propria scoperta: gli fu fatale, nel bar in cui si recava la mattina prima di prendere servizio, un caffé corretto alla stricnina. Il referto autoptico parlò di morte naturale: al funerale, però, parteciparono oltre ai familiari stretti, ai colleghi, ai rappresentanti della Guardia di Finanza, anche i poeti " pentiti" Scrissero e recitarono l'elogio funebre: copiato da un poeta emergente del Mali, tanto per cambiare!


sabato 26 gennaio 2013

I nuovi mestieri: l’amico in affitto



 La solitudine ai tempi di Facebook è quasi impensabile, ma siete sicuri che l’infinita lista di amicizie che vedete nel profilo di un vostro parente o di un conoscente non sia una finzione, il frutto avvelenato della realtà virtuale? Di mestiere faccio l’amico a tempo pieno: nelle pagine Facebook dei miei clienti, sono uomo e donna, studente e pensionato, ignorante e acculturato. Se pensate che il mio è un mestiere divertente o poco stressante toglietevelo dalla testa: provate a immaginare  solo quanto tempo e fatica può volerci per recuperare le foto necessarie a creare quel centinaio di pagine Facebook, indispensabili allo svolgimento del mio lavoro.  Non solo le immagini del profilo, ma anche quelle del diario, i caricamenti dal cellulare: il mio archivio è composto da circa ventimila fotografie. Di chi? Non lo so o almeno non so pronunciarne i nomi. Il metodo è questo: vado sul profilo Facebook di perfetti sconosciuti, nella maggior parte dei casi stranieri ( russi, polacchi, tedeschi, greci, bulgari) e ne copio le foto nella mia cartella immagini, quindi le utilizzo per creare un nuovo account. I nomi li prendo dall’elenco delle pagine bianche, devo stare attento, però, ai casi di omonimia: nel messaggio con cui richiedo l’amicizia al mio cliente, gli chiedo di verificare se il nominativo corrisponde a qualche parente. Siete incuriositi e volete sapere chi sono i miei clienti, come li scelgo, come li contatto? A dispetto di ciò che pensate i miei clienti non sono gente solitaria: il grosso, anzi, è costituito da giovani di belle speranze, di affermati professionisti, di casalinghe iperattive. Tutta gente, però, che vuole vedere nel proprio profilo più amici dei parenti, dei colleghi d’ufficio o d’università, delle madri dei compagni dei loro figli. Gente disposta a pagare senza fiatare per il pacchetto che gli offro: un blocco di cinquanta amici da scegliere in un vasto catalogo, due chat la settimana, fino a un massimo di dieci “mi piace” il giorno e di venti commenti il mese sui post. Il costo del pacchetto? Venti euro, meno di cinque pacchi di sigarette. Una piccola fetta del mio parco clienti, invece, è costituita da nuovi iscritti: vogliono fare subito bella figura in ufficio o con i conoscenti, dimostrare di avere un ampio ventaglio di amicizie. La tariffa, in quel caso, è raddoppiata, perché comprende anche l’inserimento di un certo numero di post mensili e la condivisione di link:  l’utente, ancora inesperto, preferisce affidarmi l’intera gestione del suo profilo. "Offresi amicizia per persone sole, anche virtuale. Assicurasi serietà e bella presenza". Questo è l'inserzione che ogni settimana pubblico nei giornali e nei portali di annunci. Non è l'unico modo in cui cerco di procurarmi nuovi clienti. Sono iscritto a molti siti d'incontri per cuori solitari: a chi mi contatta propongo, dopo una valutazione del suo profilo Facebook, il mio pacchetto standard. A volte devo accettare in cambio qualche appuntamento, ma il lavoro è lavoro, che volete farci. Non mi vendo, ma se posso unire l'utile al dilettevole, se la persona che incontro, uomo o donna che sia, mi piace, o se ha argomenti convincenti, diciamo che sono disposto a scendere a compromessi con la coscienza. Cosa ne pensa la mia fidanzata? Comprende e perdona: le ho insegnato a fare il mio lavoro, quindi anche lei a volte, ha qualcosa da farsi perdonare. La sera, quando ci vediamo, ci scambiamo informazioni e pareri sulla giornata di lavoro. "A te come è andata?" "Giornata tranquilla, solo un paio di chat, cinque post, cinquanta mi piace, un appuntamento a pranzo in pizzeria. E tu?" "Ancora più tranquilla della tua". Roba da neuro, insomma, per chi non conosce il nostro mestiere.  Siamo ancora in pochi a farlo, nella mia città una decina, ci conosciamo tutti e ci aiutiamo. Ci scambiamo ogni genere di cosa; ad esempio se uno ha bisogno di una foto su una pista da sci, di link un po' strambo, può chiederlo ai colleghi. Il lavoro non manca e rende: con la mia fidanzata sto ragionando sul matrimonio, forse è ora di mettere su casa. Non possiamo comprarla, però: provate ad immaginare la faccia dell'impiegato di banca se chiediamo un mutuo per l'acquisto di un appartamento. Che lavoro gli dico che faccio? Il "Friend for rent?" Pronunciato in inglese magari fa un certo effetto. Perché non provarci, sostiene Chiara, la mia ragazza? "Ci diranno di no, ma almeno avremo fatto un tentativo, cosa abbiamo da perderci in fondo?". L'impiegato addetto all'istruzione delle pratiche dei mutui, dietro nostra richiesta, ci fissa un appuntamento a breve termine, il settore da un po' va al rallentatore. Ci accoglie sorridente nel suo ufficio, ha a portata di clic, il conto corrente di entrambi. Forse è per questo che ci tratta con tanti riguardi: noi ci siamo allenati duramente nei giorni scorsi, per spiegare in modo convincente cosa facciamo per sbarcare il lunario e progettare il futuro. Al momento topico, qualcosa però s'inceppa: il nostro interlocutore ha gli occhi sbarrati, poi guarda il saldo dei nostri conti correnti e torna a sorriderci. Ci promette il suo interessamento, prima di congedarci ci offre il suo biglietto da visita. Si fa vivo il giorno successivo, ma fuori dell'orario di lavoro. Mi chiede se sono disposto ad andare a cena da lui, perché ha una proposta da farmi. Non posso rifiutare: temendo, però, che possa fare delle avance, non ne parlo con Chiara, per non infastidirla. Nessuna avance: il solerte impiegato mi propone d'occuparmi del suo profilo Facebook e di quello degli amici più stretti e dei parenti. Una decina in tutto e gratis, ovviamente. Una specie di tangente insomma, per istruire velocemente la pratica. Non è tutto purtroppo: a cena non era solo, ma in compagnia di una cugina racchia. Le avance erano le sue e sono andate a segno: sono stato costretto a transare per due appuntamenti mensili gratuiti, ma col rimborso spese. La pratica però, grazie a ciò, ha navigato in acque tranquille: alla voce professione è spuntato, non si sa come, un "commercialista", che ha messo a tacere ogni discussione. Potremo sposarci presto con Chiara: al banchetto di nozze non abbiamo invitato,   sia pure con sommo dispiacere, alcun amico, virtuale o in carne ed ossa. Pensate a quanto ci verrebbe a costare farlo! 


venerdì 25 gennaio 2013

Lo strano fenomeno delle stanze nomadi



Uno strano fenomeno stava suscitando l'attenzione dei media, da qualche giorno in alcune zone del piccolo centro abitato di un paese della Sicilia, si vedevano stanze d'appartamenti circolare liberamente per le strade. Non camper, ma vere stanze, con tanto di finestre, proprietari ed inquilini. Erano persino più disciplinate degli automobilisti, rispettavano il colore dei semafori, lampeggiavano quando dovevano svoltare a destra o a sinistra. Ciò non impediva, comunque al traffico di andare in tilt: immaginatevi d’essere fermi al semaforo, accanto ad una stanza d'appartamento o d'albergo con un ignaro inquilino che legge il giornale o guarda la televisione sdraiato sul divano o con una coppia impegnata a fare l'amore. Come reagireste? Bene di sicuro, se l'inquilino è una giovane e bella ragazza o un aitante giovanotto. Cosa fareste, dunque, nel vedere una stanza che va in giro per la città senza alcuna guida? Non so voi, ma le autorità preposte alla quiete pubblica non l'hanno presa tanto bene: intanto queste stanze non hanno la patente di guida, non dispongono di una targa, non si fermano all'alt dei vigili o delle forze dell'ordine, rallentano il traffico, distraggono gli automobilisti. L'altro giorno in una di queste stanze in libera uscita si svolgeva un'orgia d.o.c, una di quelle feste a base di musica, sesso e cocaina a fiumi: l'unico traffico non bloccato era quello degli smartphone che scaricavano le immagini più piccanti filmate dai tanti guardoni accorsi in massa sul posto. Le forze dell'ordine aspettavano disposizioni: non potevano senza una valida ragione intervenire sul luogo dell'evento. Le ragioni di quel fenomeno erano incomprensibili: una commissione di studio non aveva riscontrato alcuna differenza tra le stanze comuni e quelle nomadi. Sembravano costruite con materiali simili, con tecniche identiche: solo comprendendone i meccanismi, si poteva trovare una soluzione al problema. Furono consultate le menti più geniali del Paese: un fenomeno così frequente e macroscopico doveva avere una spiegazione. L'impresa si rivelò troppo ardua per i matematici, i fisici teorici, gli scienziati di grido, i massmediologi. Il dibattito sulla stampa era ampio e approfondito: in ogni quotidiano c'era una rubrica in cui ciascuno poteva avanzare un'ipotesi e le tesi a sostegno della propria idea. C'era chi credeva che le stanze fossero guidate da degli extraterrestri invisibili, chi era convinto che a muoverle era una mano divina, desiderosa di lanciare un messaggio d’avvertimento ai terrestri peccatori. Il clamore mediatico attirò l'attenzione dei vertici della nazione: le news provenienti dall'area interessata erano fonte di crescente preoccupazione. Lanci d'agenzia dell'Ansa, riportavano la notizia di un incidente tra due stanze che procedevano in direzione opposta. Le conseguenze sembravano disastrose: le prime indiscrezioni parlavano d’alcuni morti e feriti tra gli automobilisti di passaggio. Gli inquilini, invece, pur in stato di choc se l'erano cavata solo con qualche graffio. Il Presidente del Consiglio convocò il ministro degli interni per dei ragguagli sulla situazione. Il capo del Viminale chiamò il responsabile della Polizia e dei servizi segreti, per avere notizie sullo stato dell'arte delle indagini. Il capo della Polizia inviò una mail al commissario che seguiva il caso, per avere delucidazioni e novità. Il commissario Occhipinti chiese ad alta voce e con tono brusco all'agente Puglisi, di che cazzo si stesse occupando. Il sottoposto, innervosito dalle continue interruzioni mandò a quel paese, il commissario, che doveva riferire al capo della Polizia, che a sua volta doveva relazionare il responsabile dei servizi, che in tempi rapidi doveva spiegare al ministro dell'Interno lo stato delle indagini, che nervoso aspettava risposte per rassicurare il Presidente del Consiglio. Una telefonata dal responsabile della C.I.A. incuriosì il Capo del Viminale: i servizi americani informavano in modo informale i nostri vertici che loro non avevano nulla a che fare con quello strano fenomeno. La tempistica sembrò sospetta: perché si era scomodato addirittura il responsabile dell'intelligence, si chiesero in molti, per rigettare un'accusa che nessuno aveva mai avanzato? Un'ipotesi si fece strada nella mente di tutti: in quella zona, già da qualche mese erano state installati tre trasmettitori parabolici ad altissima frequenza e due antenne, in un'area dove a causa di precedenti installazioni militari si erano verificati  numerosi e anomali casi di leucemia e di malattie cancerogene, dovuti all'elevata esposizione alle onde elettromagnetiche. Restava da capire se lo strano fenomeno delle stanze nomadi avesse una qualche relazione con l'installazione dei nuovi trasmettitori parabolici oppure se i responsabili dei servizi statunitensi, temevano che la localizzazione del fenomeno favorisse una campagna d’opinione e di stampa contro il sito militare di quell'area. Il responsabile delle CIA non fu l'unico a fare quell'associazione d'idee: presto anche la stampa cominciò a sostenere la tesi che gli strani fenomeni di Niscemi, dipendessero dall'elevato grado d'inquinamento elettromagnetico. Le indagini strumentali rivelarono livelli di elettromagnetismo tripli rispetto a quelli tollerati dal corpo umano. I cittadini si mobilitarono: anche dai paesi vicini era un susseguirsi di proteste, assemblee, manifestazioni, cortei pacifici e non. Il governo aveva le mani legate: i trattati internazionali impedivano la chiusura unilaterale di un sito militare della Nato. L'entità del fenomeno nel frattempo si era ampliata, senza che nessuno trovasse una spiegazione plausibile. Gli incidenti, i morti per scontri tra stanze di appartamento erano ormai quotidiani: tra coloro  che protestavano c'erano anche i ladri di professione. Per svolgere in sicurezza il loro mestiere era necessario che la stanza non si muovesse. Alcuni denunciarono il fatto che dei loro colleghi all'opera, si erano trovati, dopo avere fatto il giro del paese, catapultati davanti al comando di Polizia e arrestati in flagranza di reato. Col loro striscione: "Stanze immobili e piene di contanti: ecco ciò che vogliamo" chiedevano la solidarietà dei derubati. Non se la passavano meglio gli ubriachi, gli stupratori, gli assassini: statistiche alla mano, il numero dei reati era drasticamente calato nelle ultime settimane. Il clima era ormai irrespirabile: una soluzione andava trovata con urgenza. Se non si poteva eliminare il fenomeno, almeno si poteva provare a regolamentarlo per legge. Deputati e Senatori scatenarono la fantasia: c'è chi propose di consentire nelle ore notturne, solo la circolazione delle stanze nomadi, per limitare il numero delle vittime degli incidenti. Un deputato in vena di scherzi propose l'obbligo di patente per le stanze nomadi, un altro, l'obbligatorietà delle cinture di sicurezza e del test dell'alcol prima della partenza. La legge licenziata in tempi fulminei dal Parlamento, però, non trovò tutti d'accordo: un lungo corteo di stanze la contestò duramente. Fu minacciato il blocco del traffico, se non veniva ritirata immediatamente. Una nuova legge, scritta ed approvata in quarantotto ore, abrogò la precedente. Il fenomeno non si estendeva a macchia d'olio: era sempre circoscritto nella zona limitrofa a Niscemi. Trovarono la soluzione: ventiquattro ore per scrivere la proposta, farla approvare dalla commissione Lavori Pubblici della Camera e dall'Aula di Montecitorio, per trasferirla al Senato e dopo un iter fulmineo licenziarla come legge e portarla per la firma al Capo dello Stato: cose mai viste stavano accadendo in Italia. La legge approvata prevedeva il trasferimento immediato dei cittadini di Niscemi negli alberghi vicini e l'abbattimento di tutte le abitazioni. Il paese sarebbe stato ricostruito in un altro sito distante una cinquantina di chilometri dal vecchio centro abitato. Le stanze nomadi furono distrutte: qualcuno sostiene di aver visto girare in quella zona calcinacci, pezzi d'intonaco, pietre pesanti. Forse sono solo leggende, ma gli abitanti di Niscemi, sognano un giorno di poter tornare sui terreni dei loro avi e non si rassegnano alla perdita delle radici. Un giorno, forse, a cavallo di case nomadi, potranno fare il loro viaggio di ritorno!

mercoledì 23 gennaio 2013

I nuovi mestieri: il commentatore

Mi presento: sono un commentatore.  Non è un refuso, di mestiere faccio proprio il commentatore. Non il recensore di un romanzo, di un opera teatrale, di un disco, ma semplicemente incenso o stronco a richiesta una poesia, un racconto, qualunque cosa pubblicata in un sito per aspiranti autori. Che ci guadagno, come campo? Siete proprio degli ingenui, non sapete nulla di come va il mondo nell'era del web 2.0. Vi spiego come funziona: m'iscrivo a un sito web e pubblico un testo. Pensate che sono anch'io un autore in cerca di gloria? Nulla di tutto questo: ciò che pubblico non è farina del mio sacco. Qualche tempo fa ho comprato all'ingrosso da un autore che aveva intenzione di appendere la penna al chiodo, un po' di materiale, un tanto al chilo, senza andare troppo per il sottile. Poesie, commedie, racconti osceni, storie di vampiri e troie arrapate; insomma il genere che va di moda. Dunque m'iscrivo e pubblico qualcosa: ci sono siti in cui per commentare, basta l'iscrizione, altri in cui bisogna raggiungere un certo numero di pubblicazioni. Monitoro la situazione per qualche giorno; leggo tutto, verifico il numero di letture e commenti raggiunti da ogni autore. Scelgo i più scarsi, quelli che hanno bisogno di un incoraggiamento, che scrivono come cinesi al momento dell'arrivo nel nostro paese: in caratteri ideografici. Scelta la preda la contatto con un messaggio privato e avanzo la mia proposta: mezzo euro per tre commenti e una ventina di letture in più. In realtà in ogni sito ho una decina di nickname fantasiosi, anche quelli acquistati all'ingrosso e a rate dagli eredi di un commentatore defunto: potrei vendere più commenti ed assicurare un maggior numero di letture, ma se poi l'autore, una volta raggiunto la testa della classifica, pensa che sia tutto merito suo e mi licenzia, che faccio? Meglio lasciarlo a bagnomaria, nella terra di mezzo della gloria letteraria. Il lavoro non mi manca, anzi a dire il vero ne ho sin sopra i capelli: quello che mi distrugge è l'ansia di certi autori! Pretendono il commento in tempo reale e non badano a spese: per i commenti postati oltre la mezzanotte ho dovuto alzare  la tariffa  del 50% per scoraggiarli, ma senza grandi risultati. Se la redazione di un sito pubblica un mio cliente di notte, mi tocca alzarmi e intervenire d'urgenza! Come faccio a saperlo? Semplice è l'autore in persona ad informarmi con tre squilli al cellulare. Ci sono notti in cui per dormire un po' in pace sono costretto a spegnerlo e ad inventare, il giorno dopo, ogni genere di scuse, per essere pagato. Mi fanno imbestialire quelli che hanno la vena creativa dopo essere tornati dalla discoteca o che per avere uno straccio d'idea hanno bisogno di un rapporto sadomaso: dico io, visto la qualità dei loro lavori cosa cambia, se pubblicano alle dieci del mattino? Qualcuno deve avere sparso la voce, perché a volte mi contattano anche degli autori di valore per avere un piccolo aiutino, per qualche lettura e commento in più della concorrenza. Chiedono uno sconto e in genere li accontento, anche se a volte per commentarli sono costretto a consultare il dizionario, in cerca di termini più raffinati e incomprensibili. Non sopporto i dilettanti: guadagnerei molto di più senza tutti quei commenti interessati, quegli scambi di "amorosi sensi" tra autori. Io ti commento se lo fai anche tu: che bisogno c'è? Basto io per tutti, in cambio di un compenso da...caffè ristretto! La pacchia però è finita: siamo sempre di più a fare questo lavoro e le tariffe sono in calo. Ci sono extracomunitari che per venti centesimi assicurano cinque commenti e una cinquantina di letture. Alcuni propongono tariffe dimezzate, da dieci centesimi per commenti in lingua originale: se vi capita, in un sito letterario di vedere una poesia napoletana commentata in bulgaro, già sapete che è un commento comprato. Sta diventando una moda: certi autori pretendono commenti in tre lingue diverse, per dimostrare la loro internazionalità. Tra breve mi toccherà appaltare il lavoro agli extracomunitari per accontentarli. Vi racconto la mia ultima trovata, per incrementare gli affari. Scelgo nickname di autori famosi, ad esempio Montale, Neruda, la Dickinson, Dylan Tomas e commento le poesie dei miei clienti con i loro versi. Fa sempre un certo effetto leggere il proprio nome accostato a dei veri maestri! Scelgo i versi a caso: tanto ormai si è sparsa la voce e leggono solo i commenti. L'autore non lo degnano di uno sguardo. Ecco come mi difendo dalla crisi e amplio la mia clientela. In realtà mi piacerebbe avere anche qualche piccolo attestato. L'altro ieri ho spedito una mail a tutti i siti di scrittura dove commento: ho presentato il mio lavoro e chiesto l'indizione di un concorso per commentatori. Forse è troppo, ma magari una giuria può scegliere il commentatore del giorno, della settimana o del mese. Anch'io, come gli autori miei clienti, ho diritto ogni tanto a una vetrina: una foto in prima pagina è un'emozione che non mi dispiacerebbe provare. Il lavoro rende: devo, però, anche pensare al futuro. Non posso fare il commentatore a vita, devo trovare qualcosa che mi assicuri una vecchiaia serena, una pensione dignitosa. Sono andato alla C.G.I.L. per raccontare del mio lavoro: ho fatto la figura dell'extraterrestre, non pensavano che ci fosse qualcuno al mondo che campa così. Hanno preso la cosa sul serio e svolto un'indagine segreta: in tutto il paese, ci sono solo un centinaio di persone che fanno questo lavoro. Troppo poche per aprire una vertenza nazionale per la tutela dei lavoratori del commento! Non ho altra scelta per ora, almeno sin quando non mi viene in mente qualche idea migliore, mi spettano altre notte insonni al servizio di autori ispirati da rospi, rane, principesse, politici e commendatori. Con la "D", almeno per questa volta!

lunedì 21 gennaio 2013

Maghi, sensitivi e cartomanti: c'è in linea il futuro!

Vagavo per la città senza una meta: il colore uggioso del cielo era anche quello del mio umore. Non avevo più un lavoro già da qualche giorno: la ditta cui avevo dedicato molti anni della mia vita aveva chiuso i battenti, spazzata via dai venti di crisi che ancora spirano su questa parte del vecchio continente. Con lo sguardo basso e il morale sotto i tacchi non mi accorsi nemmeno di lei: la urtai per sbaglio. La guardai e le chiesi di scusarmi. Era una zingara giovane e bella: forse è per questo o solo per rafforzare le mie scuse, che accettai la proposta di farmi leggere la mano. Le mostrai la sinistra: dopo averla guardata con attenzione per qualche minuto, scosse la testa. "La linea di Saturno mormorò, la linea di Saturno è spezzata. Puoi scordarti il successo, la Dea bendata non ti degna di uno sguardo". Le chiesi delle probabilità di trovare un lavoro, di pagare regolarmente l'affitto della abitazione dove mi ero trasferito dopo la separazione. Le risposte non furono favorevoli. "Ti aspetta una vita grama e dura" mi disse guardandomi diritto negli occhi. Le diedi una moneta da un euro ed affrettai il passo, deciso a tornare a casa, il prima possibile. La prima cosa che feci appena varcato l'uscio della mia abitazione fu accendere il portatile. Il colloquio con la zingara aveva accresciuto il bisogno di conoscere il futuro; mi misi a cercare tra siti di cartomanti, divinatori e sensitivi, chi poteva darmi qualche speranza. Una stanza in penombra, il profumo d'incenso nell'aria, un'atmosfera intrisa di magia e mistero; la "Maga dei sogni realizzati" mi accolse con un largo sorriso, dopo aver contato i soldi pattuiti per l'onorario, al momento dell'appuntamento. Mi lasciò parlare. Aveva un sorriso rassicurante, il volto materno di una donna che dedicava il tempo libero alla cura dei nipotini. Le raccontai del lavoro perso, della separazione da mia moglie, di quanto mi mancassero i miei figli. Mi sorrise senza battere ciglio; mischiò le carte e mi chiese di alzarle con la mano sinistra. La prima ad uscire fu Il Carro al rovescio, seguita in successione dall'Appeso e dalla Torre. Il responso delle carte era chiaro: il futuro si prospettava difficile. Provò ad utilizzare tecniche differenti per addolcire almeno un po' la pillola, ma con scarsi risultati.  La salutai, prima di abbandonare la stanza col morale a terra. Non mi rassegnai: forse un astrologo poteva darmi risposte migliori. Presi appuntamento con un'autorità del campo: la parcella richiesta era da idraulico al lavoro nel giorno di Ferragosto. Uno sproposito! Prima di confermare l'appuntamento per la settimana successiva, mi furono chiesti i dati natali, per stendere il tema radix e preparare i calcoli dei transiti, delle direzioni simboliche e delle rivoluzioni solari necessarie a una seria divinazione del futuro. Rimasi sbalordito: non immaginavo che dietro la stesura di un oroscopo potesse starci tanto lavoro! Attesi con ansia, quindi, il giorno dell'appuntamento.
Il responso degli astri non si discostò molto da quello delle carte; sembrava proprio che Saturno m'avesse preso di mira! Alla nascita dominava l'ascendente; opposto a Venere, era responsabile dei miei problemi affettivi, in aspetto teso col Sole complicava la ricerca di un lavoro sicuro. Meno male che non si è ancora scontrato con Marte: quando succederà, prima o poi, anche la salute potrà risentirne. Nessuna speranza, pur piccola, l'avvenire è tetro, almeno a sentire gli astri. Il disordine del mio appartamento da single non era il massimo per tirarsi su di morale: bastò qualche telefonata, però, per trovare un'amica disposta ad allietare la mia serata, in cambio di un piccolo incentivo...in denaro.
Ripresi a cercare un'occupazione: spedii curriculum ovunque, presi un'infinità d'appuntamenti, feci decine di colloqui di lavoro. Con Saturno contro, però, c'era poco da fare. L'ozio, dice un proverbio, è il padre dei vizi: posso giurare che è vero, dato che spendevo il sussidio di disoccupazione in fumo, alcool e puttane. Un pomeriggio che ero già brillo e vagavo per le strade in cerca di compagnia, mi ritrovai di fronte alla zingara che mi aveva già letto la mano. Mi riconobbe e sorridente mi chiese del lavoro e del resto col suo forte accento dell'Est: le bastò la mia alzata di spalle per capire che le cose non erano cambiate. Fu l'alcol, forse, a rendermi audace o il bisogno di placare la solitudine: fatto sta che l'invitai a cena per quella sera. Fui stupito dal suo assenso immediato: le diedi l'indirizzo del ristorante e le chiesi quello di casa, per passare a prenderla all'ora convenuta. Mi rispose che non era necessario, conosceva dove era situato il locale e non aveva difficoltà a raggiungerlo. Arrivò alle ventuno in punto, mentre ero già seduto al tavolo del ristorante prescelto; non la riconobbi subito. In abito lungo nero firmato Valentino, con i capelli biondi sciolti, il trucco leggero, non assomigliava per nulla alla zingara che leggeva la mano per strada. In realtà, mi rivelò durante la cena, non era una zingara, ma una laureata in lingue disoccupata. L'idea di quello strano lavoro le era venuta dopo l'ennesimo mancato rinnovo di un contratto: grazie a questa trovata, guadagnava parecchio, poteva permettersi un certo tenore di vita e in fondo non faceva nulla d'illegale. Tirai un sospiro di sollievo. Allora, le dissi, la linea di Saturno non c'entra niente, era tutto un trucco! Ho letto qualche libro, disse, ma non sono un'esperta: mi dispiace se le mie parole ti hanno preoccupato. Non fu la nostra unica cena: altre ne seguirono. M'invitò a casa sua qualche sera dopo e facemmo l'amore: qualche mese dopo mi vi trasferii in pianta stabile. La mattina mi alzavo presto con lei: che piacere era guardarla mentre svestiva morbide vesti di seta, per indossare poveri abiti consunti e sgualciti, dalla pioggia e dalle intemperie del tempo. L'accompagnavo al lavoro e ne curavo gli interessi: investivo i suoi risparmi, da manager esperto di trading sapevo come farli fruttare. Ci guadagnavo qualcosa anch'io: forse cartomanti e astrologi avevano sbagliato i conti. Il successo non dipende dalle stelle, ma dal talento, da ciò che si è appreso o si sa fare. La felicità non fu duratura, non bastò essere innamorati, andare d'amore e d'accordo per deviare il corso del fato o del caso, fate voi. Un giorno, un manipolo di naziskin, delle teste rasate del cazzo, la scambiò per una zingara vera: fu picchiata a morte ed infine accoltellata, tra l'indifferenza dei passanti. La ribellione dei benpensanti ci fu, ma solo dopo la scoperta della vera identità: quella di una laureata costretta a fingere di essere una zingara per sopravvivere. Non era il mio Saturno ad essere contro, ma il suo: o almeno il suo a detta degli astrologi consultati era più contro del mio! Qualcosa di lei mi è rimasto: non solo il ricordo di giorni e mesi felici, ma anche il lavoro. Ho letto i libri che aveva a casa, ho appreso l'arte della lettura della mano: la mattina mi travesto da zingara anch'io, un po' per non dimenticarla, un po' perché i soldi ormai scarseggiano. Leggo le mani ai passanti: se qualcuno m'invita a cena però non accetto! È un racconto, non un film o il set di "A qualcuno piace caldo", anche se anche qui, nessuno è perfetto! 

sabato 19 gennaio 2013

Versi in mutande e guêpiere




La convocazione

 Arthur Rimbaud fu avvertito da un sibilo, simile ad uno schiocco di frusta, dell'arrivo di un sms sul suo smartphone d’ultima generazione. Lesse incuriosito: si trattava di una convocazione in direzione, la prima da quando abitava in quel luogo. Si chiese cosa mai potesse volere da lui il gran capo, poi, però, tornò ai suoi pensieri: il tempo del percorso e avrebbe saputo. Dovette attraversare di corsa il grande parco dei divertimenti, dove una moltitudine gaudente, ci dava dentro di brutto: in quel luogo l'unico svago ammesso e tollerato era l'amplesso. Il Kamasutra era il libro più letto, lo conoscevano tutti a memoria: ogni quattro anni la direzione consentiva lo svolgimento dei giochi olimpici del sesso. Non era bello come può sembrarvi: di gente normale, da quelle bande, c'è n'era davvero poca. Giunse presto al centro direzionale: l'unico posto in cui l'aria condizionata era a tappo, tutto l'anno. Fu necessario coprirsi le spalle con un maglione: le temperature, erano più basse di venti gradi rispetto a fuori. Fu introdotto nell'ufficio del capo da un'attrice di grido, una di quelle che in vita avevano fatto il pieno nei teatri, nei cinema e nei letti. Mega schermi, computer, amplificatori di suoni, mixer da fantascienza, tecnologia d'avanguardia: ogni angolo di quel luogo non sfuggiva al controllo dell'intelligence del capo. Tutto era registrato, analizzato e poi archiviato: nessun giudizio o punizione; più buio di mezzanotte tanto non può fare. Il capo lo attendeva seduto nella poltrona con vista sul parco giochi: visto da lassù lo spettacolo era ancora più impressionante. Un cielo rosso cupo, l'odore di zolfo e di putrefazione, di corpi cui non era concesso l'uso dell'acqua e del sapone, cumuli di spazzatura e di letame dappertutto. La voce del capo era suadente, profonda, da attore consumato: non perse tempo in convenevoli, ma avanzò la sua proposta. Un concorso di poesia erotica, aperto a tutti, dannati ed eletti, peccatori ed anime pure: l'invitò a presiedere la giuria, a scegliere in piena autonomia gli altri giurati. Spiegò le ragioni della sua scelta: voleva elevare il livello culturale dell'Inferno, gareggiare per bravura e talento con Purgatorio e Paradiso. Le ultime statistiche rivelavano una costante riduzione dei nuovi ingressi e delle vocazioni. Era qualcosa cui porre rimedio subito, con iniziative promozionali, con una campagna pubblicitaria più tambureggiante sulla Terra e sui pianeti che consentivano forme di vita evolute. Rimbaud rifletté un attimo, prima di accettare: chiese carta bianca nella scelta dei temi e delle regole del concorso. "Il premio chiese a bruciapelo qual'e'?" Non basta una targa, un premio in denaro, per invogliare i dannati alla scrittura: il sesso preferiscono praticarlo e non descriverlo. "Al vincitore sarà consentito di vivere di nuovo" rispose sicuro il capo, prima di congedarlo. All'uscita trovò Pier Paolo Pasolini in attesa: tra breve gli sarebbe stato offerto di girare lo spot del concorso e la campagna pubblicitaria dell'Inferno. L'ufficio stampa diramò subito il comunicato con la notizia del concorso poetico "Sesso: all'Inferno o in Paradiso è bello lo stesso", subito ripreso dai colleghi degli altri luoghi ultraterreni.


Selezione della giuria


La pagina Facebook di Arthur Rimbaud fu presa d'assalto: in poche ore ci furono almeno trecentomila contatti. La notizia ebbe il potere di scuotere persino angeli e beati: anche lì, il sesso fu lo sport praticato per quel giorno. Il sesso degli angeli? Balle, anche loro, hanno le palle! Rimbaud scelse in fretta la squadra giudicante: a Baudelaire, affiancò Pietro l'Aretino, Cecco Angiolieri e Fedor Dostoevskij. Stabilì le regole: ogni partecipante poteva proporre tre poesie a sfondo erotico. La partecipazione era consentita solo ai dilettanti, a chi in vita non aveva fatto della poesia e della letteratura, la propria fonte di sopravvivenza. Inviò una copia del bando alla redazione stampa dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Arrivò una valanga di versi osceni, di parole senza senso: il sesso, evidentemente, è più facile praticarlo che cantarlo. Non mancavano, però, le perle: c'erano dei componimenti che sembravano proprio sgorgare dalle corde dei grandi poeti della storia. Tra le mail che attirarono l'attenzione di Rimbaud, ci fu quella di una certa "Viaggiatrice degli Inferi" che allegava quello che a prima vista sembrava il rifacimento della poesia di Dante "Tre donne intorno al cor mi son venute" Era quella a suo dire la prima stesura della poesia, quella che Dante le aveva fatto pervenire in gran segreto con una delle sue serve: nella cultura del tempo, però, per certi argomenti non c'era spazio e aveva dovuto stenderne una versione più edulcorata. La lesse con attenzione: la mano, poteva essere quella del grande poeta. La salvò in una speciale cartella, per poterla valutare con più attenzione. Il giorno dopo la storia sembro ripetersi: "Acqua azzurra, acqua chiara" allegava alla sua mail i versi erotici molto audaci, scritti e spediti quando era ancora in vita da Francesco Petrarca in persona. "Non al suo amante più Moana piacque/quando per tale ventura tutta ignuda/la vide in mezzo de le calde acque/a trastullar due attrezzi, cruda/nel passar dall'uno all'altro in un lampo". Chi l'avrebbe mai creduto, pensò tra sé e sé, Rimbaud, prima di salvare il testo e di passare alla lettura di una nuova mail. Sembrava che in Paradiso si fossero passati la parola: fu tutto un fiorir di versi lussuriosi, postati dalle donne dei poeti più grandi della storia. Il regolamento parlava chiaro: il concorso era vietato ai professionisti della penna, forse poteva chiudere un occhio, se "Viaggiatrice degli inferi", "Acqua azzurra, acqua chiara", "Fiamme lussuriose" o "Ragazza di campagna" decidevano di presentare le poesie come proprie.

Nuove idee


Rispose alle loro mail, invitandole a presentare i testi come da regolamento, ma col proprio nome, perché altro non era possibile. Continuò nella selezione del materiale del concorso, in attesa di una risposta. Passò qualche giorno prima di ricevere le mail tanto attese: forse si erano consultate, fatto sta che tempi e contenuti erano molto simili. Rifiutarono sdegnate: non potevano appropriarsi di ciò che non erano loro, né potevano esporre a brutte figure chi le aveva scritte. Eppure Rimbaud non voleva rassegnarsi: doveva trovare il modo di far diventare pubblico quel materiale, di squarciare il velo dell'ipocrisia che ancora nasconde la vera natura della poesia. Cercò nelle pieghe del regolamento, si consultò con gli altri giurati, studiò ogni possibile soluzione, ma invano. L'idea migliore venne a Pietro l'Aretino: "Perché disse non facciamo filtrare notizie del concorso sulla terra? Ci sarà pure un sito d scrittura dove in questo momento c'è un concorso di poesia erotica? Possiamo inviarvi il nostro materiale, compreso quello di cui stiamo trattando". La proposta fu approvata all'unanimità, fu affidato a Cecco Angiolieri, il compito renderla esecutiva. L'Angiolieri prese a monitorare il web alla ricerca del sito più adatto alla pubblicazione del materiale del concorso, ma non trovò granché di soddisfacente: uno non gli andava bene perché poco frequentato, nell'altro erano inseriti solo testi superficiali, nella maggior parte i testi erotici non erano pubblicati in vetrina, ma inseriti in un area riservata. Ci volle del tempo per trovare quello giusto: quando già era sul disperato andante s'imbatte nel sito web "Versi in mutande e guêpiere". Lesse e vi s'iscrisse col nickname "dadi e slot machine", per gioco vi pubblicò dei versi scritti ad hoc e ne attese la pubblicazione. 


Versi in mutande e guêpiere 


Il redattore lesse distrattamente l'ultima proposta: era quella di un nuovo iscritto, un tal di nome "dadi e slot machine". Restò basito! Che strano stile, fu il suo primo pensiero. Rilesse più volte il testo:

La  mia donna m'ha mandato al cesso


La  mia donna m'ha mandato al cesso
Perché di carezzare la mia spada
E' già da un po' che si è stufata
per lei se non si rizza ormai è lo stesso.

E mi ripete che il suo cuore adesso
Batte per un altro che la spada
Ha lunga, dritta e sempre affilata
Non come me che fallo spesso.

Perché una medicina non inventate
Che a comando mi fa trombare?
La donna mia mi prende a pedate

Se ancora una volta a scopare
Non riesco, dopo tre prove fallate
C'è l'esclusione sine die dalle gare.

Il solito ragazzino strafatto, pensò. Eppure nel suo stile c'è qualcosa di antico: forse prima di farsi stava a leggere un po' di storia. Approvò e pubblicò senza battere ciglio, senza dire un fiato. Le letture della poesia decollarono, non mancarono i curiosi, i commenti sfottenti: un certo " son sfinito di sesso" ad esempio chiedeva a quanto la davano le madonne del tempo (più che sfinito di sesso, sembrava intontito dal vino); un certo "mi gioco tutto" voleva sapere in quale sito poteva giocare a dadi. Commenti sulla poesia? Tutti generici, in fotocopia "bella, piaciuta, digerita", quasi fosse una camomilla e non satira di costume. Ma se il convento non passa altro che si può fare? Rimbaud e i giurati fecero il punto della situazione: lessero il regolamento del concorso "Orge in versi, con annessi e connessi", prima di stabilire il da farsi. A Baudelaire fu dato il compito d'inventare i nickname più adatti ai testi da proporre, a Dostoevskij, fu chiesto di decidere la scaletta delle proposte e di tenere i contatti con la redazione e la giuria. A sé stesso Rimbaud lasciò il piacere di proporre i versi audaci dei grandi della poesia. Chiese a tutti di pubblicare qualcosa sul sito, protetti dal nickname potevano sbizzarrirsi, mettere da parte ogni tabù nello scrivere di sesso. 

Orge in versi con annessi e connessi. 


 I redattori notarono un anomalo incremento dei testi in concorso, almeno il triplo rispetto agli anni precedenti. Ne erano contenti, ma non avevano una spiegazione pronta per il fenomeno: l'altra stranezza che notarono era l'estrema varietà degli stili. Negli altri anni molti testi sembravano delle fotocopie: al di la del valore effettivo c'era un comune sentire degli autori, un filo rosso che li univa. Rimasero sorpresi  dall'originalità di certi nickname: ad esempio c'era chi si firmava "fatto d'assenzio", chi "albatros morente", chi "sparo al colore". Ed ancora "un demone per amico", "una foglia di fico sul di dietro", "lingua senza inchiostro". Molti testi furono scartati perché non attinenti al tema del concorso: in alcuni l'audacia non andava oltre un bacio in bocca, una carezza sulla guancia, un incrociarsi di sguardi. Archeologia del sesso, insomma. I redattori concentrarono l'attenzione su alcuni testi: sembravano la parodia di poesie conosciute o una declinazione sul versante erotico delle stesse. "Tre donne intorno al core mi son venute" ad esempio, trattava di tre lesbiche in calore in piena azione, davanti agli sguardi di curiosi e guardoni. La vicenda di "Cloridano e Medoro" dell'Ariosto, invece, era il racconto di un amore omosessuale. "Solo et pensoso" di Petrarca era un inno alla masturbazione, come il "Passero solitario" di Leopardi anch'essa riscritta con tale intento. E che dire di "Quanto è bella giovinezza" di Lorenzo de Medici, trasformata nella descrizione di un orgia di gruppo, tra Bacco, Arianna, Satiri e Ninfette? Roba per cuori forti. Il concorso era riservato ad opere originali, ma quei rifacimenti, potevano essere considerate tali? Era necessario approfondire l'argomento. Fu convocata apposta una riunione di redazione. Le posizioni sull'argomento erano molto divergenti: certo era strano, fece notare qualcuno, un tale proliferare di versioni erotiche di testi famosi. Fu deciso di accettarle tutte: sulla qualità della scrittura nessuno ebbe qualcosa da eccepire.

Echi dal Paradiso


L'intenso traffico di mail con l'Inferno destò la curiosità e l'attenzione del servizio d'intelligence del Paradiso, che decise di monitorare ogni comunicazione. Bastò qualche giorno per avere un quadro chiaro della situazione e per stendere un primo rapporto alle gerarchie. San Pietro in persona trovò un lungo dossier sulla sua scrivania: arrossì alla lettura di quei versi audaci, per certi passaggi dovette ricorrere all'aiuto di traduttori o di esperti del settore. Su quell'argomento, la sua esperienza era molto limitata. Valutò la possibilità di convocare prima le autrici delle mail e poi gli autori dei testi, inviati al concorso indetto dalla direzione dell'Inferno. Prima di ogni cosa, però, inviò un messaggio riservato a Lucifero, per bloccarne la selezione. "Viaggiatrice degli inferi", "Acqua azzurra, acqua chiara", " Fiamme lussuriose", "Ragazza di campagna" furono convocate d'urgenza e sottoposte a un interrogatorio. Non poterono negare l'evidenza: confermarono di essere le autrici delle mail inviate a Rimbaud, ma sostennero, a differenza di quanto affermato in precedenza, di esserne le autrici. Era un tentativo, generoso, quanto vano, di tenere fuori da quella storia, i veri autori. Bastò poco per scoprire la verità: nei tablet, di Dante, Petrarca et company, c'era traccia di quei versi.  Fu istruito un processo per direttissima: l'accusa venne affidata a San Tommaso, la difesa, invece, toccò a Sant'Agostino. 

Rumors dall'Inferno


Il messaggio di San Pietro fece drizzare le antenne a Lucifero, che convocò subito Rimbaud e l'intero comitato giudicante del concorso, non prima di aver chiesto d'urgenza una relazione scritta sullo stato dei lavori. I servizi d'intelligence gli avevano già riferito dell'istruzione di un processo a degli imprecisati autori di poesie erotiche. Volle saperne di più, prima di rispondere per iscritto alla richiesta di San Pietro. La relazione di Rimbaud si rivelò esaustiva: conteneva i versi incriminati, le mail con cui erano stati inviati, tutti i messaggi scambiati con le anime del Paradiso, i verbali delle riunioni in cui si era deciso di pubblicarle sul sito "Versi in mutande e in guêpiere ". Una brutta gatta da pelare, pensò tra sé e sé, il responsabile dell'Inferno: decise di giocare d'astuzia, di accontentare San Pietro, senza ostacolare il lavoro di Rimbaud e soci. Rispose alla comunicazione del Paradiso, garantendo l'esclusione di quei versi dalla selezione del concorso, in quanto contrari al regolamento. Poi invogliò Rimbaud a proseguire nell'opera di diffusione sulla terra, delle stesse opere, approvandone in toto il comportamento. 


Il concorso " Orge in versi"

Allo scadere del termine previsto per l'invio dei lavori, il comitato giudicante si mise all'opera per scegliere, come da regolamento cinque composizioni. L'opera vincitrice del concorso, sarebbe stata scelta dai lettori, con un'apposita votazione. La selezione non fu difficile: solo una però delle composizione inviate dall'aldilà, entrò nelle cinquina vincente. Le altre, a parere del comitato giudicante, risultavano antiquate nello stile, banali nelle metafore, poco ispirate. I risultati della selezione, pubblicati con una nota della giuria, sulla prima pagina del sito "Versi in mutande e guêpiere" suscitarono lo sconcerto di Rimbaud e soci, ma dettero lo spunto, all'intelligence del Paradiso, per avanzare una proposta di soluzione alle gerarchie. Bastava trovare il modo di evitare la pubblicazione dell'unico testo selezionato dalla giuria, per sistemare le cose. San Pietro, dopo aver letto la relazione pervenuta sul proprio tavolo, approvò la proposta e lasciò carta bianca ai servizi d'intelligence su come metterla in pratica. I membri del collegio giudicante del concorso "Orge in versi" furono sottoposti a opposte pressioni: mail, lettere minatorie, sogni funesti, si sprecarono. Non capivano il perché di tutto l'interesse per quel testo: probabilmente non sarebbe stato nemmeno il vincitore del concorso. 


Mosse e contromosse

Lucifero convocò nuovamente Rimbaud e soci: alzò la voce, spiegò che quella sfida andava vinta a ogni costo. Allargò i cordoni della borsa: non mise tetti di spesa per ungere qualche ingranaggio, per la corruzione di  giurati e lettori. Ordinò all'intelligence di rintracciare i nominativi di ogni singolo lettore del sito degli ultimi sei mesi: al momento opportuno, gli sarebbero stati proposti dei soldi, per votare i versi che stavano loro a cuore. Un'analoga riunione si svolgeva contemporaneamente negli uffici della dirigenza del Paradiso: ai servizi d'intelligence fu chiesto di bloccare a ogni costo, la pubblicazione dei versi troppo audaci di un'anima eletta. Se fosse stato necessario ungere qualche ruota, si sarebbero voltati dall'altra parte, avrebbero finto di non aver visto l'accaduto. La guerra dei servizi segreti fu senza esclusioni di colpi: a ogni singolo lettore del sito arrivarono proposte economiche opposte. Per votare una certa poesia o per evitare di leggerla. Qualche buontempone pensò di accettarle entrambe: poteva votarla senza leggerla, in fin dei conti. Bastava entrare, non degnarla di uno sguardo e andare sul pulsante della votazione. C'era un problema di difficile soluzione, su cui si appuntò l'attenzione dei servizi: come fare a impedire l'accesso di nuovi lettori? Chiunque, in teoria, poteva entrare nel sito, leggere la poesia e votarla. Furono trovate due soluzioni: la prima consisteva nell'avvalersi delle prestazioni di un sensitivo in grado di anticipare il futuro, la seconda più sicura, di bloccare l'accesso al sito, con l'intervento di hackers professionisti. La soluzione più votata fu la seconda. Gli hackers più abili in circolazione, però, ricevettero delle proposte opposte: per bloccare il sito e per facilitarne l'accesso. La soluzione inventata dall'intelligence dell'Inferno, ad esempio, fu quella di convogliare su quell'indirizzo, i navigatori in cerca di siti porno. Gli hackers, in maggioranza, scelsero la seconda soluzione: solo perché era meglio retribuita. 


Il processo

In paradiso, intanto, era tutto pronto per il processo: gli imputati, erano accusati di “ offesa al comune senso del pudore” e di scritti pornografici. La difesa di Sant’Agostino si rivelò debole: non sosteneva la libertà d’espressione nell’arte, ma chiedeva soltanto clemenza per i propri assistiti. Avevano scritto quei versi, sosteneva, in un momento di debolezza, di crisi interiore, di smarrimento dei veri valori dell’esistenza. Ne elencava poi i meriti: piccoli ed umani vizi, non potevano offuscarne la gloria, che non solo i contemporanei, ma anche i posti, avevano decretato. Gli imputati fecero atto di pentimento, dopo aver reso piena confessione: si dimostrarono contriti, pronti ad accettare il giudizio della corte. Ciò non bastò all’accusa: San Tommaso fu intransigente nel puntare il dito sugli imputati. Arrivò a proporre l’espulsione dal Paradiso o l’astensione in eterno dalla lettura e dalla scrittura di ogni opera. Per la giuria la decisione non fu semplice: gli imputati furono espulsi dal Paradiso e dirottati in Purgatorio, ma solo per un centinaio d’anni. Avrebbero, però, potuto continuare a leggere, a informarsi, a diffondere il loro pensiero attraverso gli scritti. La sentenza scontentò tutti: ma in Paradiso, a differenza che sulla Terra, c’è un solo grado di giudizio, non è possibile ricorrere in appello.


Hackers contro


Il giorno tanto atteso era arrivato: in mattinata sul sito “ Versi in mutande e in guepiere” sarebbero state pubblicate le cinque poesie selezionate dalla giuria. All’Inferno e in Paradiso avevano fatto le cose in grande: c’era la diretta dell’avvenimento, davanti ai megaschermi una folla di anime seguiva con passione gli eventi. Applausi, slogan da stadio, accompagnavano ogni entrata di un navigatore nel sito o qualunque respingimento da parte degli hackers al soldo del Paradiso. Dopo qualche ora era già possibile stilare un primo bilancio: tutti i vecchi utenti del sito erano stati respinti con perdite. Gli hackers che lavoravano per il Paradiso si erano dimostrati più abili: quelli pagati da Rimbaud e soci, invece, avevano commesso un clamoroso errore. Chi navigava in certi siti vietati ai minori era dirottato come previsto sulle pagine di “Versi in mutande e guepiere”, ma insieme al filmato che aveva deciso di guardare. Sui megaschermi di Inferno e Paradiso, dunque, beati e dannati poterono farsi un’idea precisa delle fantasie sessuali dei terrestri del XXI secolo. Risate a crepapelle: fu questa la reazione delle anime dell’inferno. “ Sono dei dilettanti” fu il commento più gettonato; i fischi, superarono di gran lunga gli applausi. Le anime del paradiso, invece, presero caterve di appunti: curiose, ma indispettite da ciò che si erano perse in vita, per amore della virtù. L’errore degli hachers dell’inferno non ebbe conseguenze: i vertici, si ritennero soddisfatti dello spettacolo andato in scena e dallo share raggiunto dalla diretta televisiva dell’evento. Il concorso “ Orge in versi con annessi e connessi” fu annullato dopo che per una settimana nessuna delle poesie selezionate aveva ottenuto dei voti.


Nepotismi


La giuria presieduta da Arthur Rimbaud completò la selezione del materiale del concorso “Sesso: all’Inferno o in Paradiso è bello lo stesso”. Le poesie scelte furono pubblicate sul sito web dell’Inferno, in una pagina creata ad hoc ed inviate agli uffici stampa del Purgatorio e del Paradiso. Ai servizi d’intelligenze nel frattempo erano arrivate delle soffiate: decisero di scavare a fondo sul profilo degli autori selezionati. La verità venne presto a galla: almeno la metà, protetti da nickname fantasiosi, erano parenti dei giurati. Cecco Angiolieri e Pietro l’Aretino si erano proprio dati da fare: oltre a selezionare i testi dei parenti, come accertò un’approfondita indagine, avevano anche scritto direttamente i versi. Un ampio dossier venne inviato alla direzione: la giuria fu convocata quasi all’istante. Messi alle strette i giurati furono costretti ad ammettere le loro colpe: si difesero sostenendo che avevano dei favori da ricambiare, che per questo non si erano potuti tirare indietro. Non restò che annullare il concorso: Lucifero, allargando le braccia commentò l’accaduto. “Qui abbiamo fatto ogni genere di concorso: di sport, di cinema, di bocce, di sesso. Con i poeti, invece, è sempre la stessa solfa: per una lode, un commento benevolo, un alloro sul capo, sarebbero disposti a vendere la madre al diavolo! Nessuno meglio di me può saperlo” Appunto.




mercoledì 2 gennaio 2013

Cinque piccoli indiani e un sordomuto




Cinque piccoli indiani, una scatola di scarpe con cinque bicchieri, un venditore di granite sordomuto: ecco i protagonisti di questa storia. Bernardo svolgeva il mestiere di granitaio solo d'estate; da ottobre a maggio, invece, vendeva jeans e maglioni al mercato di Piazza Stesicoro, in quella che i catanesi veraci chiamano "a fera o luni"', la fiera del lunedì, che da quando ho memoria, a dispetto del nome, si svolge tutti i santi giorni dell'anno esclusa la domenica. Una bolgia di gente, d’odori e profumi, di suoni: questo è il posto in cui Bernardo prova a piazzare la propria mercanzia, dove ogni venditore cerca con la propria voce di coprire quella dei concorrenti. Come un sordomuto possa, in quel contesto, vendere qualcosa, è un mistero che non sono mai riuscito a spiegarmi. Forse aveva una moglie che l'aiutava o un figlio che urlava al posto suo. Probabilmente era proprio questa ragione a spingerlo ai primi caldi a tirar fuori dal garage la bicicletta che serviva a trainare il carrettino triangolare, dove era nascosto un pozzetto da gelataio.  Arrivava in Via Curia, la strada in cui abitavamo, alle sette di mattina, annunciato dal suono del suo fischietto: si piazzava al centro della strada, proprio di fronte al portone di casa e attendeva. Non lo costringevamo ad aspettare a lungo: era già da mezz'ora che tendevamo le orecchie in attesa dei suoi trilli. Avevamo preparato l'occorrente: quattro bicchieri di Nutella vuoti, uno di birra media, duecentocinquanta lire. Il bicchiere di birra era quello di Erminio: poteva contenere il doppio della granita degli altri, il problema era cercare di convincere Bernardo a riempirlo sino all'orlo di granita allo stesso prezzo degli altri. La discesa delle scale era da Guinness dei primati, roba da medaglia olimpica. Una volta in strada cominciava la commedia: dopo aver coperto sino all'orlo i bicchieri di Nutella con granita al gusto di mandorla, cioccolato o limone, Bernardo iniziava a riempire il bicchiere di birra, ma da esperto commerciante lasciava molti vuoti tra una cucchiaiata e l'altra. Era il momento clou della commedia: Erminio protestava, dicendo che aveva lasciato troppi vuoti, "ncarca" diceva a voce alta a Bernardo. Il sordomuto scuoteva la testa, con suoni gutturali cercava di spiegare a mio fratello che a quella cifra non poteva aggiungere altro. "Ncarca" ossia pressa, ripetevamo tutti in coro, "Ncarca" urlavano da balconi e finestre quanti seguivano la scena. Bernardo provava a resistere: erano anni ormai che durava quella commedia, forse si divertiva anche lui a recitare la sua parte. Alla fine cedeva, tra gli applausi dei presenti, prendeva le nostre duecentocinquanta lire, saliva sulla bicicletta e andava a vendere altrove la sua granita. La salita delle scale non era meno veloce: mamma nel frattempo aveva apparecchiato la tavola, messo il pane nel cestino. Granita e una brioche, anzi due: da noi, in estate si usa fare colazione così. Noi non potevamo permettercelo: ci accontentavamo del pane, meglio se appena sfornato dal panificio di Via Vittorio Emanuele. Fosse stato per noi, avremmo consumato colazione, pranzo e cena con quelle granite: non erano certo le migliori, anzi erano piuttosto a buon mercato. Al bar, una fatta a regola d'arte, poteva costare anche cinque volte il prezzo pattuito con Bernardo: ma era già un lusso se pensavamo ai digiuni in collegio, ai tanti giorni in cui ci toccava digerire solo qualche pezzo di cioccolata d'infima qualità. In autunno mamma faceva la cotognata siciliana: una vera bomba calorica che ci serviva a sopravvivere per tutto l'inverno: ce ne portava tre o quattro forme quando veniva a trovarci in collegio. Ogni mattina ne tagliavamo una striscia e la mangiavamo di nascosto, era così zuccherata che non avevamo bisogno d'ingerire altro sino a sera. Sopravvivevamo con piccoli espedienti: ad esempio barattando il primo o il secondo del pranzo o della cena con la merenda. Quando lo stomaco borbottava o quando avevamo le lacrime agli occhi per la tristezza, pensavamo alla granita di Bernardo ed ai suoi sforzi inauditi per parlare, alle lunghe trattative per avere un cucchiaio di granita in più: ed il buon umore tornava come d'incanto. I cinque piccoli indiani sono oggi dispersi per l'Italia, sono anni che non possono riunirsi: il giorno che sarà possibile il menù è già fatto. Granita e due brioche a colazione, scacciata e pizza per cena, a pranzo la pasta al forno di mamma non può mancare: costruire qualche palla di carta e giocare nel cortile può concludere l'epopea della nostalgia. Erminio non ha perso l'abitudine: appena mette piedi in Sicilia si precipita al bar più vicino ed ordina una granita e due brioche. Inverno o estate poco cambia: poi se ne fa preparare un paio di chili da consumare nei giorni in cui resta quaggiù. La prossima volta dovrò ricordargli di chiedere che gli sia servita in un bicchiere di birra media e di mettersi a trattare sul prezzo, così tanto per divertirsi e per onorare la memoria di Bernardo, il granitaio sordomuto più simpatico del mondo.