La trappola era
pronta, per far scattare la vasta e complessa operazione “ Penne pulite”, si
aspettava solo l’ordine finale. Intanto nella centrale operativa della Guardia
di finanza si limavano gli ultimi dettagli, già si preparava il comunicato
stampa dell’azione. L’indagine era nata per caso: un’intercettazione ambientale
al parco pubblico aveva fatto drizzare le antenne agli investigatori. Un uomo
anziano, un pensionato, riceveva un misterioso pacco da un pregiudicato sotto
sorveglianza. La stessa scena si sarebbe ripetuta nei giorni successivi con
altre persone: un’avvenente ragazza trentenne, un distinto professore
universitario, un ragazzo tutto piercing e tatuaggi. Un traffico di cocaina?
Una vendita al dettaglio di crack o di sostanze chimiche? La prima ipotesi dei
detective non aveva prodotto alcunché: le persone che avevano ritirato il pacco
sospetto erano incensurate, non si facevano di nessuna sostanza. Interrogate,
però, si erano rifiutate di rivelare il contenuto dell’involucro ricevuto dal
pregiudicato con cui erano entrate in contatto. Il delinquente era pedinato
giorno e notte, i suoi telefoni erano sottoposti ad intercettazione: ogni
parola, qualsiasi mossa non sfuggiva agli inquirenti che lo sorvegliavano. Aveva
strane frequentazioni: mostre, convegni culturali, presentazioni di libri,
prime teatrali. Discuteva con artisti, scrittori, critici letterari, filosofi,
ingegneri, con cognizione di causa e linguaggio forbito. Pregiudicato? Si, ma
non dei bassifondi, la cultura era per lui, anzi, un libro aperto. Nella sua
scheda segnaletica era riportato un diploma di terza media: probabilmente
nei dieci anni di carcere già scontati, aveva trovato il modo di ampliare le
sue conoscenze. L’inchiesta era ferma: non era possibile interrogare fior di
professionisti ed intellettuali, senza avere uno straccio d’accusa. Come tante
indagini, fu la fortuna a mettere gli inquirenti sulla pista giusta. Il solito
parco, al tramonto: un’elegante bionda quarantenne si appartò col nostro
sorvegliato. Gli agenti filmarono una sveltina in piena regola, conclusa con il
pagamento di una somma di danaro da parte della signora e la consegna del
solito pacco. Gli ordini della centrale furono concitati e tassativi: la bionda
signora doveva essere fermata e condotta in centrale per un interrogatorio.
L’apertura del pacco, però, lasciò tutti esterrefatti: il materiale oggetto di
scambio era un libro di poesia. L’interrogatorio servì a chiarire molti lati
oscuri di quella vicenda: la signora era la moglie di un noto avvocato e
si dilettava di poesia all'insaputa dell’illustre consorte. Il libro
sequestrato era la prima copia di una sua raccolta, che stava pubblicando in
incognito: il denaro era quanto pattuito con la casa editrice, la sveltina, invece,
era il pagamento richiesto per quel favore. I detective delle finanze le
mostrarono altri filmati, chiedendole se riconoscesse qualcuna delle persone
inquadrate. Identificò il professore universitario: "È un conoscente di
mio marito, un amante della poesia, un autore molto dotato" rivelò agli
inquirenti. "Il commercio dei libri di poesia", chiese che fosse
messo a verbale la bionda signora, "è quasi clandestino: ormai chi vuole
pubblicare qualcosa, deve accettare questi metodi". Gli inquirenti ne
vagliarono a lungo la deposizione, per capire quali estremi di reato potesse
nascondere quella pratica di diffusione degli scritti. I dubbi crebbero col
passare dei giorni, le modalità di consegna dei libri di poesia sembravano
celare qualcosa di più losco di un tentativo di sottrarre le proprie opere
all'attenzione di un marito ignaro. I dirigenti della casa editoriale che stava
curando la pubblicazione del libro sequestrato, sentiti sull'argomento, non
ebbero difficoltà a mettere a disposizione dei detective della Finanza, tutto
il materiale in loro possesso: il testo originale, le bozze corrette, il
contratto editoriale, le mail scambiate con l'autore. La documentazione era in
ordine, non c'era nulla da eccepire sul comportamento della casa editrice: i
reati, se di questo si trattava, erano a monte. Uno degli investigatori si
prese la briga di leggere la pubblicazione, era esperto della materia, poeta in
incognito anche lui. Capì subito di cosa si trattava, l'indomani, in ufficio
avrebbe cercato sul web, tutti i riscontri alla propria ipotesi. Un traffico
internazionale di versi: ecco di cosa si trattava. Qualcuno traduceva le opere
di poeti sconosciuti nel nostro paese: estoni, iraniani, libanesi, kazaki,
bulgari e li vendeva a degli autori. Rimaneggiati, aggiustati alla bisogna,
potevano essere pubblicati a nome proprio. Il sistema aveva però, un anello
debole: se uno di quegli autori diventava famoso, se i suoi versi iniziavano a
circolare liberamente per il web, c'era il rischio che qualcuno scoprisse
l'inganno. Era ciò che era capitato: l'investigatore si era imbattuto in una
poesia di un autore che di recente era stato pubblicato e di cui aveva
acquistato on line, l'opera. Le indagini poterono procedere velocemente: la
bionda poetessa quarantenne, denunciata per plagio e ricettazione d'opere
d'arte, accettò di collaborare con gli inquirenti. La prima poetessa
"pentita" della storia: ecco il titolo di cui poteva vantarsi! Fece
nomi e cognomi d’autori rei di plagio, dei siti di scrittura su cui si potevano
contattare gli spacciatori di versi, dei collaboratori delle case editrici che
dietro una piccola "donazione" chiudevano un occhio su quel che
succedeva. Il canto dei poeti riempì migliaia di pagine di verbali giudiziari:
alla prima minaccia di denuncia per plagio, non esitarono vuotare il sacco. In
pochi giorni gli inquirenti furono sulle tracce degli organizzatori di quel
traffico, ne conobbero l'organigramma, le sedi operative, i complici, ma anche
i nomi degli ignari traduttori che ne consentivano la riuscita. La trappola era
pronta per scattare, ma l'operazione "Penne pulite" non ebbe mai
luogo: una telefonata dalle alte sfere bloccò tutto. Mesi d'indagine andarono
in fumo, i poeti tornarono dopo un po' alle amate abitudini, tutto sembrò
finire nel dimenticatoio. All'investigatore che aveva scoperto l'inganno, però,
il rospo non andò giù: riprese ad indagare, per scoprire quale personaggio
influente, toccato dalle indagini, aveva fatto insabbiare tutto. Ci volle un
po' per arrivare alla verità; su quell'argomento c'erano troppo bocche cucite.
Erano intervenuti i servizi d'intelligence: tra gli organizzatori del traffico,
nascosto dietro un nome falso, c'era un famoso uomo politico e collezionista di
libri. Non ebbe materialmente il tempo di rivelare ad alcuno la propria scoperta:
gli fu fatale, nel bar in cui si recava la mattina prima di prendere servizio,
un caffé corretto alla stricnina. Il referto autoptico parlò di morte naturale:
al funerale, però, parteciparono oltre ai familiari stretti, ai colleghi, ai
rappresentanti della Guardia di Finanza, anche i poeti " pentiti"
Scrissero e recitarono l'elogio funebre: copiato da un poeta emergente del
Mali, tanto per cambiare!
giovedì 31 gennaio 2013
sabato 26 gennaio 2013
I nuovi mestieri: l’amico in affitto
La solitudine ai tempi di Facebook è
quasi impensabile, ma siete sicuri che l’infinita lista di amicizie che vedete
nel profilo di un vostro parente o di un conoscente non sia una finzione, il
frutto avvelenato della realtà virtuale? Di mestiere faccio l’amico a tempo
pieno: nelle pagine Facebook dei miei clienti, sono uomo e donna, studente e
pensionato, ignorante e acculturato. Se pensate che il mio è un mestiere
divertente o poco stressante toglietevelo dalla testa: provate a
immaginare solo quanto tempo e fatica può volerci per recuperare le foto
necessarie a creare quel centinaio di pagine Facebook, indispensabili allo
svolgimento del mio lavoro. Non solo le immagini del profilo, ma anche
quelle del diario, i caricamenti dal cellulare: il mio archivio è composto da
circa ventimila fotografie. Di chi? Non lo so o almeno non so pronunciarne i
nomi. Il metodo è questo: vado sul profilo Facebook di perfetti sconosciuti,
nella maggior parte dei casi stranieri ( russi, polacchi, tedeschi, greci,
bulgari) e ne copio le foto nella mia cartella immagini, quindi le utilizzo per
creare un nuovo account. I nomi li prendo dall’elenco delle pagine bianche,
devo stare attento, però, ai casi di omonimia: nel messaggio con cui richiedo
l’amicizia al mio cliente, gli chiedo di verificare se il nominativo
corrisponde a qualche parente. Siete incuriositi e volete sapere chi sono i
miei clienti, come li scelgo, come li contatto? A dispetto di ciò che pensate i
miei clienti non sono gente solitaria: il grosso, anzi, è costituito da giovani
di belle speranze, di affermati professionisti, di casalinghe iperattive. Tutta
gente, però, che vuole vedere nel proprio profilo più amici dei parenti, dei
colleghi d’ufficio o d’università, delle madri dei compagni dei loro figli.
Gente disposta a pagare senza fiatare per il pacchetto che gli offro: un blocco
di cinquanta amici da scegliere in un vasto catalogo, due chat la settimana,
fino a un massimo di dieci “mi piace” il giorno e di venti commenti il mese sui
post. Il costo del pacchetto? Venti euro, meno di cinque pacchi di sigarette.
Una piccola fetta del mio parco clienti, invece, è costituita da nuovi
iscritti: vogliono fare subito bella figura in ufficio o con i conoscenti,
dimostrare di avere un ampio ventaglio di amicizie. La tariffa, in quel caso, è
raddoppiata, perché comprende anche l’inserimento di un certo numero di post
mensili e la condivisione di link: l’utente, ancora inesperto, preferisce
affidarmi l’intera gestione del suo profilo. "Offresi amicizia per persone
sole, anche virtuale. Assicurasi serietà e bella presenza". Questo è
l'inserzione che ogni settimana pubblico nei giornali e nei portali di
annunci. Non è l'unico modo in cui cerco di procurarmi nuovi clienti. Sono
iscritto a molti siti d'incontri per cuori solitari: a chi mi contatta
propongo, dopo una valutazione del suo profilo Facebook, il mio pacchetto
standard. A volte devo accettare in cambio qualche appuntamento, ma il lavoro è
lavoro, che volete farci. Non mi vendo, ma se posso unire l'utile al
dilettevole, se la persona che incontro, uomo o donna che sia, mi piace, o se
ha argomenti convincenti, diciamo che sono disposto a scendere a compromessi
con la coscienza. Cosa ne pensa la mia fidanzata? Comprende e perdona: le ho
insegnato a fare il mio lavoro, quindi anche lei a volte, ha qualcosa da farsi
perdonare. La sera, quando ci vediamo, ci scambiamo informazioni e pareri sulla
giornata di lavoro. "A te come è andata?" "Giornata tranquilla,
solo un paio di chat, cinque post, cinquanta mi piace, un appuntamento a pranzo
in pizzeria. E tu?" "Ancora più tranquilla della tua". Roba da
neuro, insomma, per chi non conosce il nostro mestiere. Siamo ancora in
pochi a farlo, nella mia città una decina, ci conosciamo tutti e ci aiutiamo.
Ci scambiamo ogni genere di cosa; ad esempio se uno ha bisogno di una foto su
una pista da sci, di link un po' strambo, può chiederlo ai colleghi. Il lavoro
non manca e rende: con la mia fidanzata sto ragionando sul matrimonio, forse è
ora di mettere su casa. Non possiamo comprarla, però: provate ad immaginare la
faccia dell'impiegato di banca se chiediamo un mutuo per l'acquisto di un
appartamento. Che lavoro gli dico che faccio? Il "Friend for rent?" Pronunciato in inglese magari fa un certo effetto. Perché non
provarci, sostiene Chiara, la mia ragazza? "Ci diranno di no, ma almeno
avremo fatto un tentativo, cosa abbiamo da perderci in fondo?".
L'impiegato addetto all'istruzione delle pratiche dei mutui, dietro nostra
richiesta, ci fissa un appuntamento a breve termine, il settore da un po' va al
rallentatore. Ci accoglie sorridente nel suo ufficio, ha a portata di clic, il
conto corrente di entrambi. Forse è per questo che ci tratta con tanti
riguardi: noi ci siamo allenati duramente nei giorni scorsi, per spiegare in
modo convincente cosa facciamo per sbarcare il lunario e progettare il futuro.
Al momento topico, qualcosa però s'inceppa: il nostro interlocutore ha gli
occhi sbarrati, poi guarda il saldo dei nostri conti correnti e torna a sorriderci.
Ci promette il suo interessamento, prima di congedarci ci offre il suo
biglietto da visita. Si fa vivo il giorno successivo, ma fuori dell'orario di
lavoro. Mi chiede se sono disposto ad andare a cena da lui, perché ha una
proposta da farmi. Non posso rifiutare: temendo, però, che possa fare delle
avance, non ne parlo con Chiara, per non infastidirla. Nessuna avance: il
solerte impiegato mi propone d'occuparmi del suo profilo Facebook e di quello
degli amici più stretti e dei parenti. Una decina in tutto e gratis,
ovviamente. Una specie di tangente insomma, per istruire velocemente la
pratica. Non è tutto purtroppo: a cena non era solo, ma in compagnia di una
cugina racchia. Le avance erano le sue e sono andate a segno: sono stato
costretto a transare per due appuntamenti mensili gratuiti, ma col rimborso
spese. La pratica però, grazie a ciò, ha navigato in acque tranquille: alla
voce professione è spuntato, non si sa come, un "commercialista", che
ha messo a tacere ogni discussione. Potremo sposarci presto con Chiara: al
banchetto di nozze non abbiamo invitato, sia pure con sommo
dispiacere, alcun amico, virtuale o in carne ed ossa. Pensate a quanto ci
verrebbe a costare farlo!
venerdì 25 gennaio 2013
Lo strano fenomeno delle stanze nomadi
Uno strano fenomeno stava suscitando
l'attenzione dei media, da qualche giorno in alcune zone del piccolo centro
abitato di un paese della Sicilia, si vedevano stanze d'appartamenti circolare
liberamente per le strade. Non camper, ma vere stanze, con tanto di finestre,
proprietari ed inquilini. Erano persino più disciplinate degli automobilisti,
rispettavano il colore dei semafori, lampeggiavano quando dovevano svoltare a
destra o a sinistra. Ciò non impediva, comunque al traffico di andare in tilt:
immaginatevi d’essere fermi al semaforo, accanto ad una stanza d'appartamento o
d'albergo con un ignaro inquilino che legge il giornale o guarda la televisione
sdraiato sul divano o con una coppia impegnata a fare l'amore. Come reagireste?
Bene di sicuro, se l'inquilino è una giovane e bella ragazza o un aitante
giovanotto. Cosa fareste, dunque, nel vedere una stanza che va in giro per la
città senza alcuna guida? Non so voi, ma le autorità preposte alla quiete pubblica
non l'hanno presa tanto bene: intanto queste stanze non hanno la patente di
guida, non dispongono di una targa, non si fermano all'alt dei vigili o delle
forze dell'ordine, rallentano il traffico, distraggono gli automobilisti.
L'altro giorno in una di queste stanze in libera uscita si svolgeva un'orgia
d.o.c, una di quelle feste a base di musica, sesso e cocaina a fiumi: l'unico
traffico non bloccato era quello degli smartphone che scaricavano le immagini
più piccanti filmate dai tanti guardoni accorsi in massa sul posto. Le forze
dell'ordine aspettavano disposizioni: non potevano senza una valida ragione
intervenire sul luogo dell'evento. Le ragioni di quel fenomeno erano
incomprensibili: una commissione di studio non aveva riscontrato alcuna
differenza tra le stanze comuni e quelle nomadi. Sembravano costruite con
materiali simili, con tecniche identiche: solo comprendendone i meccanismi, si
poteva trovare una soluzione al problema. Furono consultate le menti più
geniali del Paese: un fenomeno così frequente e macroscopico doveva avere una
spiegazione. L'impresa si rivelò troppo ardua per i matematici, i fisici
teorici, gli scienziati di grido, i massmediologi. Il dibattito sulla stampa
era ampio e approfondito: in ogni quotidiano c'era una rubrica in cui ciascuno
poteva avanzare un'ipotesi e le tesi a sostegno della propria idea. C'era chi
credeva che le stanze fossero guidate da degli extraterrestri invisibili, chi
era convinto che a muoverle era una mano divina, desiderosa di lanciare un
messaggio d’avvertimento ai terrestri peccatori. Il clamore mediatico attirò
l'attenzione dei vertici della nazione: le news provenienti dall'area
interessata erano fonte di crescente preoccupazione. Lanci d'agenzia dell'Ansa,
riportavano la notizia di un incidente tra due stanze che procedevano in
direzione opposta. Le conseguenze sembravano disastrose: le prime indiscrezioni
parlavano d’alcuni morti e feriti tra gli automobilisti di passaggio. Gli
inquilini, invece, pur in stato di choc se l'erano cavata solo con qualche graffio.
Il Presidente del Consiglio convocò il ministro degli interni per dei ragguagli
sulla situazione. Il capo del Viminale chiamò il responsabile della Polizia e
dei servizi segreti, per avere notizie sullo stato dell'arte delle indagini. Il
capo della Polizia inviò una mail al commissario che seguiva il caso, per avere
delucidazioni e novità. Il commissario Occhipinti chiese ad alta voce e con
tono brusco all'agente Puglisi, di che cazzo si stesse occupando. Il sottoposto,
innervosito dalle continue interruzioni mandò a quel paese, il commissario, che
doveva riferire al capo della Polizia, che a sua volta doveva relazionare il
responsabile dei servizi, che in tempi rapidi doveva spiegare al ministro
dell'Interno lo stato delle indagini, che nervoso aspettava risposte per
rassicurare il Presidente del Consiglio. Una telefonata dal responsabile della
C.I.A. incuriosì il Capo del Viminale: i servizi americani informavano in modo
informale i nostri vertici che loro non avevano nulla a che fare con quello strano
fenomeno. La tempistica sembrò sospetta: perché si era scomodato addirittura il
responsabile dell'intelligence, si chiesero in molti, per rigettare un'accusa
che nessuno aveva mai avanzato? Un'ipotesi si fece strada nella mente di tutti:
in quella zona, già da qualche mese erano state installati tre trasmettitori
parabolici ad altissima frequenza e due antenne, in un'area dove a causa di
precedenti installazioni militari si erano verificati numerosi e anomali
casi di leucemia e di malattie cancerogene, dovuti all'elevata esposizione alle
onde elettromagnetiche. Restava da capire se lo strano fenomeno delle stanze
nomadi avesse una qualche relazione con l'installazione dei nuovi trasmettitori
parabolici oppure se i responsabili dei servizi statunitensi, temevano che la
localizzazione del fenomeno favorisse una campagna d’opinione e di stampa
contro il sito militare di quell'area. Il responsabile delle CIA non fu l'unico
a fare quell'associazione d'idee: presto anche la stampa cominciò a sostenere la tesi
che gli strani fenomeni di Niscemi, dipendessero dall'elevato grado
d'inquinamento elettromagnetico. Le indagini strumentali rivelarono livelli di
elettromagnetismo tripli rispetto a quelli tollerati dal corpo umano. I
cittadini si mobilitarono: anche dai paesi vicini era un susseguirsi di
proteste, assemblee, manifestazioni, cortei pacifici e non. Il governo aveva le
mani legate: i trattati internazionali impedivano la chiusura unilaterale di un
sito militare della Nato. L'entità del fenomeno nel frattempo si era ampliata,
senza che nessuno trovasse una spiegazione plausibile. Gli incidenti, i morti
per scontri tra stanze di appartamento erano ormai quotidiani: tra coloro
che protestavano c'erano anche i ladri di professione. Per svolgere in
sicurezza il loro mestiere era necessario che la stanza non si muovesse. Alcuni
denunciarono il fatto che dei loro colleghi all'opera, si erano trovati, dopo avere
fatto il giro del paese, catapultati davanti al comando di Polizia e arrestati
in flagranza di reato. Col loro striscione: "Stanze immobili e piene di
contanti: ecco ciò che vogliamo" chiedevano la solidarietà dei derubati.
Non se la passavano meglio gli ubriachi, gli stupratori, gli assassini:
statistiche alla mano, il numero dei reati era drasticamente calato nelle ultime
settimane. Il clima era ormai irrespirabile: una soluzione andava trovata con
urgenza. Se non si poteva eliminare il fenomeno, almeno si poteva provare a
regolamentarlo per legge. Deputati e Senatori scatenarono la fantasia: c'è chi
propose di consentire nelle ore notturne, solo la circolazione delle stanze
nomadi, per limitare il numero delle vittime degli incidenti. Un deputato in
vena di scherzi propose l'obbligo di patente per le stanze nomadi, un altro,
l'obbligatorietà delle cinture di sicurezza e del test dell'alcol prima della
partenza. La legge licenziata in tempi fulminei dal Parlamento, però, non trovò
tutti d'accordo: un lungo corteo di stanze la contestò duramente. Fu minacciato
il blocco del traffico, se non veniva ritirata immediatamente. Una nuova legge,
scritta ed approvata in quarantotto ore, abrogò la precedente. Il fenomeno non
si estendeva a macchia d'olio: era sempre circoscritto nella zona limitrofa a
Niscemi. Trovarono la soluzione: ventiquattro ore per scrivere la proposta, farla approvare dalla
commissione Lavori Pubblici della Camera e dall'Aula di Montecitorio, per
trasferirla al Senato e dopo un iter fulmineo licenziarla come legge e portarla
per la firma al Capo dello Stato: cose mai viste stavano accadendo in Italia.
La legge approvata prevedeva il trasferimento immediato dei cittadini di
Niscemi negli alberghi vicini e l'abbattimento di tutte le abitazioni. Il paese
sarebbe stato ricostruito in un altro sito distante una cinquantina di
chilometri dal vecchio centro abitato. Le stanze nomadi furono distrutte:
qualcuno sostiene di aver visto girare in quella zona calcinacci, pezzi
d'intonaco, pietre pesanti. Forse sono solo leggende, ma gli abitanti di
Niscemi, sognano un giorno di poter tornare sui terreni dei loro avi e non si
rassegnano alla perdita delle radici. Un giorno, forse, a cavallo di case
nomadi, potranno fare il loro viaggio di ritorno!
mercoledì 23 gennaio 2013
I nuovi mestieri: il commentatore
Mi presento: sono un commentatore. Non è un refuso, di mestiere faccio proprio il commentatore. Non il recensore di un romanzo, di un opera teatrale, di un disco, ma semplicemente incenso o stronco a richiesta una poesia, un racconto, qualunque cosa pubblicata in un sito per aspiranti autori. Che ci guadagno, come campo? Siete proprio degli ingenui, non sapete nulla di come va il mondo nell'era del web 2.0. Vi spiego come funziona: m'iscrivo a un sito web e pubblico un testo. Pensate che sono anch'io un autore in cerca di gloria? Nulla di tutto questo: ciò che pubblico non è farina del mio sacco. Qualche tempo fa ho comprato all'ingrosso da un autore che aveva intenzione di appendere la penna al chiodo, un po' di materiale, un tanto al chilo, senza andare troppo per il sottile. Poesie, commedie, racconti osceni, storie di vampiri e troie arrapate; insomma il genere che va di moda. Dunque m'iscrivo e pubblico qualcosa: ci sono siti in cui per commentare, basta l'iscrizione, altri in cui bisogna raggiungere un certo numero di pubblicazioni. Monitoro la situazione per qualche giorno; leggo tutto, verifico il numero di letture e commenti raggiunti da ogni autore. Scelgo i più scarsi, quelli che hanno bisogno di un incoraggiamento, che scrivono come cinesi al momento dell'arrivo nel nostro paese: in caratteri ideografici. Scelta la preda la contatto con un messaggio privato e avanzo la mia proposta: mezzo euro per tre commenti e una ventina di letture in più. In realtà in ogni sito ho una decina di nickname fantasiosi, anche quelli acquistati all'ingrosso e a rate dagli eredi di un commentatore defunto: potrei vendere più commenti ed assicurare un maggior numero di letture, ma se poi l'autore, una volta raggiunto la testa della classifica, pensa che sia tutto merito suo e mi licenzia, che faccio? Meglio lasciarlo a bagnomaria, nella terra di mezzo della gloria letteraria. Il lavoro non mi manca, anzi a dire il vero ne ho sin sopra i capelli: quello che mi distrugge è l'ansia di certi autori! Pretendono il commento in tempo reale e non badano a spese: per i commenti postati oltre la mezzanotte ho dovuto alzare la tariffa del 50% per scoraggiarli, ma senza grandi risultati. Se la redazione di un sito pubblica un mio cliente di notte, mi tocca alzarmi e intervenire d'urgenza! Come faccio a saperlo? Semplice è l'autore in persona ad informarmi con tre squilli al cellulare. Ci sono notti in cui per dormire un po' in pace sono costretto a spegnerlo e ad inventare, il giorno dopo, ogni genere di scuse, per essere pagato. Mi fanno imbestialire quelli che hanno la vena creativa dopo essere tornati dalla discoteca o che per avere uno straccio d'idea hanno bisogno di un rapporto sadomaso: dico io, visto la qualità dei loro lavori cosa cambia, se pubblicano alle dieci del mattino? Qualcuno deve avere sparso la voce, perché a volte mi contattano anche degli autori di valore per avere un piccolo aiutino, per qualche lettura e commento in più della concorrenza. Chiedono uno sconto e in genere li accontento, anche se a volte per commentarli sono costretto a consultare il dizionario, in cerca di termini più raffinati e incomprensibili. Non sopporto i dilettanti: guadagnerei molto di più senza tutti quei commenti interessati, quegli scambi di "amorosi sensi" tra autori. Io ti commento se lo fai anche tu: che bisogno c'è? Basto io per tutti, in cambio di un compenso da...caffè ristretto! La pacchia però è finita: siamo sempre di più a fare questo lavoro e le tariffe sono in calo. Ci sono extracomunitari che per venti centesimi assicurano cinque commenti e una cinquantina di letture. Alcuni propongono tariffe dimezzate, da dieci centesimi per commenti in lingua originale: se vi capita, in un sito letterario di vedere una poesia napoletana commentata in bulgaro, già sapete che è un commento comprato. Sta diventando una moda: certi autori pretendono commenti in tre lingue diverse, per dimostrare la loro internazionalità. Tra breve mi toccherà appaltare il lavoro agli extracomunitari per accontentarli. Vi racconto la mia ultima trovata, per incrementare gli affari. Scelgo nickname di autori famosi, ad esempio Montale, Neruda, la Dickinson, Dylan Tomas e commento le poesie dei miei clienti con i loro versi. Fa sempre un certo effetto leggere il proprio nome accostato a dei veri maestri! Scelgo i versi a caso: tanto ormai si è sparsa la voce e leggono solo i commenti. L'autore non lo degnano di uno sguardo. Ecco come mi difendo dalla crisi e amplio la mia clientela. In realtà mi piacerebbe avere anche qualche piccolo attestato. L'altro ieri ho spedito una mail a tutti i siti di scrittura dove commento: ho presentato il mio lavoro e chiesto l'indizione di un concorso per commentatori. Forse è troppo, ma magari una giuria può scegliere il commentatore del giorno, della settimana o del mese. Anch'io, come gli autori miei clienti, ho diritto ogni tanto a una vetrina: una foto in prima pagina è un'emozione che non mi dispiacerebbe provare. Il lavoro rende: devo, però, anche pensare al futuro. Non posso fare il commentatore a vita, devo trovare qualcosa che mi assicuri una vecchiaia serena, una pensione dignitosa. Sono andato alla C.G.I.L. per raccontare del mio lavoro: ho fatto la figura dell'extraterrestre, non pensavano che ci fosse qualcuno al mondo che campa così. Hanno preso la cosa sul serio e svolto un'indagine segreta: in tutto il paese, ci sono solo un centinaio di persone che fanno questo lavoro. Troppo poche per aprire una vertenza nazionale per la tutela dei lavoratori del commento! Non ho altra scelta per ora, almeno sin quando non mi viene in mente qualche idea migliore, mi spettano altre notte insonni al servizio di autori ispirati da rospi, rane, principesse, politici e commendatori. Con la "D", almeno per questa volta!
lunedì 21 gennaio 2013
Maghi, sensitivi e cartomanti: c'è in linea il futuro!
Vagavo per la città senza una meta: il colore uggioso del cielo era anche quello del mio umore. Non avevo più un lavoro già da qualche giorno: la ditta cui avevo dedicato molti anni della mia vita aveva chiuso i battenti, spazzata via dai venti di crisi che ancora spirano su questa parte del vecchio continente. Con lo sguardo basso e il morale sotto i tacchi non mi accorsi nemmeno di lei: la urtai per sbaglio. La guardai e le chiesi di scusarmi. Era una zingara giovane e bella: forse è per questo o solo per rafforzare le mie scuse, che accettai la proposta di farmi leggere la mano. Le mostrai la sinistra: dopo averla guardata con attenzione per qualche minuto, scosse la testa. "La linea di Saturno mormorò, la linea di Saturno è spezzata. Puoi scordarti il successo, la Dea bendata non ti degna di uno sguardo". Le chiesi delle probabilità di trovare un lavoro, di pagare regolarmente l'affitto della abitazione dove mi ero trasferito dopo la separazione. Le risposte non furono favorevoli. "Ti aspetta una vita grama e dura" mi disse guardandomi diritto negli occhi. Le diedi una moneta da un euro ed affrettai il passo, deciso a tornare a casa, il prima possibile. La prima cosa che feci appena varcato l'uscio della mia abitazione fu accendere il portatile. Il colloquio con la zingara aveva accresciuto il bisogno di conoscere il futuro; mi misi a cercare tra siti di cartomanti, divinatori e sensitivi, chi poteva darmi qualche speranza. Una stanza in penombra, il profumo d'incenso nell'aria, un'atmosfera intrisa di magia e mistero; la "Maga dei sogni realizzati" mi accolse con un largo sorriso, dopo aver contato i soldi pattuiti per l'onorario, al momento dell'appuntamento. Mi lasciò parlare. Aveva un sorriso rassicurante, il volto materno di una donna che dedicava il tempo libero alla cura dei nipotini. Le raccontai del lavoro perso, della separazione da mia moglie, di quanto mi mancassero i miei figli. Mi sorrise senza battere ciglio; mischiò le carte e mi chiese di alzarle con la mano sinistra. La prima ad uscire fu Il Carro al rovescio, seguita in successione dall'Appeso e dalla Torre. Il responso delle carte era chiaro: il futuro si prospettava difficile. Provò ad utilizzare tecniche differenti per addolcire almeno un po' la pillola, ma con scarsi risultati. La salutai, prima di abbandonare la stanza col morale a terra. Non mi rassegnai: forse un astrologo poteva darmi risposte migliori. Presi appuntamento con un'autorità del campo: la parcella richiesta era da idraulico al lavoro nel giorno di Ferragosto. Uno sproposito! Prima di confermare l'appuntamento per la settimana successiva, mi furono chiesti i dati natali, per stendere il tema radix e preparare i calcoli dei transiti, delle direzioni simboliche e delle rivoluzioni solari necessarie a una seria divinazione del futuro. Rimasi sbalordito: non immaginavo che dietro la stesura di un oroscopo potesse starci tanto lavoro! Attesi con ansia, quindi, il giorno dell'appuntamento.
Il responso degli astri non si discostò molto da quello delle carte; sembrava proprio che Saturno m'avesse preso di mira! Alla nascita dominava l'ascendente; opposto a Venere, era responsabile dei miei problemi affettivi, in aspetto teso col Sole complicava la ricerca di un lavoro sicuro. Meno male che non si è ancora scontrato con Marte: quando succederà, prima o poi, anche la salute potrà risentirne. Nessuna speranza, pur piccola, l'avvenire è tetro, almeno a sentire gli astri. Il disordine del mio appartamento da single non era il massimo per tirarsi su di morale: bastò qualche telefonata, però, per trovare un'amica disposta ad allietare la mia serata, in cambio di un piccolo incentivo...in denaro.
Ripresi a cercare un'occupazione: spedii curriculum ovunque, presi un'infinità d'appuntamenti, feci decine di colloqui di lavoro. Con Saturno contro, però, c'era poco da fare. L'ozio, dice un proverbio, è il padre dei vizi: posso giurare che è vero, dato che spendevo il sussidio di disoccupazione in fumo, alcool e puttane. Un pomeriggio che ero già brillo e vagavo per le strade in cerca di compagnia, mi ritrovai di fronte alla zingara che mi aveva già letto la mano. Mi riconobbe e sorridente mi chiese del lavoro e del resto col suo forte accento dell'Est: le bastò la mia alzata di spalle per capire che le cose non erano cambiate. Fu l'alcol, forse, a rendermi audace o il bisogno di placare la solitudine: fatto sta che l'invitai a cena per quella sera. Fui stupito dal suo assenso immediato: le diedi l'indirizzo del ristorante e le chiesi quello di casa, per passare a prenderla all'ora convenuta. Mi rispose che non era necessario, conosceva dove era situato il locale e non aveva difficoltà a raggiungerlo. Arrivò alle ventuno in punto, mentre ero già seduto al tavolo del ristorante prescelto; non la riconobbi subito. In abito lungo nero firmato Valentino, con i capelli biondi sciolti, il trucco leggero, non assomigliava per nulla alla zingara che leggeva la mano per strada. In realtà, mi rivelò durante la cena, non era una zingara, ma una laureata in lingue disoccupata. L'idea di quello strano lavoro le era venuta dopo l'ennesimo mancato rinnovo di un contratto: grazie a questa trovata, guadagnava parecchio, poteva permettersi un certo tenore di vita e in fondo non faceva nulla d'illegale. Tirai un sospiro di sollievo. Allora, le dissi, la linea di Saturno non c'entra niente, era tutto un trucco! Ho letto qualche libro, disse, ma non sono un'esperta: mi dispiace se le mie parole ti hanno preoccupato. Non fu la nostra unica cena: altre ne seguirono. M'invitò a casa sua qualche sera dopo e facemmo l'amore: qualche mese dopo mi vi trasferii in pianta stabile. La mattina mi alzavo presto con lei: che piacere era guardarla mentre svestiva morbide vesti di seta, per indossare poveri abiti consunti e sgualciti, dalla pioggia e dalle intemperie del tempo. L'accompagnavo al lavoro e ne curavo gli interessi: investivo i suoi risparmi, da manager esperto di trading sapevo come farli fruttare. Ci guadagnavo qualcosa anch'io: forse cartomanti e astrologi avevano sbagliato i conti. Il successo non dipende dalle stelle, ma dal talento, da ciò che si è appreso o si sa fare. La felicità non fu duratura, non bastò essere innamorati, andare d'amore e d'accordo per deviare il corso del fato o del caso, fate voi. Un giorno, un manipolo di naziskin, delle teste rasate del cazzo, la scambiò per una zingara vera: fu picchiata a morte ed infine accoltellata, tra l'indifferenza dei passanti. La ribellione dei benpensanti ci fu, ma solo dopo la scoperta della vera identità: quella di una laureata costretta a fingere di essere una zingara per sopravvivere. Non era il mio Saturno ad essere contro, ma il suo: o almeno il suo a detta degli astrologi consultati era più contro del mio! Qualcosa di lei mi è rimasto: non solo il ricordo di giorni e mesi felici, ma anche il lavoro. Ho letto i libri che aveva a casa, ho appreso l'arte della lettura della mano: la mattina mi travesto da zingara anch'io, un po' per non dimenticarla, un po' perché i soldi ormai scarseggiano. Leggo le mani ai passanti: se qualcuno m'invita a cena però non accetto! È un racconto, non un film o il set di "A qualcuno piace caldo", anche se anche qui, nessuno è perfetto!
sabato 19 gennaio 2013
Versi in mutande e guêpiere
La
convocazione
Arthur
Rimbaud fu avvertito da un sibilo, simile ad uno schiocco di frusta,
dell'arrivo di un sms sul suo smartphone d’ultima generazione. Lesse
incuriosito: si trattava di una convocazione in direzione, la prima da quando
abitava in quel luogo. Si chiese cosa mai potesse volere da lui il gran capo,
poi, però, tornò ai suoi pensieri: il tempo del percorso e avrebbe saputo.
Dovette attraversare di corsa il grande parco dei divertimenti, dove una
moltitudine gaudente, ci dava dentro di brutto: in quel luogo l'unico svago
ammesso e tollerato era l'amplesso. Il Kamasutra era il libro più letto, lo
conoscevano tutti a memoria: ogni quattro anni la direzione consentiva lo
svolgimento dei giochi olimpici del sesso. Non era bello come può sembrarvi: di
gente normale, da quelle bande, c'è n'era davvero poca. Giunse presto al centro
direzionale: l'unico posto in cui l'aria condizionata era a tappo, tutto
l'anno. Fu necessario coprirsi le spalle con un maglione: le temperature, erano
più basse di venti gradi rispetto a fuori. Fu introdotto nell'ufficio del capo
da un'attrice di grido, una di quelle che in vita avevano fatto il pieno nei
teatri, nei cinema e nei letti. Mega schermi, computer, amplificatori di suoni,
mixer da fantascienza, tecnologia d'avanguardia: ogni angolo di quel luogo non
sfuggiva al controllo dell'intelligence del capo. Tutto era registrato,
analizzato e poi archiviato: nessun giudizio o punizione; più buio di
mezzanotte tanto non può fare. Il capo lo attendeva seduto nella poltrona con
vista sul parco giochi: visto da lassù lo spettacolo era ancora più
impressionante. Un cielo rosso cupo, l'odore di zolfo e di putrefazione, di
corpi cui non era concesso l'uso dell'acqua e del sapone, cumuli di spazzatura
e di letame dappertutto. La voce del capo era suadente, profonda, da attore
consumato: non perse tempo in convenevoli, ma avanzò la sua proposta. Un
concorso di poesia erotica, aperto a tutti, dannati ed eletti, peccatori ed
anime pure: l'invitò a presiedere la giuria, a scegliere in piena autonomia gli
altri giurati. Spiegò le ragioni della sua scelta: voleva elevare il livello
culturale dell'Inferno, gareggiare per bravura e talento con Purgatorio e
Paradiso. Le ultime statistiche rivelavano una costante riduzione dei nuovi
ingressi e delle vocazioni. Era qualcosa cui porre rimedio subito, con
iniziative promozionali, con una campagna pubblicitaria più tambureggiante
sulla Terra e sui pianeti che consentivano forme di vita evolute. Rimbaud rifletté
un attimo, prima di accettare: chiese carta bianca nella scelta dei temi e
delle regole del concorso. "Il premio chiese a bruciapelo qual'e'?"
Non basta una targa, un premio in denaro, per invogliare i dannati alla
scrittura: il sesso preferiscono praticarlo e non descriverlo. "Al
vincitore sarà consentito di vivere di nuovo" rispose sicuro il capo,
prima di congedarlo. All'uscita trovò Pier Paolo Pasolini in attesa: tra breve
gli sarebbe stato offerto di girare lo spot del concorso e la campagna pubblicitaria
dell'Inferno. L'ufficio stampa diramò subito il comunicato con la notizia del
concorso poetico "Sesso: all'Inferno o in Paradiso è bello lo
stesso", subito ripreso dai colleghi degli altri luoghi ultraterreni.
Selezione
della giuria
La
pagina Facebook di Arthur Rimbaud fu presa d'assalto: in poche ore ci furono
almeno trecentomila contatti. La notizia ebbe il potere di scuotere persino
angeli e beati: anche lì, il sesso fu lo sport praticato per quel giorno. Il
sesso degli angeli? Balle, anche loro, hanno le palle! Rimbaud scelse in fretta
la squadra giudicante: a Baudelaire, affiancò Pietro l'Aretino, Cecco
Angiolieri e Fedor Dostoevskij. Stabilì le regole: ogni partecipante poteva
proporre tre poesie a sfondo erotico. La partecipazione era consentita solo ai
dilettanti, a chi in vita non aveva fatto della poesia e della letteratura, la
propria fonte di sopravvivenza. Inviò una copia del bando alla redazione stampa
dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Arrivò una valanga di versi osceni, di
parole senza senso: il sesso, evidentemente, è più facile praticarlo che
cantarlo. Non mancavano, però, le perle: c'erano dei componimenti che
sembravano proprio sgorgare dalle corde dei grandi poeti della storia. Tra le
mail che attirarono l'attenzione di Rimbaud, ci fu quella di una certa
"Viaggiatrice degli Inferi" che allegava quello che a prima vista
sembrava il rifacimento della poesia di Dante "Tre donne intorno al cor mi
son venute" Era quella a suo dire la prima stesura della poesia, quella
che Dante le aveva fatto pervenire in gran segreto con una delle sue serve:
nella cultura del tempo, però, per certi argomenti non c'era spazio e aveva
dovuto stenderne una versione più edulcorata. La lesse con attenzione: la mano,
poteva essere quella del grande poeta. La salvò in una speciale cartella, per
poterla valutare con più attenzione. Il giorno dopo la storia sembro ripetersi:
"Acqua azzurra, acqua chiara" allegava alla sua mail i versi erotici
molto audaci, scritti e spediti quando era ancora in vita da Francesco Petrarca
in persona. "Non al suo amante più Moana piacque/quando per tale ventura
tutta ignuda/la vide in mezzo de le calde acque/a trastullar due attrezzi,
cruda/nel passar dall'uno all'altro in un lampo". Chi l'avrebbe mai
creduto, pensò tra sé e sé, Rimbaud, prima di salvare il testo e di passare
alla lettura di una nuova mail. Sembrava che in Paradiso si fossero passati la
parola: fu tutto un fiorir di versi lussuriosi, postati dalle donne dei poeti
più grandi della storia. Il regolamento parlava chiaro: il concorso era vietato
ai professionisti della penna, forse poteva chiudere un occhio, se
"Viaggiatrice degli inferi", "Acqua azzurra, acqua chiara",
"Fiamme lussuriose" o "Ragazza di campagna" decidevano di
presentare le poesie come proprie.
Nuove
idee
Rispose
alle loro mail, invitandole a presentare i testi come da regolamento, ma col
proprio nome, perché altro non era possibile. Continuò nella selezione del
materiale del concorso, in attesa di una risposta. Passò qualche giorno prima
di ricevere le mail tanto attese: forse si erano consultate, fatto sta che
tempi e contenuti erano molto simili. Rifiutarono sdegnate: non potevano
appropriarsi di ciò che non erano loro, né potevano esporre a brutte figure chi
le aveva scritte. Eppure Rimbaud non voleva rassegnarsi: doveva trovare il modo
di far diventare pubblico quel materiale, di squarciare il velo dell'ipocrisia
che ancora nasconde la vera natura della poesia. Cercò nelle pieghe del
regolamento, si consultò con gli altri giurati, studiò ogni possibile
soluzione, ma invano. L'idea migliore venne a Pietro l'Aretino: "Perché
disse non facciamo filtrare notizie del concorso sulla terra? Ci sarà pure un
sito d scrittura dove in questo momento c'è un concorso di poesia erotica?
Possiamo inviarvi il nostro materiale, compreso quello di cui stiamo
trattando". La proposta fu approvata all'unanimità, fu affidato a Cecco
Angiolieri, il compito renderla esecutiva. L'Angiolieri prese a monitorare il
web alla ricerca del sito più adatto alla pubblicazione del materiale del
concorso, ma non trovò granché di soddisfacente: uno non gli andava bene perché
poco frequentato, nell'altro erano inseriti solo testi superficiali, nella
maggior parte i testi erotici non erano pubblicati in vetrina, ma inseriti in
un area riservata. Ci volle del tempo per trovare quello giusto: quando già era
sul disperato andante s'imbatte nel sito web "Versi in mutande e
guêpiere". Lesse e vi s'iscrisse col nickname "dadi e slot
machine", per gioco vi pubblicò dei versi scritti ad hoc e ne attese la
pubblicazione.
Versi
in mutande e guêpiere
Il
redattore lesse distrattamente l'ultima proposta: era quella di un nuovo
iscritto, un tal di nome "dadi e slot machine". Restò basito! Che
strano stile, fu il suo primo pensiero. Rilesse più volte il testo:
La
mia donna m'ha mandato al cesso
La
mia donna m'ha mandato al cesso
Perché di carezzare la mia spada
E' già da un po' che si è stufata
per lei se non si rizza ormai è lo stesso.
E mi ripete che il suo cuore adesso
Batte per un altro che la spada
Ha lunga, dritta e sempre affilata
Non come me che fallo spesso.
Perché una medicina non inventate
Perché di carezzare la mia spada
E' già da un po' che si è stufata
per lei se non si rizza ormai è lo stesso.
E mi ripete che il suo cuore adesso
Batte per un altro che la spada
Ha lunga, dritta e sempre affilata
Non come me che fallo spesso.
Perché una medicina non inventate
Che a
comando mi fa trombare?
La donna
mia mi prende a pedate
Se ancora una volta a scopare
Se ancora una volta a scopare
Non
riesco, dopo tre prove fallate
C'è l'esclusione sine die dalle
gare.
Il
solito ragazzino strafatto, pensò. Eppure nel suo stile c'è qualcosa di antico:
forse prima di farsi stava a leggere un po' di storia. Approvò e pubblicò senza
battere ciglio, senza dire un fiato. Le letture della poesia decollarono, non
mancarono i curiosi, i commenti sfottenti: un certo " son sfinito di
sesso" ad esempio chiedeva a quanto la davano le madonne del tempo (più
che sfinito di sesso, sembrava intontito dal vino); un certo "mi gioco
tutto" voleva sapere in quale sito poteva giocare a dadi. Commenti sulla
poesia? Tutti generici, in fotocopia "bella, piaciuta, digerita",
quasi fosse una camomilla e non satira di costume. Ma se il convento non passa
altro che si può fare? Rimbaud e i giurati fecero il punto della situazione:
lessero il regolamento del concorso "Orge in versi, con annessi e
connessi", prima di stabilire il da farsi. A Baudelaire fu dato il compito
d'inventare i nickname più adatti ai testi da proporre, a Dostoevskij, fu
chiesto di decidere la scaletta delle proposte e di tenere i contatti con la
redazione e la giuria. A sé stesso Rimbaud lasciò il piacere di proporre i
versi audaci dei grandi della poesia. Chiese a tutti di pubblicare qualcosa sul
sito, protetti dal nickname potevano sbizzarrirsi, mettere da parte ogni tabù
nello scrivere di sesso.
Orge
in versi con annessi e connessi.
I
redattori notarono un anomalo incremento dei testi in concorso, almeno il
triplo rispetto agli anni precedenti. Ne erano contenti, ma non avevano
una spiegazione pronta per il fenomeno: l'altra stranezza che notarono era
l'estrema varietà degli stili. Negli altri anni molti testi sembravano delle
fotocopie: al di la del valore effettivo c'era un comune sentire degli autori,
un filo rosso che li univa. Rimasero sorpresi dall'originalità di certi
nickname: ad esempio c'era chi si firmava "fatto d'assenzio", chi
"albatros morente", chi "sparo al colore". Ed ancora
"un demone per amico", "una foglia di fico sul di dietro",
"lingua senza inchiostro". Molti testi furono scartati perché non
attinenti al tema del concorso: in alcuni l'audacia non andava oltre un bacio
in bocca, una carezza sulla guancia, un incrociarsi di sguardi. Archeologia
del sesso, insomma. I redattori concentrarono l'attenzione su alcuni testi:
sembravano la parodia di poesie conosciute o una declinazione sul versante
erotico delle stesse. "Tre donne intorno al core mi son venute" ad
esempio, trattava di tre lesbiche in calore in piena azione, davanti agli
sguardi di curiosi e guardoni. La vicenda di "Cloridano e Medoro"
dell'Ariosto, invece, era il racconto di un amore omosessuale. "Solo
et pensoso" di Petrarca era un inno alla masturbazione, come il
"Passero solitario" di Leopardi anch'essa riscritta con tale intento.
E che dire di "Quanto è bella giovinezza" di Lorenzo de Medici,
trasformata nella descrizione di un orgia di gruppo, tra Bacco, Arianna, Satiri
e Ninfette? Roba per cuori forti. Il concorso era riservato ad opere originali,
ma quei rifacimenti, potevano essere considerate tali? Era necessario
approfondire l'argomento. Fu convocata apposta una riunione di redazione. Le
posizioni sull'argomento erano molto divergenti: certo era strano, fece notare
qualcuno, un tale proliferare di versioni erotiche di testi famosi. Fu deciso
di accettarle tutte: sulla qualità della scrittura nessuno ebbe qualcosa da
eccepire.
Echi
dal Paradiso
L'intenso
traffico di mail con l'Inferno destò la curiosità e l'attenzione del servizio
d'intelligence del Paradiso, che decise di monitorare ogni comunicazione. Bastò
qualche giorno per avere un quadro chiaro della situazione e per stendere un
primo rapporto alle gerarchie. San Pietro in persona trovò un lungo dossier
sulla sua scrivania: arrossì alla lettura di quei versi audaci, per certi
passaggi dovette ricorrere all'aiuto di traduttori o di esperti del settore. Su
quell'argomento, la sua esperienza era molto limitata. Valutò la possibilità di
convocare prima le autrici delle mail e poi gli autori dei testi, inviati al
concorso indetto dalla direzione dell'Inferno. Prima di ogni cosa, però, inviò
un messaggio riservato a Lucifero, per bloccarne la selezione.
"Viaggiatrice degli inferi", "Acqua azzurra, acqua chiara",
" Fiamme lussuriose", "Ragazza di campagna" furono
convocate d'urgenza e sottoposte a un interrogatorio. Non poterono negare
l'evidenza: confermarono di essere le autrici delle mail inviate a Rimbaud, ma
sostennero, a differenza di quanto affermato in precedenza, di esserne le
autrici. Era un tentativo, generoso, quanto vano, di tenere fuori da quella
storia, i veri autori. Bastò poco per scoprire la verità: nei tablet, di Dante,
Petrarca et company, c'era traccia di quei versi. Fu istruito un processo
per direttissima: l'accusa venne affidata a San Tommaso, la difesa, invece,
toccò a Sant'Agostino.
Rumors
dall'Inferno
Il
messaggio di San Pietro fece drizzare le antenne a Lucifero, che convocò subito
Rimbaud e l'intero comitato giudicante del concorso, non prima di aver chiesto
d'urgenza una relazione scritta sullo stato dei lavori. I servizi
d'intelligence gli avevano già riferito dell'istruzione di un processo a degli
imprecisati autori di poesie erotiche. Volle saperne di più, prima di
rispondere per iscritto alla richiesta di San Pietro. La relazione di Rimbaud
si rivelò esaustiva: conteneva i versi incriminati, le mail con cui erano stati
inviati, tutti i messaggi scambiati con le anime del Paradiso, i verbali delle
riunioni in cui si era deciso di pubblicarle sul sito "Versi in mutande e
in guêpiere ". Una brutta gatta da pelare, pensò tra sé e sé, il
responsabile dell'Inferno: decise di giocare d'astuzia, di accontentare San
Pietro, senza ostacolare il lavoro di Rimbaud e soci. Rispose alla
comunicazione del Paradiso, garantendo l'esclusione di quei versi dalla
selezione del concorso, in quanto contrari al regolamento. Poi invogliò Rimbaud
a proseguire nell'opera di diffusione sulla terra, delle stesse opere,
approvandone in toto il comportamento.
Il
concorso " Orge in versi"
Allo
scadere del termine previsto per l'invio dei lavori, il comitato giudicante si
mise all'opera per scegliere, come da regolamento cinque composizioni. L'opera
vincitrice del concorso, sarebbe stata scelta dai lettori, con un'apposita
votazione. La selezione non fu difficile: solo una però delle composizione
inviate dall'aldilà, entrò nelle cinquina vincente. Le altre, a parere del
comitato giudicante, risultavano antiquate nello stile, banali nelle metafore,
poco ispirate. I risultati della selezione, pubblicati con una nota della
giuria, sulla prima pagina del sito "Versi in mutande
e guêpiere" suscitarono lo sconcerto di Rimbaud e soci, ma dettero lo
spunto, all'intelligence del Paradiso, per avanzare una proposta di soluzione
alle gerarchie. Bastava trovare il modo di evitare la pubblicazione dell'unico
testo selezionato dalla giuria, per sistemare le cose. San Pietro, dopo aver
letto la relazione pervenuta sul proprio tavolo, approvò la proposta e lasciò
carta bianca ai servizi d'intelligence su come metterla in pratica. I membri
del collegio giudicante del concorso "Orge in versi" furono
sottoposti a opposte pressioni: mail, lettere minatorie, sogni funesti, si
sprecarono. Non capivano il perché di tutto l'interesse per quel testo:
probabilmente non sarebbe stato nemmeno il vincitore del concorso.
Mosse
e contromosse
Lucifero
convocò nuovamente Rimbaud e soci: alzò la voce, spiegò che quella sfida andava
vinta a ogni costo. Allargò i cordoni della borsa: non mise tetti di spesa per
ungere qualche ingranaggio, per la corruzione di giurati e lettori.
Ordinò all'intelligence di rintracciare i nominativi di ogni singolo lettore
del sito degli ultimi sei mesi: al momento opportuno, gli sarebbero stati
proposti dei soldi, per votare i versi che stavano loro a cuore. Un'analoga
riunione si svolgeva contemporaneamente negli uffici della dirigenza del
Paradiso: ai servizi d'intelligence fu chiesto di bloccare a ogni costo, la
pubblicazione dei versi troppo audaci di un'anima eletta. Se fosse stato
necessario ungere qualche ruota, si sarebbero voltati dall'altra parte,
avrebbero finto di non aver visto l'accaduto. La guerra dei servizi segreti fu
senza esclusioni di colpi: a ogni singolo lettore del sito arrivarono proposte
economiche opposte. Per votare una certa poesia o per evitare di leggerla.
Qualche buontempone pensò di accettarle entrambe: poteva votarla senza
leggerla, in fin dei conti. Bastava entrare, non degnarla di uno sguardo e
andare sul pulsante della votazione. C'era un problema di difficile soluzione,
su cui si appuntò l'attenzione dei servizi: come fare a impedire l'accesso di
nuovi lettori? Chiunque, in teoria, poteva entrare nel sito, leggere la poesia
e votarla. Furono trovate due soluzioni: la prima consisteva nell'avvalersi delle
prestazioni di un sensitivo in grado di anticipare il futuro, la seconda più
sicura, di bloccare l'accesso al sito, con l'intervento di hackers
professionisti. La soluzione più votata fu la seconda. Gli hackers più abili in
circolazione, però, ricevettero delle proposte opposte: per bloccare il sito e
per facilitarne l'accesso. La soluzione inventata dall'intelligence
dell'Inferno, ad esempio, fu quella di convogliare su quell'indirizzo, i
navigatori in cerca di siti porno. Gli hackers, in maggioranza, scelsero la
seconda soluzione: solo perché era meglio retribuita.
Il
processo
In
paradiso, intanto, era tutto pronto per il processo: gli imputati, erano
accusati di “ offesa al comune senso del pudore” e di scritti pornografici. La
difesa di Sant’Agostino si rivelò debole: non sosteneva la libertà
d’espressione nell’arte, ma chiedeva soltanto clemenza per i propri assistiti.
Avevano scritto quei versi, sosteneva, in un momento di debolezza, di crisi
interiore, di smarrimento dei veri valori dell’esistenza. Ne elencava poi i
meriti: piccoli ed umani vizi, non potevano offuscarne la gloria, che non solo
i contemporanei, ma anche i posti, avevano decretato. Gli imputati fecero atto
di pentimento, dopo aver reso piena confessione: si dimostrarono contriti, pronti
ad accettare il giudizio della corte. Ciò non bastò all’accusa: San Tommaso fu
intransigente nel puntare il dito sugli imputati. Arrivò a proporre
l’espulsione dal Paradiso o l’astensione in eterno dalla lettura e dalla
scrittura di ogni opera. Per la giuria la decisione non fu semplice: gli
imputati furono espulsi dal Paradiso e dirottati in Purgatorio, ma solo per un
centinaio d’anni. Avrebbero, però, potuto continuare a leggere, a informarsi, a
diffondere il loro pensiero attraverso gli scritti. La sentenza scontentò
tutti: ma in Paradiso, a differenza che sulla Terra, c’è un solo grado di
giudizio, non è possibile ricorrere in appello.
Hackers
contro
Il
giorno tanto atteso era arrivato: in mattinata sul sito “ Versi in mutande e in
guepiere” sarebbero state pubblicate le cinque poesie selezionate dalla giuria.
All’Inferno e in Paradiso avevano fatto le cose in grande: c’era la diretta
dell’avvenimento, davanti ai megaschermi una folla di anime seguiva con
passione gli eventi. Applausi, slogan da stadio, accompagnavano ogni entrata di
un navigatore nel sito o qualunque respingimento da parte degli hackers al
soldo del Paradiso. Dopo qualche ora era già possibile stilare un primo
bilancio: tutti i vecchi utenti del sito erano stati respinti con perdite. Gli
hackers che lavoravano per il Paradiso si erano dimostrati più abili: quelli
pagati da Rimbaud e soci, invece, avevano commesso un clamoroso errore. Chi
navigava in certi siti vietati ai minori era dirottato come previsto sulle
pagine di “Versi in mutande e guepiere”, ma insieme al filmato che aveva deciso
di guardare. Sui megaschermi di Inferno e Paradiso, dunque, beati e dannati
poterono farsi un’idea precisa delle fantasie sessuali dei terrestri del XXI
secolo. Risate a crepapelle: fu questa la reazione delle anime dell’inferno. “
Sono dei dilettanti” fu il commento più gettonato; i fischi, superarono di gran
lunga gli applausi. Le anime del paradiso, invece, presero caterve di appunti:
curiose, ma indispettite da ciò che si erano perse in vita, per amore della
virtù. L’errore degli hachers dell’inferno non ebbe conseguenze: i vertici, si
ritennero soddisfatti dello spettacolo andato in scena e dallo share raggiunto
dalla diretta televisiva dell’evento. Il concorso “ Orge in versi con annessi e
connessi” fu annullato dopo che per una settimana nessuna delle poesie
selezionate aveva ottenuto dei voti.
Nepotismi
La
giuria presieduta da Arthur Rimbaud completò la selezione del materiale del
concorso “Sesso: all’Inferno o in Paradiso è bello lo stesso”. Le poesie scelte
furono pubblicate sul sito web dell’Inferno, in una pagina creata ad hoc ed
inviate agli uffici stampa del Purgatorio e del Paradiso. Ai servizi
d’intelligenze nel frattempo erano arrivate delle soffiate: decisero di scavare
a fondo sul profilo degli autori selezionati. La verità venne presto a galla:
almeno la metà, protetti da nickname fantasiosi, erano parenti dei giurati.
Cecco Angiolieri e Pietro l’Aretino si erano proprio dati da fare: oltre a
selezionare i testi dei parenti, come accertò un’approfondita indagine, avevano
anche scritto direttamente i versi. Un ampio dossier venne inviato alla
direzione: la giuria fu convocata quasi all’istante. Messi alle strette i
giurati furono costretti ad ammettere le loro colpe: si difesero sostenendo che
avevano dei favori da ricambiare, che per questo non si erano potuti tirare
indietro. Non restò che annullare il concorso: Lucifero, allargando le braccia
commentò l’accaduto. “Qui abbiamo fatto ogni genere di concorso: di sport, di cinema,
di bocce, di sesso. Con i poeti, invece, è sempre la stessa solfa: per una
lode, un commento benevolo, un alloro sul capo, sarebbero disposti a vendere la
madre al diavolo! Nessuno meglio di me può saperlo” Appunto.
mercoledì 2 gennaio 2013
Cinque piccoli indiani e un sordomuto
Cinque piccoli indiani, una scatola di
scarpe con cinque bicchieri, un venditore di granite sordomuto: ecco i
protagonisti di questa storia. Bernardo svolgeva il mestiere di granitaio solo
d'estate; da ottobre a maggio, invece, vendeva jeans e maglioni al mercato di
Piazza Stesicoro, in quella che i catanesi veraci chiamano "a fera o
luni"', la fiera del lunedì, che da quando ho memoria, a dispetto del
nome, si svolge tutti i santi giorni dell'anno esclusa la domenica. Una bolgia
di gente, d’odori e profumi, di suoni: questo è il posto in cui Bernardo prova
a piazzare la propria mercanzia, dove ogni venditore cerca con la propria voce
di coprire quella dei concorrenti. Come un sordomuto possa, in quel contesto,
vendere qualcosa, è un mistero che non sono mai riuscito a spiegarmi. Forse
aveva una moglie che l'aiutava o un figlio che urlava al posto suo.
Probabilmente era proprio questa ragione a spingerlo ai primi caldi a tirar
fuori dal garage la bicicletta che serviva a trainare il carrettino
triangolare, dove era nascosto un pozzetto da gelataio. Arrivava in Via
Curia, la strada in cui abitavamo, alle sette di mattina, annunciato dal suono
del suo fischietto: si piazzava al centro della strada, proprio di fronte al
portone di casa e attendeva. Non lo costringevamo ad aspettare a lungo: era già
da mezz'ora che tendevamo le orecchie in attesa dei suoi trilli. Avevamo
preparato l'occorrente: quattro bicchieri di Nutella vuoti, uno di birra media,
duecentocinquanta lire. Il bicchiere di birra era quello di Erminio: poteva
contenere il doppio della granita degli altri, il problema era cercare di
convincere Bernardo a riempirlo sino all'orlo di granita allo stesso prezzo
degli altri. La discesa delle scale era da Guinness dei primati, roba da
medaglia olimpica. Una volta in strada cominciava la commedia: dopo aver
coperto sino all'orlo i bicchieri di Nutella con granita al gusto di mandorla,
cioccolato o limone, Bernardo iniziava a riempire il bicchiere di birra, ma da
esperto commerciante lasciava molti vuoti tra una cucchiaiata e l'altra. Era il
momento clou della commedia: Erminio protestava, dicendo che aveva lasciato
troppi vuoti, "ncarca" diceva a voce alta a Bernardo. Il sordomuto
scuoteva la testa, con suoni gutturali cercava di spiegare a mio fratello che a
quella cifra non poteva aggiungere altro. "Ncarca" ossia pressa,
ripetevamo tutti in coro, "Ncarca" urlavano da balconi e finestre
quanti seguivano la scena. Bernardo provava a resistere: erano anni ormai che
durava quella commedia, forse si divertiva anche lui a recitare la sua parte.
Alla fine cedeva, tra gli applausi dei presenti, prendeva le nostre
duecentocinquanta lire, saliva sulla bicicletta e andava a vendere altrove la
sua granita. La salita delle scale non era meno veloce: mamma nel frattempo aveva
apparecchiato la tavola, messo il pane nel cestino. Granita e una brioche, anzi
due: da noi, in estate si usa fare colazione così. Noi non potevamo
permettercelo: ci accontentavamo del pane, meglio se appena sfornato dal
panificio di Via Vittorio Emanuele. Fosse stato per noi, avremmo consumato
colazione, pranzo e cena con quelle granite: non erano certo le migliori, anzi
erano piuttosto a buon mercato. Al bar, una fatta a regola d'arte, poteva
costare anche cinque volte il prezzo pattuito con Bernardo: ma era già un lusso
se pensavamo ai digiuni in collegio, ai tanti giorni in cui ci toccava digerire
solo qualche pezzo di cioccolata d'infima qualità. In autunno mamma faceva la
cotognata siciliana: una vera bomba calorica che ci serviva a sopravvivere per tutto l'inverno: ce ne portava tre o
quattro forme quando veniva a trovarci in collegio. Ogni mattina ne tagliavamo
una striscia e la mangiavamo di nascosto, era così zuccherata che non avevamo
bisogno d'ingerire altro sino a sera. Sopravvivevamo con piccoli espedienti: ad
esempio barattando il primo o il secondo del pranzo o della cena con la
merenda. Quando lo stomaco borbottava o quando avevamo le lacrime agli occhi
per la tristezza, pensavamo alla granita di Bernardo ed ai suoi sforzi inauditi
per parlare, alle lunghe trattative per avere un cucchiaio di granita in più:
ed il buon umore tornava come d'incanto. I cinque piccoli indiani sono oggi
dispersi per l'Italia, sono anni che non possono riunirsi: il giorno che sarà
possibile il menù è già fatto. Granita e due brioche a colazione, scacciata e
pizza per cena, a pranzo la pasta al forno di mamma non può mancare: costruire
qualche palla di carta e giocare nel cortile può concludere l'epopea della
nostalgia. Erminio non ha perso l'abitudine: appena mette piedi in Sicilia
si precipita al bar più vicino ed ordina una granita e due brioche. Inverno o
estate poco cambia: poi se ne fa preparare un paio di chili da consumare nei
giorni in cui resta quaggiù. La prossima volta dovrò ricordargli di chiedere
che gli sia servita in un bicchiere di birra media e di mettersi a trattare sul
prezzo, così tanto per divertirsi e per onorare la memoria di Bernardo, il
granitaio sordomuto più simpatico del mondo.
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