domenica 26 maggio 2013

Cesare e le sue concubine (nuova versione)


Una standing ovation accolse Alberto Rana, il conduttore della trasmissione quattro passi nella storia” al suo ingresso in studio. Dopo il successo delle prima puntata su Anna Bolena erano attesi tourbillon di emozioni e colpi di scena a gogò.

Alberto presentò ai telespettatori e al pubblico in studio, la sua nuova collaboratrice, una di quelle ragazze che sorridono alle telecamere e non spiccicano una parola in italiano neanche a pagarle a peso d’oro. La bionda Sofia Vassilieva, questo era il nome della nuova valletta, si mostrò in tutta la sua bellezza, prima di raggiungere e accompagnare al centro dello studio Alan Smith, lo studioso di storia inglese che nel corso della settimana aveva avuto più visualizzazioni su youtube. In realtà Sofia non era la solita velina bella e stupida, era coreografa, ballerina, attrice di talento.
La voce di Alberto cambiò registro: le luci abbassate già davano un alone di mistero alle sue parole.

- Giulio Cesare fu ucciso in una congiura ordita da Caio Cassio e Marco Bruto, alle idi di marzo del 44 a.C. La storia ci tramanda il luogo del delitto (il Senato di Roma), il movente (il tentativo di risollevare le sorti in declino della Repubblica) e il modus operandi (ventitre coltellate).Alan Smith, però, in base ai suoi studi, ha maturato un’idea diversa dell’accaduto e stasera proverà ad illustrarvela-.

Le prime note di "The final Countdown" degli Europe, accompagnarono l'accensione delle luci in studio, mentre la telecamera zummava sul volto di Alan Smith.


-       Le ricerche condotte su documenti inediti, furono le prima parole dello studioso inglese, mi hanno indotto a ipotizzare un diverso movente per l’omicidio di Cesare e mandanti al di sopra di ogni sospetto. La versione della storia che tutti conoscete servì, in realtà, a tacitare uno scandalo di enormi proporzioni che poteva mettere a rischio l’egemonia di Roma sul mondo allora conosciuto. Ne ho trovato le prove.
Tenete a mente questo nome: “Domus Olgiettina”. Negli appunti del contabile di Giulio Cesare, da me casualmente trovati in una tomba da poco scoperta, erano trascritti accanto al nome di alcune signore delle cifre in sesterzi.  Ad esempio Laetizia settemila sesterzi, Rubia, diecimila sesterzi, Gioia duemila sesterzi, Patrizia (una filantropa?), “ a gratis” L’elenco delle signore, con ogni probabilità delle mantenute o delle prostitute, era interminabile.In un libro, passato quasi inosservato, lo storico Marcus Labor, ha ricostruito in dettaglio la vicenda. Fu Cicerone, secondo il Labor, a scagliarsi contro i facili costumi di certi potenti e di Cesare in particolare, ad accendere i riflettori su stili di vita che a suo dire erano del tutto incompatibili con le responsabilità di governo. Lo scandalo dilagò: dinanzi alla Domus Olgiettina, una folla vociante ed eccitata chiamava a gran voce i nomi delle inquiline, in attesa di poterle ammirare da vicino. Non andava meglio a Cesare: non poteva uscire da casa o muoversi per l’Urbe, senza essere assalito da un’orda di giovani fanciulle che le si proponevano con modi espliciti,che le si spogliavano davanti per esporre la mercanzia. I senatori rumoreggiavano, l’opposizione era in rivolta. Cesare per calmare le acque fu costretto a condividere con i politici più potenti, parte del proprio harem.La magistratura non era inerte: aveva aperto un fascicolo contro ignoti, molti politici erano pedinati a vista,ogni loro vizio veniva annotato. Arrivò il momento del blitz: fu arrestato il contabile di Cesare, accusato di favoreggiamento della prostituzione. Secondo i magistrati avrebbe sfruttato la sua posizione e i denari che il suo datore di lavoro gli aveva affidato, per organizzare un vero e proprio bordello. L’utilizzatore finale era stato identificato: un anziano signore di quasi novanta anni. Fu giustiziato senza processo.L’harem di Cesare non fu smantellato, ma solo trasferito: Marcus Labor ne indica nei suoi scritti nome e luogo.Una dimora nei pressi del mons Saeptorium, l’odierno Montecitorio.Gli scherzi della storia, o i ricorsi, come ci direbbe Gian Battista Vigo.Il malcontento del Senato montava, Cesare da un po' aveva smesso di condividere il suo harem con i politici più    influenti dell’Urbe.
Si mormorava già di un certo numero di senatori che stava organizzando una congiura ai danni del capo del governo. Marcus Labor riporta nei suoi scritti le voci su segreti incontri tra Cicerone e Patrizia, una delle storiche concubine di Cesare. Fu preparato un veleno e a Patrizia fu affidato il compito di somministrarlo a Cesare proprio alle idi di Marzo del 44 a.C. Era quello,infatti, il giorno previsto per il loro prossimo incontro. A Cesare sarebbe toccata in sorte la morte più dolce, mentre era intento a cavalcare una splendida bionda in calore. 
Patrizia avrebbe ottenuto in cambio, oltre agli onori della cronaca,la concessione edilizia che per anni aveva inutilmente chiesto a quello smemorato di Giulio Cesare-.

Il pubblico applaudì a comando, ma non si spellò le mani, per nulla convinto da questa nuova versione della storia.

Lo squillo del telefono si udì alto e forte: chi stava all’altro capo della cornetta dichiarò di essere Patrizia Daria.

-       Non capisco, dichiarò, da dove sia uscito il mio nome. Il volto di Cesare lo conosco solo perché era effigiato sulle monete. E’ stato Marcus Labor a fare il mio nome? Che stronzo, è una vendetta postuma perché l’ho mollato quando ho scoperto che mi tradiva con Rubia, una ragazza minorenne proveniente dall’Africa settentrionale. Credetemi, giuro che non ho avuto nulla a che fare con la congiura che ha determinato la morte di Cesare. Non ho mai conosciuto Cicerone o altri potenti uomini politici del tempo.

Il colpo di scena lasciò tutti di stucco, ma non fu il solo né l’ultimo. Marcus Labor in persona si fece vivo al telefono.

-       Confermo disse quanto raccontato nei miei scritti. Cesare morì avvelenato alle idi di Marzo del 44 a.C. nel suo letto, nel mezzo di un rapporto sessuale con Patrizia Daria. Il mandante dell’omicidio è Marco Tullio Cicerone. Patrizia sostiene che sono stato il suo amante e che mi ha mollato dopo avere scoperto il mio tradimento? Tutto vero. E’ lei, infatti, la fonte della mia storia, la nostra relazione è successiva ai fatti narrati.

Non poteva mancare l’intervento di Marco Tullio Cicerone: ancora una volta dimostrò che la sua fama di eccelso oratore non era usurpata.

-       L’omicidio di Cesare? Non c’entro nulla, non ero presente nemmeno alla seduta del Senato del giorno in cui avvenne, perché bloccato a letto dall’influenza. Non conosco Patrizia Daria, perché dovrei? Era una delle concubine di Cesare? Buon per lei, di certo non sarà morta di stenti. Rubia, Laetizia? Idem, mai sentite nominare. Marcus Labor? In effetti l’ho conosciuto. Ricordo di avergli fatto certe confidenze sui segreti e sui vizi dei potenti dell’epoca. Nulla di più.

I sospetti dei telespettatori e del pubblico in studio si addensavano tutti su Marco Labor, ma un fatto imprevisto provvide a spazzarli via. Fu Giulio Cesare in persona a scagionarlo. Ecco la sintesi della sua telefonata.

-       Nessun avvelenamento: non sono morto tra le braccia di Patrizia Daria, ma a causa delle ventitre coltellate infertemi da Bruto e Cassio. Ho ancora davanti agli occhi la scena: sono stato vittima di un agguato politico, di una vera congiura. Concubine, prostitute, amanti a pagamento? Giuro che non ho la più pallida idee di cosa state parlando. Mai andato a prostitute: pensate che l’uomo più potente del mondo, abbia bisogno di pagare qualcuno per fare sesso?


Alan Smith perse il sorriso e la sicurezza: al pubblico in studio bastò guardarlo in faccia per sbellicarsi dalle risate.
Sofia Vassilieva annunciò l’ingresso delle “Nudità danzanti”, il corpo di ballo della trasmissione. Avrebbe proposto una rilettura del “Lago dei Cigni” dal titolo “ Lo stagno delle papere”. Ne aveva curato in prima persona la coreografia.
La parte della trasmissione dedicata allo spettacolo leggero e all’intrattenimento fu completata dall’esibizione di un paio di abili professionisti del playback musicale e dalla lettura di un racconto di Alan Smith che rievocava i tempi felici dell’università. Una decina di spettatori in catalessi furono trasportati d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.

Una stanza da letto in penombra: è ciò che videro i telespettatori dopo l’interruzione per i consigli per gli acquisti. A letto chiacchieravano un uomo anziano e una splendida bionda. Il pubblico in sala e a casa riconobbe subito le voci degli attori della compagnia " Pescatori di frodo in abito da sera" che avevano interpretato Cicerone e Patrizia.

-       Sei stata al funerale di Cesare? No? Peccato, nessuno più di te ne aveva il diritto, visto che sei l’ultima che l’ha visto in vita. Il piano era perfetto. Che idea geniale quella di cercare un sosia, di addestrarlo a dovere e di farlo accoltellare da Bruto e Cassio! In realtà sei stata tu a vedergli esalare l’ultimo respiro, appena dopo la fine dell’amplesso. E’ morto con l’onore delle armi almeno. Roma non può permettersi certi scandali: cosa sarebbe successo se la sua promiscua vita sessuale fosse venuta a conoscenza non solo del nostro popolo, ma anche di quelli assoggettati con le armi? Il regicidio, a volte, è necessario, per salvare le sorti di un Paese. Bruto e Cassio avranno gli onori della cronaca, mi dispiace per te, ma il tuo nome non dovrà mai comparire sui libri storia.

-       Nessun problema amore mio, ho avuto ciò di cui avevo bisogno. Non solo le concessioni edilizie che ho chiesto, ma anche il tuo affetto. Per te sono pronta a tutto, sempre. Giulio non era male come amante, ma non ha tua classe: dove lo trovo un altro che mi reciti un’orazione durante un amplesso? Ti amo, lo sai, come non ho amato nessuno, in vita mia.

-       Dobbiamo separarci per un po’: non posso rischiare che qualcuno scopra che ho una relazione con una concubina di Cesare. Per me sei importante, ma non posso permettermi uno scandalo proprio ora. Ti prometto che ci rivedremo, appena le acque si saranno calmate.

-       Ti capisco, agli occhi di tutti sei un moralizzatore. Forse però, anche uno come te può innamorarsi di una come me. E’ successo altre volte, può darsi che la pubblica opinione sia pronta a capirlo. Mi gira la testa, non mi sento bene, forse ho bevuto troppo, stasera. E’ meglio che vada.

-       Si è meglio che vada, Giulio Cesare ti aspetta, ma non credo che ti accoglierà a braccia aperte. Scusami, ma non potevo più correre rischi. Domani, per ripicca o per denaro, avresti potuto tradire la mia fiducia e i patti stipulati. Addio, amore mio, è stato bello conoscerti.


Le telecamere inquadrarono Alan Smith.

-       Patrizia è morta come Cesare, avvelenata in un’alcova. Come avete potuto notare non ha rivelato nemmeno dopo la morte, il suo segreto. Marco Tullio Cicerone, evidentemente non ha capito con chi aveva a che fare. Questa a mio parere è la corretta narrazione degli avvenimenti, fateci sapere cosa ne pensate.

Il pubblico in sala reagì con una standing ovation alle ultime parole dello studioso inglese, ancora commosso per l’ultimo colpo di scena della trasmissione. I giornali del giorno approvarono, dichiarando la nascita di un nuovo genere televisivo: le comiche melodrammatiche della Storia.






domenica 19 maggio 2013

Anna e i suoi amanti (n.v.)



Anna Bolena fu moglie di Enrico VIII tra il 1533 e il 1536 e regina D'Inghilterra; fu causa dello scisma che portò alla rottura con la Chiesa di Roma e alla nascita della confessione Anglicana. Le fonti storiche non sono concordi sulla data di nascita; di sicuro venne al mondo tra il 1501 e il 1507; convengono, invece, su giorno, mese e anno della morte avvenuta per decapitazione il 19 maggio 1536.

“Almeno così sembrava sino a qualche tempo fa”! esclamò  Giovanni Rana, il conduttore televisivo della nuova trasmissione “ Quattro passi nella storia” in onda ogni giovedì su “ Videofront”; poi fece una pausa, guardò fisso per qualche istante la telecamera che lo inquadrava e continuò il racconto con un tono di voce più sostenuto. “Sino alla pubblicazione di una nuova biografia su Anna Bolena in cui s’ipotizzano scenari di tutt'altro tipo”. “Abbiamo invitato, continuò, l'autore del libro <<Mistero alla corte di Enrico VIII: la vera storia di Anna>> per esporci le sue teorie.

Il regista diede ai cameraman l'ordine d'inquadrare lo scrittore Alan Smith, mentre entrava a passi lenti nello studio e raggiungeva il conduttore tra gli applausi dei figuranti pagati per spellarsi le mani a comando.

Statura media, capelli grigi, un cinquantenne in piena forma: così apparve a tutti lo studioso di storia inglese. Il suo racconto era tradotto in simultanea per i telespettatori da una calda voce femminile.

Alan prese a raccontare fatti già noti: la tresca di Anna col Re prima del matrimonio, l'incoronazione avvenuta tra le risa di scherno del popolo che parteggiava per Caterina, la Regina detronizzata, la nascita della figlia Elisabetta, futura regnante, gli intrighi di corte che ne determinarono la caduta in disgrazia, il processo e la condanna.

“Un manoscritto scoperto in un castello abbandonato e risalente agli anni successivi alla morte di Anna, però disse Alan, mi fa dubitare della verità della ricostruzione storica ufficiale. Nel manoscritto ritrovato si racconta che non fu la Bolena a essere decapitata, ma una sua cameriera. Anna, secondo questa fonte, fu tradotta a Roma in catene e imprigionata nelle carceri vaticane su ordine di Paolo III.

Ho avviato una serie di ricerche tra gli archivi del Vaticano e ho trovato numerosi riscontri a questa tesi. Non solo: queste fonti raccontano della scarcerazione della Bolena e dell’influenza esercitata in quegli anni sulla gerarchia vaticana. Fu amante di numerosi cardinali e una delle ispiratrici del Concilio di Trento. Morì assassinata da mani ignote in un quartiere malfamato di Roma, dove si era recata per appagare certi appetiti sessuali di tipo saffico.

Il pubblico in studio rimase attonito: l’applauso, richiesto a comando dal display in studio, fu di routine.

Lo squillo del telefono fu chiaramente avvertito da tutti: prima di rispondere il conduttore invogliò i telespettatori a chiamare il numero in sovrimpressione, per parlare in trasmissione.

-       Sono Enrico VIII e vorrei intervenire per ricostruire in modo corretto i fatti. E’ mia impressione che il vostro studioso si sia fatto trasportare troppo in là dalla fantasia.
-       Ci spieghi come sono andati i fatti.- disse il conduttore, mentre mister Alan Smith, prendeva freneticamente appunti sul suo tablet.
-       Non ho allacciato alcuna trattativa con la Santa Sede, né graziato Anna Bolena. Mia moglie ha avuto un regolare processo, dove è stata riconosciuta colpevole di adulterio e incesto. Le prove a suo carico erano schiaccianti, come confermano le confessione dei suoi amanti. La sentenza del tribunale è stata eseguita senza indugio e senza trucchi, non solo mia moglie, ma anche i suoni partner sono stati giustiziati. In realtà nel processo non sono state presentate tutte le prove a carico: il numero degli amanti di Anna era ben più alto di quello mostrato nel dibattimento. Condannare tutti i suoi partner sessuali, però, avrebbe decapitato gran parte della nobiltà di corte di quel tempo.

Enrico VIII aveva appena chiuso la comunicazione che il telefono in studio prese a squillare nuovamente. All’altro capo della cornetta, una donna dichiarò di essere Anna Bolena in persona, tra lo stupore generale. Il conduttore gli diede modo di raccontare la sua ricostruzione dei fatti.

-       Tutto falso, nella versione dei fatti di Enrico VIII non c’è un briciolo di verità. Non mi sono mai sognata di tradirlo: se c’è qualcuno che è stato vittima di una macchinazione, sono proprio io. La realtà è che si era stancato di me, esattamente come era successo con Caterina. Voleva che gli dessi un figlio maschio e dopo la prima delusione ha deciso che era giunto il momento di divorziare. Le accuse nei miei confronti sono inventate di sana pianta, le presunte confessioni dei miei amanti sono state estorte o ricompensate con tanto denaro. Sono morta innocente: decapitata! Non sono stata oggetto di trattative con lo Stato Vaticano, né prigioniera a Roma o amante segreta di Cardinali. Chi ha raccontato che sono morta assassinata in un quartiere malfamato di Roma, mentre ero dedita a piaceri saffici, è un bugiardo!

Il presentatore approfittò di una pausa dell’interlocutrice per lanciare i consigli per gli acquisti.

Al rientro in studio Alan Smith provò a fare il punto della situazione.
-       Siamo alla ricerca della verità: la mia ipotesi è avvalorata              dal ritrovo di nuovi documenti, ma smentita dalle ricostruzioni dei protagonisti. Qualcuno mente, dobbiamo capire chi e perché.

Il telefono in studio riprese a squillare: la ricostruzione dei fatti, poteva avvalersi di un nuovo protagonista, Papa Paolo IIII.
Il conduttore gli lasciò volentieri la parola.

-       Non capisco, disse il sommo Pontefice, perché tutti mentano. La trattativa per la traduzione a Roma della Bolena c’è stata e si è conclusa positivamente. Ricordo di aver visitato quella signora in prigione e di averla poi rivista molte volte in compagnia di alti prelati. Non ricordo le circostanze della sua morte: posso confermare, però, che ha vissuto nella città Eterna per molti anni.

Alan Smith accolse quelle parole con un sorriso compiaciuto: era la prima autorevole conferma della sua tesi. Anche il boia volle dire la sua: prima però di dargli la parola, il conduttore fu costretto a lanciare i consigli per gli acquisti.

-       Ma quale decapitazione: quel giorno il diciannove maggio 1936 non fu decapitato nessuno, certo non Anna Bolena e nemmeno la sua cameriera. E’ stata tutta una messa in scena, un trucco da illusionisti. Anna Bolena, a quel che mi risulta non è mai stata decapitata.

Un nuovo punto a favore della teoria di Alan Smith: inquadrato dalle telecamere rivolse al pubblico il suo sorriso più smagliante. Altre conferme alle sue tesi arrivarono dagli amanti della Regina: nemmeno loro erano finiti tra le grinfie del boia. Scarcerati di nascosto erano morti nel loro letto a molti anni di distanza dei fatti, sotto mentite spoglie.

Le testimonianze cessarono di colpo: il conduttore ne approfittò per presentare il corpo di ballo della trasmissione: “Le nudità danzanti”. Avrebbe deliziato il pubblico presente in studio e i telespettatori a casa con un’esibizione dal titolo “ Se non ci applaudite non ci rinnovano il contratto” sulle note di “Money” dei Pink Floyd, e con le coreografie di Sofia Vassilieva.



Le telecamere al rientro in studio inquadrarono una stanza rischiarata dalla luce delle candele: al centro troneggiava un letto a baldacchino. Un uomo e una donna stavano conversando; il pubblico riconobbe subito le voci che avevano interpretato pochi minuti prima Enrico VIII e Anna Bolena. Gli attori erano in là con gli anni, i telespettatori poterono notare subito i capelli bianchi, i volti solcati da rughe profonde. Il silenzio fu rotto dalla voce del re d’Inghilterra.

-       Li abbiamo fregati tutti, che pensata geniale è stata quella di condannarti a morte. Come marito e moglie non saremmo durati molto, la concorrenza a corte, è spietata. Non fai in tempo a castigare una che subito un’altra ti offre le sue grazie, col pieno consenso del marito. Spesso, anzi, è proprio del coniuge l’idea di spedirla nella mia alcova: se l’amante ti chiede un titolo, un appezzamento di terreno, come fai a dire di no? Così almeno ci siamo divertirti a farci beffe di tutti e di tutto.
-       Ti ricordi, continuò la Bolena, quando ci facemmo sorprendere apposta da Anna di Cleves? Indossavo una tunica bianca che mi ricopriva dalla testa ai piedi, solo gli occhi erano visibili, attraverso due fori. Sembravo un vero fantasma. Quando la tua moglie di allora entrò nella stanza e ci sorprese, rimanesti impassibile, dichiarando di essere solo nella stanza. Fu allora che mi tolsi di colpo la tunica: tua moglie appena mi vide se la diede a gambe, scambiandomi per un fantasma in carne ed ossa. Il trucco riuscì a tal punto che lo replicammo tante volte: ogni ospite del tuo letto, era costretta a subirlo.
-       Che risate! E quante volte ci siamo presentati insieme ai pranzi di corte! Tutti zitti, nessuno voleva passare per un pazzo visionario: molti paralizzati dalla paura cercavano una scusa qualsiasi, per svignarsela.
-       E quando venne il messo del Papa per chiederti la mia estradizione in un carcere di Roma? Ti facesti pagare una cifra per mandare al mio posto una delle dame di corte che aveva solo il torto di assomigliarmi un po’. Credo non si sia mai pentita di avere accettato lo scambio di persona: a quanto ne so a Roma si è divertita parecchio, tra cardinali, suore, amanti ed amazzoni di ogni ordine e grado, dopo il primo periodo trascorso dietro le sbarre.
-       E il boia, ti ricordi la sua fine? chiese Enrico ad Anna. Era l’unico a sapere che non eri stata decapitata, non potevamo permetterci che lo riferisse ad altri. Qualche giorno dopo, mentre affilava la sua ascia, un incidente sul lavoro gli mozzò la lingua e le mani. Una vera e maledetta sfiga!
-       I miei finti amanti, quelli che al processo avevano detto il falso pur di farmi condannare? Li hai graziati, gli hai concesso di morire di vecchiaia sotto mentite spoglie. Hanno dovuto lasciare in garanzia una parte del corpo, ti ricordi quale? E’ vero che alcuni di loro sono entrati a far parte del coro delle voci bianche di Canterbury?
-       E’ vero, la conferma mi è arrivata da fonti sicure, due capitani del mio esercito che hanno potuto appurare di persona la situazione. Non so se mi sono spiegato.
-       Perfettamente, amore mio, ribatté Anna in uno slancio di passione, prima di soffocarlo di baci.
-       Non ti stanchi mai, come fantasma sei troppo su di giri, per i miei gusti, ormai. Forse è il caso di farti decapitare di nuovo.
-       Perché non usi la spada o il pugnale? Sei il re, sei la legge. Che bisogno hai di ricorrere al boia? Nemmeno una sentenza di un tribunale, può ordinare l’uccisione di un fantasma. Quindi, se non mi sopporti più, devi sporcarti le mani in prima persona.
-       Niente sangue, poi dove la trovo una che mi fa morire dalle risate come te? Le altre donne saranno pure più brave a letto, ma fuori sono una vera e propria lagna.
-       Più brave di me?
-       Non ti offendere, ormai sei un po’ stagionata. Vuoi paragonarti alle ragazze che fanno la fila per infilarsi nel mio letto?
-       Da quale pulpito viene la predica! Ti sei guardato allo specchio? Hai visto i capelli bianchi, la pelle cadente, l’affare che non ti si rizza? Se qualcuna s’infila nel tuo letto è solo perché vuole qualcosa in cambio.
-       Basta litigare. Abbiamo qualche altro scherzo da organizzare, magari potremmo mettere un po’ di paura addosso alle ragazzine in cerca di un attimo di notorietà e di gloria.
-       Sarà fatto.

Il regista ordinò di accendere le luci in studio e d’inquadrare Alan Smith. Lo studioso inglese guardò nella telecamera: - Questo a mio parere è stato lo svolgimento dei fatti”. Lo abbiamo fatto sceneggiare alla compagnia teatrale “ Pescatori di frodo in abito da sera”, cui va la nostra riconoscenza per la splendida interpretazione oltre al vostro applauso più caloroso-. Il programma, alla sua prima puntata, incontrò il favore di pubblico e critica, i giornali l’indomani festeggiarono con complimenti ed esclamativi la nascita di un nuovo genere televisivo: il melodramma storico. 



mercoledì 1 maggio 2013

Un pacifista in carriera



-       Ci facciamo gli affari vostri e vi aiutiamo a guadagnare di più. Protezione, consulenze, strategie di marketing: è ciò che vi offriamo per sviluppare la vostra azienda, inserendola in un tessuto connettivo vitale, in una rete solidale con altre società.
L’anziano boss mafioso lesse ad alta voce il volantino che un gruppo d’affiliati al clan aveva distribuito sul territorio.

-       Che cosa è questa roba? Siamo diventati una società d’assicurazioni? Che fa, ci facciamo un bel contrattino a quelli che ci pagano il pizzo? Alle mignotte ci offriamo il pappone gratis? I nostri pusher ci fanno le offerte speciali a chi compra le dosi? Prendi tre e paghi due oppure compra ora e cominci a pagare tra sei mesi? Che vi salta in testa? Volete rendermi ridicolo agli occhi dei “colleghi” per farmi fuori alla prima occasione?
La voce del boss era alterata da una rabbia sincera: lo dimostrava il viso paonazzo, le mani gesticolanti, i passi nervosi nella stanza d’albergo in cui si svolgeva la riunione. Solo suo figlio, l’estensore materiale del volantino, laureato con centodieci e lode alla Bocconi in economia, ebbe il coraggio di ribattere.

-       Le statistiche non mentono: il fatturato del pizzo è crollato, i negozianti non hanno i soldi per pagarlo, sono sempre più quelli che si rivolgono alle forze dell’ordine per denunciarci e chiedere protezione. La crisi ha dimezzato le loro vendite, noi che facciamo? Se un mese non possono pagarci, gli bruciamo il locale, li minacciamo, li spaventiamo! Dobbiamo renderci conto che noi dovremmo essere i primi interessati al rilancio delle loro attività, che dovremmo investire di più in risorse umane e meno in proiettili e taniche di benzina. E’ vero abbiamo fondato una società d’assicurazioni, ai commercianti della zona proponiamo una speciale polizza: non prendiamo solo i loro soldi, ma forniamo pure dei servizi che li aiutano a rilanciarne le attività. Il modello scelto è quello della solidarietà: chi firma le nostre polizze s’impegna ad acquistare a prezzi scontati da un elenco di società del nostro gruppo: supermercati, negozi di abbigliamento, di scarpe, pompe di benzina, concessionarie d’auto, società immobiliari etc. I nostri clienti possono ampliare il loro giro d’affari e il pizzo esce dalla sfera dell’illegalità. Ci saranno meno “picciotti” dietro le sbarre, spenderemo meno per le parcelle degli avvocati, senza rinunciare ad alcuna quota di fatturato.

Il boss restò senza parole, rifletté qualche minuto prima di dare il via libera all’iniziativa: in effetti il fatturato del pizzo era quello che risentiva maggiormente della crisi economica.

L’iniziativa del clan dei “Rapisarda” decollò in fretta: i vecchi pizzi vennero trasformati automaticamente in polizze assicurative, ma nuovi “clienti” chiesero liberamente di poter sottoscrivere i contratti. Il guaio è che riguardavano attività fuori dalla sfera di competenza del clan: era necessario un vertice tra boss, per convalidarli. Fu convocata una riunione al massimo livello, nel solito casolare di campagna, per la domenica successiva. Renzo Rapisarda, avrebbe accompagnato per la prima volta il padre al massimo convegno mafioso.

Le misure di sicurezza erano imponenti: il numero dei “picciotti” impegnati a difendere l’incolumità dei boss ricordava da vicino quello degli agenti delle forze dell’ordine impegnate in un “derby” serale tra Roma e Lazio. Forse, pensò Renzo un uso più puntuale della tecnologia avrebbe potuto ridurre i costi del personale: anche la mafia, aveva bisogno di un’adeguata spending  review. Immaginava un’organizzazione più snella, border line verso la legalità: il suo animo pacifista e legalitario, odiava le faide tra clan, gli attentati contro le forze dell’ordine, le rapine violente, lo sfruttamento dei deboli e delle donne. Era uno degli ultimi marxisti in circolazione, un seguace della democrazia diretta, un Robin Hood circondato da squali affamati di sangue umano.

L’ordine del giorno della riunione prevedeva al primo punto la discussione sul calo del fatturato delle organizzazioni mafiose. La crisi colpiva duro su tutto il fronte: i consumatori di droga, erano costretti a tirare la cinghia, i clienti delle prostitute avevano ridotto qualità e frequenza dei loro incontri, le attività estorsive erano al palo, a causa dei fallimenti e dei suicidi degli imprenditori. Renzo Rapisarda fu il primo a chiedere la parola, dopo la relazione introduttiva del “Capo dei Capi”. Spiegò con calma la sua ricetta per il rilancio del fatturato di “Cosa Nostra”: l’Organizzazione avrebbe dovuto fare ciò che le Banche e lo Stato non facevano più, sostenere gli investimenti in macchinari, in ricerca, in risorse umane. Avrebbe dovuto utilizzare tecniche di marketing per promuovere il consumo di stupefacenti, con sconti, offerte speciali, piccoli prestiti ai consumatori. Avrebbe potuto mettere a disposizione locali per le prostitute, in modo da abbassare i costi delle prestazioni, per venire incontro alle esigenze dei clienti. Avrebbe potuto proporre uno scambio allo Stato: l’acquisto di titoli del debito pubblico e media e lunga scadenza in cambio dell’abolizione del carcere duro per i boss e di un abbassamento del livello di scontro. Il futuro è all’interno della legalità spiegò ai suoi interlocutori: i capitali vanno investiti nel trading, nell’acquisto di azioni e obbligazioni di società quotate in Borsa.

Una standing ovation segnò la fine del suo intervento: a Renzo Rapisarda furono affidati seduta stante i pieni poteri sulla politica di “Cosa Nostra”. Un pacifista alla guida della Mafia? E’ come se un generale dell’Esercito fosse messo alla guida della Chiesa, se per diventare deputati si dovesse rinunciare alle ricchezze accumulate. Quasi impossibile.

Scoppiò la pace in Sicilia: fu tutto un proliferare d’iniziative imprenditoriali, di nuovi sportelli bancari che prestavano soldi a tassi “tedeschi”. Sparirono le estorsioni, le prostitute e i pusher dalle strade e dalle piazze, i commercianti videro raddoppiato in tempi brevi il loro fatturato. Le statistiche annotarono tutto: il “pil” dell’isola prese a correre a ritmi “cinesi”. Renzo Rapisarda decise di “scendere in politica”: fondò il “Movimento Pacifista Libertario Italiano”. L’MPLI, fu il partito di maggioranza relativa alle elezioni politiche anticipate: venti giorni dopo la chiusura dei seggi, il suo leader fu nominato alla guida del governo. Si presentò alle camere con un programma di pacificazione nazionale: chiese di mettere fine a un secolo di lotta contro la mafia, in cambio di un clima di collaborazione capace di proiettare l’Italia verso un radioso futuro di pace sociale e benessere. Le misure più popolari, verso i giovani, i poveri, gli emarginati, gli ultimi, furono finanziate dalle casse di “Cosa Nostra”, fu imposto alle Banche di sovvenzionare con speciali agevolazioni l’imprenditoria giovanile, senza gravare sul bilancio dello Stato. Una politica espansiva, abbinata al drastico calo dei reati, a serie garanzie di sicurezza per chi investe, consentì una forte ripresa produttiva, un rilancio impetuoso del pil.

Un attentato, un’altra autobomba pose prematuramente fine alla vita di Renzo Rapisarda e della sua scorta: le indagini accertarono che fu opera dei servizi segreti deviati, che i mandanti andavano ricercati nella magistratura politicizzata, nelle toghe rosse, nel ceto politico ancora fedele alla Costituzione Repubblicana e contrario a ogni colpo di spugna verso il passato. La forza dei simboli: la strada scelta per la strage era ancora quella di Capaci. Un premier pacifista e mafioso ucciso da un complotto della magistratura e dei servizi segreti nei pressi di Capaci: quale trama migliore per un film di fantascienza!

L’improbabile è il futuro: basta solo aspettare per vederlo.