sabato 1 giugno 2013

Un fiasco in diretta (nuova versione)


Alberto Rana, il conduttore del programma "Quattro passi nella storia" guardò diritto nella telecamera, dopo che le "Nudità danzanti", il corpo di ballo della trasmissione, avevano dato inizio alla nuova puntata con un balletto dal titolo " Ci spogliamo per campare".

Con voce seria e grave comunicò agli spettatori l'argomento della trasmissione: la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano.

-       E’ uno dei misteri della storia d’Italia, un caso ancora irrisolto a più di quaranta anni dagli eventi. I tanti processi che si sono susseguiti nel tempo, non hanno avuto esito: non è stata emessa nessuna condanna definitiva. L’unica certezza è che la bomba che uccise diciassette innocenti fu piazzata dalle mani ignote di alcuni individui che militavano nei gruppi di estrema destra dell’epoca. Con la collaborazione di Alan Smith, cercheremo di fare un po’ di luce nel fitto mistero che ancora avvolge questa drammatica pagina di storia.

Le telecamere inquadrarono il profilo ancora agile dello studioso inglese, mentre già gli altoparlanti dello studio diffondevano le note di "The final Countdown" degli Europe. Il volto di Alan Smith trasmetteva una certa agitazione, uno strano fremito ne scuoteva il corpo.

-       Il dodici dicembre del 1969 un ordigno ad alto potenziale ha devastato i locali della “Banca dell’Agricoltura” di Piazza Fontana a Milano. L’esplosione ha mietuto ben diciassette vittime, ha causato parecchie decine di feriti. A quel giorno si fa risalire l’avvio della strategia della tensione, della stagione delle stragi e del terrorismo, che per più di un decennio avrebbe insanguinato l’Italia. Le prime indagini furono indirizzate verso la pista anarchica: furono fermati Valpreda e Pinelli, perquisite centinaia di abitazioni di militanti di sinistra. Giuseppe Pinelli ebbe ufficialmente un malore, mentre veniva interrogato in un ufficio al quarto piano della questura. Giuseppe Calabresi accusato da gruppi estremisti di averlo suicidato, scaraventandolo nel vuoto, morì in un attentato per il quale fu condannato in via definitiva anche Adriano Sofri, leader di Lotta Continua, un gruppo d’estrema sinistra dell’epoca. La pista anarchica si rivelò errata, le indagini allora si concentrarono sull'azione di alcuni gruppi neofascisti veneti. Freda e Ventura, accusati della strage furono assolti in via definitiva negli anni ottanta. Furono però dimostrati dalle indagini della magistratura i legami, tra la parte deviata dei servizi segreti dell'epoca e i gruppi neofascisti. Altri estremisti di destra come Delfo Zorzi furono assolti nel 2005 in via definitiva. La strage a tutt'oggi, è impunita. Ho potuto visionare documenti catalogati come top secret dai servizi d'intelligence di Sua Maestà, in Inghilterra; ciò mi consente di avanzare una mia teoria sull'andamento dei fatti. In questi documenti viene ipotizzato un collegamento tra la setta massonica P2,  gli ambienti neofascisti veneti e  i circoli anarchici milanesi. Pinelli secondo i servizi segreti britannici era un massone agli ordini di Licio Gelli: non cadde accidentalmente dalla finestra al quarto piano della questura, né fu gettato nel vuoto, ma si suicidò per evitare che venissero scoperti i collegamenti con la massoneria. Gli stessi Freda, Ventura, Zorzi erano al soldo di Licio Gelli, già allora deus ex machina di cospirazioni contro le istituzioni della Repubblica. I neofascisti avrebbero procurato il materiale esplosivo, gli anarchici avrebbero fisicamente deposto l'ordigno alla Banca dell'Agricoltura, i servizi di spionaggio italiani avrebbero provveduto al trasporto della bomba  e al collegamento tra i due gruppi: è questo, in estrema sintesi, il punto di vista dell’intelligence inglese ed anche il mio. La parte più interessante della documentazione, però, è l'analisi dell'organizzazione della Loggia massonica P2. Licio Gelli, secondo questi report, non era il vero capo della setta. Lo scettro del comando era affidato a un misterioso medium in contatto con Giuseppe Mazzini.

Il mormorio del pubblico non era dettato solo dallo stupore, ma anche dalla scarsa attendibilità della ricostruzione: a molti sembrava evidente che lo studioso inglese stava arrampicandosi sugli specchi, nell’esporre la sua teoria. Occorreva molta fantasia, ma anche un notevole spirito ironico nell’immaginare Giuseppe Mazzini, come il “grande vecchio”, il burattinaio dei misteri d’Italia. Sorpreso dalla freddezza degli spettatori, Alan Smith, ebbe un mancamento e si afflosciò sul pavimento come un sacco vuoto. Sofia Vassilieva, la nuova co-conduttrice del programma fu lesta nel prestargli soccorso. Gli si gettò addosso per praticargli la respirazione bocca a bocca, tra lo stupore e l’invidia del pubblico maschile.

Il regista chiese senza successo al corpo di ballo di anticipare l’esecuzione del pezzo provato in mattinata dal titolo “ Non ce la facciamo ad arrivare a fine mese”. Il corpo di ballo non ballò perchè nessuna delle danzatrici aveva ancora indossato i costumi di scena.

Alan e Sofia ci avevano preso gusto: la respirazione bocca a bocca fu solo l’antipasto dello spettacolo che consegnarono alle telecamere e ai loro fan su youtube. I consigli degli acquisti riuscirono a liberare tutti dall’imbarazzo.

Al rientro in studio un Alan Smith euforico e in perfetta salute completò l’esposizione delle sue tesi.

-       E’ Pinelli l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana e Giuseppe Mazzini ne è il mandante.

Toccò a Sofia Vassilieva rispondere alla prima telefonata in studio. Qualcuno che si spacciava per Ali Babà rivendicò le stragi delle Torri Gemelle, un altro buon tampone, fingendosi Churchill, si autoccusò dell’organizzazione dell’incidente a Diana Spencer.

La telefonata di Giuseppe Pinelli, invece, ebbe ben altro impatto.

-       Non ho mai avuto contatti con Licio Gelli, attivisti di destra e funzionari dei servizi segreti. Posso rivelarvi, invece, ciò che successe in quella stanza della questura. Calabresi non ha alcuna colpa nella mia morte. Tra noi s’era creato anzi un bel rapporto: per questo decidemmo di giocare uno scherzo al questore Guida che sostava in cortile proprio sotto la nostra finestra. Volevamo tiragli un portacenere di plastica, così per vedere l’effetto che faceva: mi sono sporto troppo per verificare l’esatta posizione del questore e mi sono sfracellato sul pavimento del cortile della questura. Lo scherzo non ha funzionato: è l’unica cosa di cui mi pento.

Seguì la telefonata di Licio Gelli: a porre le domande stavolta fu Alberto Rana.

-       Non ho avuto nessun compito nell’organizzazione dell’attentato a Piazza Fontana. Non nego che mi sarebbe piaciuto, ma verità vuole che mi dichiari del tutto estraneo a quella strage. Ho sentito parlare di Mazzini come mandante della strategia della tensione: mi permetto di dissentire. Per quello che mi risulta, il “ grande vecchio” che sta dietro alle stragi di quegli anni, è un altro Giuseppe, è Garibaldi!

Dagli spettatori in sala partì qualche fischio: se era già difficile credere che Mazzini potesse avere a che fare con una strage di quel tipo, era impossibile pensare a Garibaldi come a un terrorista. La telefonata successiva fu quella di Cossiga: cosa c’entrava con la strage di Piazza Fontana? Nulla, ma ciò non gli impedì di prendere la parola per spiegare alcuni misteri di cui era a conoscenza.

-       Sono il mandante delle stragi fasciste, oltre che il capo della Loggia massonica coperta, nota col nome di P2. Licio Gelli è solo un prestanome, uno che esegue alla lettera i miei ordini. So tutto della strage di Piazza Fontana, come di ogni mistero della Prima Repubblica. Mazzini, Garibaldi? Vi siete bevuti il cervello, come potete pensare che ci sia qualcuno che muova dall’aldilà i fili della storia? In realtà la strategia della tensione è stata una guerra per bande tra servizi d’intelligence di opposto orientamento politico. Volete le prove della mia colpevolezza? Avete mai visto qualcuno che non distrugga le prove del proprio reato? No, ovvio. Perché allora mi fate domande tanto idiote?

Fu l’ultima telefonata della puntata: a Sofia a questo punto, non restò che lanciare la pubblicità.

Le “ Nudità danzanti” al rientro in trasmissione deliziarono gli spettatori con una prova d’autore dal titolo “ Preferiamo un’offerta in denaro agli applausi”. Un gruppo rap, invece, eseguì una canzone che ripeteva all’infinito questa strofa: “ A metà mese non ho più una lira, ecco perchè scippo la pensione alle vecchie signore ingioiellate e dietro compenso mi trombo le casalinghe arrapate di sesso”. Un cantante melodico napoletano, invece, chiuse la parte della trasmissione riservata all’intrattenimento leggero con pezzo composto dietro le sbarre e intitolato “ Scippo di quà e di là, ma in gattabuia non mi va di restà..”

Le telecamere inquadrarono una stanza in penombra, seduti su un divano, due uomini conversavano in modo animato. Gli spettatori riconobbero la voce dell’attore della compagnia “ Pescatori di frodo in abito da sera” che aveva impersonato Pinelli nella telefonata di qualche minuto prima. L’altro personaggio, invece, era sconosciuto al pubblico.

-       Pietro, sono stato sul punto di vuotare il sacco, di rivelare tutta la verità sulla strage alla Banca dell’Agricoltura. Non so cosa mi abbia trattenuto, forse il timore d’infangare l’immagine di uomo innocente che ancora mi porto dietro.

-       E a me non hai pensato? Cosa avrebbero detto i miei parenti se avessero saputo che c’entravo qualcosa con quella strage, che avevo accettato di piazzare la bomba a Piazza Fontana, per soldi?

-       Ti ricordi, Valpreda, la trattativa con Gelli? Durò pochi minuti: qualunque cosa avessimo chiesto, ce l’avrebbe data. Come due coglioni, invece, cosa abbiamo domandato? Un bonifico di pochi milioni di lire, un’auto usata di media cilindrata, un assegno mensile da quattro soldi per comprare un po’ di fumo.

-       Non sapevamo delle trattative in corso col gruppo dei fascisti: quelli alzarono troppo il prezzo e toccò a noi il compito di piazzare le bombe.

-       Non avevo mai visto uno 007, quello che ci portò sino a casa gli ordigni, però, sembrava un tranquillo padre di famiglia in gita domenicale. Una vera delusione! Però il mestiere lo conosceva, il piano d’azione era preciso in ogni dettaglio. Peccato che certi imprevisti lo mandarono a monte.

-       Caro Giuseppe, ti ricordi cosa andò storto? L’auto ci lasciò a piedi, a duecento metri dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Il timer dell’ordigno era già in funzione, ma noi eravamo fermi in mezzo al traffico, con l’auto in panne. Ci soccorse un vigile, ci aiutò a spostare la macchina in un punto in cui non intralciava la circolazione.

-       Certo che gli tirammo un vero tiro mancino. Gli demmo in mano la bomba confezionata come un pacco dono e lo pregammo di nasconderla sotto il tavolo al centro del salone dell’istituto di Credito: lo convincemmo che era un regalo dei dipendenti al direttore, per il Natale imminente. Deve essere stato anche mezzo sordo: quel pacco era più rumoroso della mia sveglia dell’anteguerra.

-       Lo hai mai rivisto? Io sono stato arrestato quasi subito, ma tu hai provato a cercarlo?

-       Si, caro Pinelli, l’ho cercato, ma si è come volatilizzato. Forse, una volta appreso l’accaduto, ha dato subito le dimissioni, per evitare guai peggiori. In fondo non siamo stati noi a piazzare la bomba in Banca, ma un ignaro vigile, un umile dipendente comunale. Non abbiamo la coscienza immacolata, ma poteva andar peggio.

Le telecamere inquadrarono Alan Smith.

-       Questa è la mia ipotesi sull’andamento degli eventi di quel dodici dicembre 1969. Fateci sapere se è anche la vostra.

Un’ondata di fischi assordanti partì dagli spalti. Furono contestati tutti i protagonisti della puntata, esclusa Sofia Vassilieva. Non si erano mai visti forse in uno studio televisivo tanti collassi: Sofia, paziente, fu costretta a praticare più respirazioni bocca a bocca, di quante è costretto a farne, un medico del reparto rianimazione, in un intero anno. Non aveva pregiudizi: uomini o donne, per lei, pari erano.

Il fiasco non passò inosservato: giornali e siti on line stroncarono con durezza l’indomani la trasmissione e lo staff che l’aveva condotta. Qualcuno, sentenziarono deve pagare, per l’affronto arrecato alla verità.









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