Alberto Rana, il
conduttore del programma "Quattro passi nella storia" guardò diritto
nella telecamera, dopo che le "Nudità danzanti", il corpo di ballo
della trasmissione, avevano dato inizio alla nuova puntata con un balletto dal
titolo " Ci spogliamo per campare".
Con voce seria e
grave comunicò agli spettatori l'argomento della trasmissione: la strage del 12
dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano.
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E’ uno dei misteri della storia
d’Italia, un caso ancora irrisolto a più di quaranta anni dagli eventi. I tanti
processi che si sono susseguiti nel tempo, non hanno avuto esito: non è stata
emessa nessuna condanna definitiva. L’unica certezza è che la bomba che uccise
diciassette innocenti fu piazzata dalle mani ignote di alcuni individui che
militavano nei gruppi di estrema destra dell’epoca. Con la collaborazione di
Alan Smith, cercheremo di fare un po’ di luce nel fitto mistero che ancora
avvolge questa drammatica pagina di storia.
Le telecamere inquadrarono
il profilo ancora agile dello studioso inglese, mentre già gli altoparlanti
dello studio diffondevano le note di "The final Countdown" degli
Europe. Il volto di Alan Smith trasmetteva una certa agitazione, uno strano
fremito ne scuoteva il corpo.
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Il dodici dicembre del 1969 un
ordigno ad alto potenziale ha devastato i locali della “Banca dell’Agricoltura”
di Piazza Fontana a Milano. L’esplosione ha mietuto ben diciassette vittime, ha
causato parecchie decine di feriti. A quel giorno si fa risalire l’avvio della
strategia della tensione, della stagione delle stragi e del terrorismo, che per
più di un decennio avrebbe insanguinato l’Italia. Le prime indagini furono indirizzate
verso la pista anarchica: furono fermati Valpreda e Pinelli, perquisite
centinaia di abitazioni di militanti di sinistra. Giuseppe Pinelli ebbe
ufficialmente un malore, mentre veniva interrogato in un ufficio al quarto
piano della questura. Giuseppe Calabresi accusato da gruppi estremisti di
averlo suicidato, scaraventandolo nel vuoto, morì in un attentato per il quale
fu condannato in via definitiva anche Adriano Sofri, leader di Lotta Continua,
un gruppo d’estrema sinistra dell’epoca. La pista anarchica si rivelò errata,
le indagini allora si concentrarono sull'azione di alcuni gruppi neofascisti
veneti. Freda e Ventura, accusati della strage furono assolti in via definitiva
negli anni ottanta. Furono però dimostrati dalle indagini della magistratura i
legami, tra la parte deviata dei servizi segreti dell'epoca e i gruppi neofascisti.
Altri estremisti di destra come Delfo Zorzi furono assolti nel 2005 in via definitiva. La
strage a tutt'oggi, è impunita. Ho potuto visionare documenti catalogati come
top secret dai servizi d'intelligence di Sua Maestà, in Inghilterra; ciò mi consente
di avanzare una mia teoria sull'andamento dei fatti. In questi documenti viene
ipotizzato un collegamento tra la setta massonica P2, gli ambienti
neofascisti veneti e i circoli anarchici milanesi. Pinelli secondo i
servizi segreti britannici era un massone agli ordini di Licio Gelli: non cadde
accidentalmente dalla finestra al quarto piano della questura, né fu gettato
nel vuoto, ma si suicidò per evitare che venissero scoperti i collegamenti con
la massoneria. Gli stessi Freda, Ventura, Zorzi erano al soldo di Licio Gelli,
già allora deus ex machina di cospirazioni contro le istituzioni della
Repubblica. I neofascisti avrebbero procurato il materiale esplosivo, gli
anarchici avrebbero fisicamente deposto l'ordigno alla Banca dell'Agricoltura,
i servizi di spionaggio italiani avrebbero provveduto al trasporto della bomba
e al collegamento tra i due gruppi: è questo, in estrema sintesi, il
punto di vista dell’intelligence inglese ed anche il mio. La parte più
interessante della documentazione, però, è l'analisi dell'organizzazione della
Loggia massonica P2. Licio Gelli, secondo questi report, non era il vero capo
della setta. Lo scettro del comando era affidato a un misterioso medium in
contatto con Giuseppe Mazzini.
Il mormorio del
pubblico non era dettato solo dallo stupore, ma anche dalla scarsa
attendibilità della ricostruzione: a molti sembrava evidente che lo studioso
inglese stava arrampicandosi sugli specchi, nell’esporre la sua teoria.
Occorreva molta fantasia, ma anche un notevole spirito ironico nell’immaginare
Giuseppe Mazzini, come il “grande vecchio”, il burattinaio dei misteri
d’Italia. Sorpreso dalla freddezza degli spettatori, Alan Smith, ebbe un
mancamento e si afflosciò sul pavimento come un sacco vuoto. Sofia Vassilieva,
la nuova co-conduttrice del programma fu lesta nel prestargli soccorso. Gli si
gettò addosso per praticargli la respirazione bocca a bocca, tra lo stupore e
l’invidia del pubblico maschile.
Il regista chiese senza
successo al corpo di ballo di anticipare l’esecuzione del pezzo provato in
mattinata dal titolo “ Non ce la facciamo ad arrivare a fine mese”. Il corpo di
ballo non ballò perchè nessuna delle danzatrici aveva ancora indossato i
costumi di scena.
Alan e Sofia ci
avevano preso gusto: la respirazione bocca a bocca fu solo l’antipasto dello
spettacolo che consegnarono alle telecamere e ai loro fan su youtube. I
consigli degli acquisti riuscirono a liberare tutti dall’imbarazzo.
Al rientro in
studio un Alan Smith euforico e in perfetta salute completò l’esposizione delle
sue tesi.
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E’ Pinelli l’esecutore materiale
della strage di Piazza Fontana e Giuseppe Mazzini ne è il mandante.
Toccò a Sofia
Vassilieva rispondere alla prima telefonata in studio. Qualcuno che si
spacciava per Ali Babà rivendicò le stragi delle Torri Gemelle, un altro buon
tampone, fingendosi Churchill, si autoccusò dell’organizzazione dell’incidente
a Diana Spencer.
La telefonata di
Giuseppe Pinelli, invece, ebbe ben altro impatto.
-
Non ho mai avuto contatti con
Licio Gelli, attivisti di destra e funzionari dei servizi segreti. Posso
rivelarvi, invece, ciò che successe in quella stanza della questura. Calabresi
non ha alcuna colpa nella mia morte. Tra noi s’era creato anzi un bel rapporto:
per questo decidemmo di giocare uno scherzo al questore Guida che sostava in
cortile proprio sotto la nostra finestra. Volevamo tiragli un portacenere di
plastica, così per vedere l’effetto che faceva: mi sono sporto troppo per
verificare l’esatta posizione del questore e mi sono sfracellato sul pavimento
del cortile della questura. Lo scherzo non ha funzionato: è l’unica cosa di cui
mi pento.
Seguì la telefonata
di Licio Gelli: a porre le domande stavolta fu Alberto Rana.
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Non ho avuto nessun compito
nell’organizzazione dell’attentato a Piazza Fontana. Non nego che mi sarebbe
piaciuto, ma verità vuole che mi dichiari del tutto estraneo a quella strage.
Ho sentito parlare di Mazzini come mandante della strategia della tensione: mi
permetto di dissentire. Per quello che mi risulta, il “ grande vecchio” che sta
dietro alle stragi di quegli anni, è un altro Giuseppe, è Garibaldi!
Dagli spettatori in
sala partì qualche fischio: se era già difficile credere che Mazzini potesse
avere a che fare con una strage di quel tipo, era impossibile pensare a
Garibaldi come a un terrorista. La telefonata successiva fu quella di Cossiga:
cosa c’entrava con la strage di Piazza Fontana? Nulla, ma ciò non gli impedì di
prendere la parola per spiegare alcuni misteri di cui era a conoscenza.
-
Sono il mandante delle stragi
fasciste, oltre che il capo della Loggia massonica coperta, nota col nome di
P2. Licio Gelli è solo un prestanome, uno che esegue alla lettera i miei
ordini. So tutto della strage di Piazza Fontana, come di ogni mistero della
Prima Repubblica. Mazzini, Garibaldi? Vi siete bevuti il cervello, come potete
pensare che ci sia qualcuno che muova dall’aldilà i fili della storia? In
realtà la strategia della tensione è stata una guerra per bande tra servizi
d’intelligence di opposto orientamento politico. Volete le prove della mia
colpevolezza? Avete mai visto qualcuno che non distrugga le prove del proprio
reato? No, ovvio. Perché allora mi fate domande tanto idiote?
Fu l’ultima telefonata della puntata: a Sofia a questo punto, non
restò che lanciare la pubblicità.
Le “ Nudità danzanti” al rientro in trasmissione deliziarono gli
spettatori con una prova d’autore dal titolo “ Preferiamo un’offerta in denaro
agli applausi”. Un gruppo rap, invece, eseguì una canzone che ripeteva
all’infinito questa strofa: “ A metà mese non ho più una lira, ecco perchè
scippo la pensione alle vecchie signore ingioiellate e dietro compenso mi
trombo le casalinghe arrapate di sesso”. Un cantante melodico napoletano,
invece, chiuse la parte della trasmissione riservata all’intrattenimento
leggero con pezzo composto dietro le sbarre e intitolato “ Scippo di quà e di
là, ma in gattabuia non mi va di restà..”
Le telecamere inquadrarono una stanza in penombra, seduti su un
divano, due uomini conversavano in modo animato. Gli spettatori riconobbero la
voce dell’attore della compagnia “ Pescatori di frodo in abito da sera” che
aveva impersonato Pinelli nella telefonata di qualche minuto prima. L’altro
personaggio, invece, era sconosciuto al pubblico.
-
Pietro, sono stato sul punto di
vuotare il sacco, di rivelare tutta la verità sulla strage alla Banca
dell’Agricoltura. Non so cosa mi abbia trattenuto, forse il timore d’infangare
l’immagine di uomo innocente che ancora mi porto dietro.
-
E a me non hai pensato? Cosa
avrebbero detto i miei parenti se avessero saputo che c’entravo qualcosa con
quella strage, che avevo accettato di piazzare la bomba a Piazza Fontana, per soldi?
-
Ti ricordi, Valpreda, la
trattativa con Gelli? Durò pochi minuti: qualunque cosa avessimo chiesto, ce
l’avrebbe data. Come due coglioni, invece, cosa abbiamo domandato? Un bonifico
di pochi milioni di lire, un’auto usata di media cilindrata, un assegno mensile
da quattro soldi per comprare un po’ di fumo.
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Non sapevamo delle trattative in
corso col gruppo dei fascisti: quelli alzarono troppo il prezzo e toccò a noi
il compito di piazzare le bombe.
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Non avevo mai visto uno 007,
quello che ci portò sino a casa gli ordigni, però, sembrava un tranquillo padre
di famiglia in gita domenicale. Una vera delusione! Però il mestiere lo
conosceva, il piano d’azione era preciso in ogni dettaglio. Peccato che certi
imprevisti lo mandarono a monte.
-
Caro Giuseppe, ti ricordi cosa
andò storto? L’auto ci lasciò a piedi, a duecento metri dalla Banca Nazionale
dell’Agricoltura. Il timer dell’ordigno era già in funzione, ma noi eravamo
fermi in mezzo al traffico, con l’auto in panne. Ci soccorse un vigile, ci
aiutò a spostare la macchina in un punto in cui non intralciava la
circolazione.
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Certo che gli tirammo un vero
tiro mancino. Gli demmo in mano la bomba confezionata come un pacco dono e lo
pregammo di nasconderla sotto il tavolo al centro del salone dell’istituto di
Credito: lo convincemmo che era un regalo dei dipendenti al direttore, per il
Natale imminente. Deve essere stato anche mezzo sordo: quel pacco era più
rumoroso della mia sveglia dell’anteguerra.
-
Lo hai mai rivisto? Io sono stato
arrestato quasi subito, ma tu hai provato a cercarlo?
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Si, caro Pinelli, l’ho cercato,
ma si è come volatilizzato. Forse, una volta appreso l’accaduto, ha dato subito
le dimissioni, per evitare guai peggiori. In fondo non siamo stati noi a
piazzare la bomba in Banca, ma un ignaro vigile, un umile dipendente comunale.
Non abbiamo la coscienza immacolata, ma poteva andar peggio.
Le telecamere
inquadrarono Alan Smith.
-
Questa è la mia ipotesi
sull’andamento degli eventi di quel dodici dicembre 1969. Fateci sapere se è
anche la vostra.
Un’ondata di fischi
assordanti partì dagli spalti. Furono contestati tutti i protagonisti della
puntata, esclusa Sofia Vassilieva. Non si erano mai visti forse in uno studio
televisivo tanti collassi: Sofia, paziente, fu costretta a praticare più
respirazioni bocca a bocca, di quante è costretto a farne, un medico del
reparto rianimazione, in un intero anno. Non aveva pregiudizi: uomini o donne, per
lei, pari erano.
Il fiasco non passò
inosservato: giornali e siti on line stroncarono con durezza l’indomani la
trasmissione e lo staff che l’aveva condotta. Qualcuno, sentenziarono deve
pagare, per l’affronto arrecato alla verità.
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