mercoledì 1 maggio 2013

Un pacifista in carriera



-       Ci facciamo gli affari vostri e vi aiutiamo a guadagnare di più. Protezione, consulenze, strategie di marketing: è ciò che vi offriamo per sviluppare la vostra azienda, inserendola in un tessuto connettivo vitale, in una rete solidale con altre società.
L’anziano boss mafioso lesse ad alta voce il volantino che un gruppo d’affiliati al clan aveva distribuito sul territorio.

-       Che cosa è questa roba? Siamo diventati una società d’assicurazioni? Che fa, ci facciamo un bel contrattino a quelli che ci pagano il pizzo? Alle mignotte ci offriamo il pappone gratis? I nostri pusher ci fanno le offerte speciali a chi compra le dosi? Prendi tre e paghi due oppure compra ora e cominci a pagare tra sei mesi? Che vi salta in testa? Volete rendermi ridicolo agli occhi dei “colleghi” per farmi fuori alla prima occasione?
La voce del boss era alterata da una rabbia sincera: lo dimostrava il viso paonazzo, le mani gesticolanti, i passi nervosi nella stanza d’albergo in cui si svolgeva la riunione. Solo suo figlio, l’estensore materiale del volantino, laureato con centodieci e lode alla Bocconi in economia, ebbe il coraggio di ribattere.

-       Le statistiche non mentono: il fatturato del pizzo è crollato, i negozianti non hanno i soldi per pagarlo, sono sempre più quelli che si rivolgono alle forze dell’ordine per denunciarci e chiedere protezione. La crisi ha dimezzato le loro vendite, noi che facciamo? Se un mese non possono pagarci, gli bruciamo il locale, li minacciamo, li spaventiamo! Dobbiamo renderci conto che noi dovremmo essere i primi interessati al rilancio delle loro attività, che dovremmo investire di più in risorse umane e meno in proiettili e taniche di benzina. E’ vero abbiamo fondato una società d’assicurazioni, ai commercianti della zona proponiamo una speciale polizza: non prendiamo solo i loro soldi, ma forniamo pure dei servizi che li aiutano a rilanciarne le attività. Il modello scelto è quello della solidarietà: chi firma le nostre polizze s’impegna ad acquistare a prezzi scontati da un elenco di società del nostro gruppo: supermercati, negozi di abbigliamento, di scarpe, pompe di benzina, concessionarie d’auto, società immobiliari etc. I nostri clienti possono ampliare il loro giro d’affari e il pizzo esce dalla sfera dell’illegalità. Ci saranno meno “picciotti” dietro le sbarre, spenderemo meno per le parcelle degli avvocati, senza rinunciare ad alcuna quota di fatturato.

Il boss restò senza parole, rifletté qualche minuto prima di dare il via libera all’iniziativa: in effetti il fatturato del pizzo era quello che risentiva maggiormente della crisi economica.

L’iniziativa del clan dei “Rapisarda” decollò in fretta: i vecchi pizzi vennero trasformati automaticamente in polizze assicurative, ma nuovi “clienti” chiesero liberamente di poter sottoscrivere i contratti. Il guaio è che riguardavano attività fuori dalla sfera di competenza del clan: era necessario un vertice tra boss, per convalidarli. Fu convocata una riunione al massimo livello, nel solito casolare di campagna, per la domenica successiva. Renzo Rapisarda, avrebbe accompagnato per la prima volta il padre al massimo convegno mafioso.

Le misure di sicurezza erano imponenti: il numero dei “picciotti” impegnati a difendere l’incolumità dei boss ricordava da vicino quello degli agenti delle forze dell’ordine impegnate in un “derby” serale tra Roma e Lazio. Forse, pensò Renzo un uso più puntuale della tecnologia avrebbe potuto ridurre i costi del personale: anche la mafia, aveva bisogno di un’adeguata spending  review. Immaginava un’organizzazione più snella, border line verso la legalità: il suo animo pacifista e legalitario, odiava le faide tra clan, gli attentati contro le forze dell’ordine, le rapine violente, lo sfruttamento dei deboli e delle donne. Era uno degli ultimi marxisti in circolazione, un seguace della democrazia diretta, un Robin Hood circondato da squali affamati di sangue umano.

L’ordine del giorno della riunione prevedeva al primo punto la discussione sul calo del fatturato delle organizzazioni mafiose. La crisi colpiva duro su tutto il fronte: i consumatori di droga, erano costretti a tirare la cinghia, i clienti delle prostitute avevano ridotto qualità e frequenza dei loro incontri, le attività estorsive erano al palo, a causa dei fallimenti e dei suicidi degli imprenditori. Renzo Rapisarda fu il primo a chiedere la parola, dopo la relazione introduttiva del “Capo dei Capi”. Spiegò con calma la sua ricetta per il rilancio del fatturato di “Cosa Nostra”: l’Organizzazione avrebbe dovuto fare ciò che le Banche e lo Stato non facevano più, sostenere gli investimenti in macchinari, in ricerca, in risorse umane. Avrebbe dovuto utilizzare tecniche di marketing per promuovere il consumo di stupefacenti, con sconti, offerte speciali, piccoli prestiti ai consumatori. Avrebbe potuto mettere a disposizione locali per le prostitute, in modo da abbassare i costi delle prestazioni, per venire incontro alle esigenze dei clienti. Avrebbe potuto proporre uno scambio allo Stato: l’acquisto di titoli del debito pubblico e media e lunga scadenza in cambio dell’abolizione del carcere duro per i boss e di un abbassamento del livello di scontro. Il futuro è all’interno della legalità spiegò ai suoi interlocutori: i capitali vanno investiti nel trading, nell’acquisto di azioni e obbligazioni di società quotate in Borsa.

Una standing ovation segnò la fine del suo intervento: a Renzo Rapisarda furono affidati seduta stante i pieni poteri sulla politica di “Cosa Nostra”. Un pacifista alla guida della Mafia? E’ come se un generale dell’Esercito fosse messo alla guida della Chiesa, se per diventare deputati si dovesse rinunciare alle ricchezze accumulate. Quasi impossibile.

Scoppiò la pace in Sicilia: fu tutto un proliferare d’iniziative imprenditoriali, di nuovi sportelli bancari che prestavano soldi a tassi “tedeschi”. Sparirono le estorsioni, le prostitute e i pusher dalle strade e dalle piazze, i commercianti videro raddoppiato in tempi brevi il loro fatturato. Le statistiche annotarono tutto: il “pil” dell’isola prese a correre a ritmi “cinesi”. Renzo Rapisarda decise di “scendere in politica”: fondò il “Movimento Pacifista Libertario Italiano”. L’MPLI, fu il partito di maggioranza relativa alle elezioni politiche anticipate: venti giorni dopo la chiusura dei seggi, il suo leader fu nominato alla guida del governo. Si presentò alle camere con un programma di pacificazione nazionale: chiese di mettere fine a un secolo di lotta contro la mafia, in cambio di un clima di collaborazione capace di proiettare l’Italia verso un radioso futuro di pace sociale e benessere. Le misure più popolari, verso i giovani, i poveri, gli emarginati, gli ultimi, furono finanziate dalle casse di “Cosa Nostra”, fu imposto alle Banche di sovvenzionare con speciali agevolazioni l’imprenditoria giovanile, senza gravare sul bilancio dello Stato. Una politica espansiva, abbinata al drastico calo dei reati, a serie garanzie di sicurezza per chi investe, consentì una forte ripresa produttiva, un rilancio impetuoso del pil.

Un attentato, un’altra autobomba pose prematuramente fine alla vita di Renzo Rapisarda e della sua scorta: le indagini accertarono che fu opera dei servizi segreti deviati, che i mandanti andavano ricercati nella magistratura politicizzata, nelle toghe rosse, nel ceto politico ancora fedele alla Costituzione Repubblicana e contrario a ogni colpo di spugna verso il passato. La forza dei simboli: la strada scelta per la strage era ancora quella di Capaci. Un premier pacifista e mafioso ucciso da un complotto della magistratura e dei servizi segreti nei pressi di Capaci: quale trama migliore per un film di fantascienza!

L’improbabile è il futuro: basta solo aspettare per vederlo.

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