Passo le mattine nell’ufficio postale del
mio quartiere; da quando è scaduto il mio ultimo contratto temporaneo, mi sono
dovuto arrangiare. Un trentenne in attesa di occupazione: è questo il mio
status, lo stesso di centinaia di migliaia di coetanei, in questi tempi di
precarietà e finanze al verde. Mi sono laureato con centodieci e lode in
filosofia già da cinque anni e ho fatto tutta la trafila del precario: il
telefonista al call center, il postino per tre mesi, il supplente alle scuole
medie. Sono stato cameriere, ho consegnato pizze a domicilio, inviato
curriculum persino al paradiso e all’inferno, sostenuto decine di colloqui di
lavoro, inutilmente. Ho accompagnato signore cinquantenni a cena e le ho
seguite in camera da letto: la gioventù, forse, è l’unica merce che ha ancora
un valore in certi ambienti. L’ufficio postale, come ho già detto, è quasi la
mia casa: mi metto in coda dalle sette del mattino e attendo con pazienza
l’apertura. Porto con me un libro per ingannare il tempo, scambio quattro
chiacchiere con le signore in fila per riscuotere la pensione. Sono in genere
tra i primi cinque ad entrare: aspetto che chi mi precede abbia preso il
tagliando col numero eliminacode, per prenotare i successivi venti. Che ci
faccio? Li vendo a coloro che non vogliono fare la coda per pagare la bolletta
della luce, per riscuotere la pensione, per spedire una raccomandata. Con un
euro possono evitare una levataccia o di trascorrere un paio d’ore in piedi
all’ufficio postale; se il tempo è danaro, la mia proposta è un investimento.
Il mio slogan è “ Fate l’amore non la fila alla Posta”: ai miei clienti
assicuro il rimborso se l’attesa si protrae oltre il quarto d’ora. La mia
organizzazione è perfetta: sullo smartphone segno l’orario di consegna di ogni
numero eliminacode, in modo da poter rispondere con dati di fatto, ad eventuali
contestazioni dei clienti. Non tutte le giornate, però, sono facili: quando va
in tilt ad esempio il sistema informatico, sono costretto a rimborsare quasi
tutto l’incasso. Il guaio è che non capita di rado. Non tutti sono contenti di
ciò che faccio: chi non ha accettato la mia proposta, ad esempio, non vede di
buon occhio di essere scavalcato dall’ultimo arrivato. Dopo la contestazione,
però, si tranquillizza: per evitare discussioni gli offro gratis uno dei primi
numeri a disposizione. I giorni più redditizi sono i primi del mese, quando
sono in pagamento le pensioni; ho fatto affari d’oro, ad esempio, nei giorni di versamento dell’Imu, di sicuro
alle prossime elezioni, voto per la lista di Mario Monti. Credete che sia la
mia unica occupazione? Vi sbagliate: dopo le diciannove e la domenica , ad
esempio, lavoro in un distributore di benzina. Quando non c’è il personale
addetto all’erogazione del carburante, aiuto i clienti a fare rifornimento, in
cambio di una piccola offerta. In inverno col freddo, in estate col caldo, per
molti è fastidioso uscire dall’automobile: faccio tutto io, prendo le chiavi,
apro il serbatoio, inserisco le banconote nel distributore automatico, completo
l’operazione di rabbocco e restituisco le chiavi al cliente. Mi bastano
cinquanta centesimi per mostrargli il mio sorriso più smagliante. A volte
riesco a rimediare una sveltina veloce in macchina con una coetanea disinibita,
più spesso, invece, trovo una compiacente signora attempata che mi offre la
cena e mi paga profumatamente per il dopo cena. Le ferie? Poche e saltuarie: se
mi sposto dall’ufficio postale o dalla pompa di benzina preferita, rischio di
trovare il posto occupato. Dite che il
mio è un lavoro senza concorrenza? Vi sbagliate, provate a fare il giro degli
uffici postali o di quelli dell’Inps, per rendervi conto di come stanno davvero
le cose. Far guadagnare tempo alla gente è il mio lavoro, il mio nome è Fabio
Massimo e forse, già in questo, c’è il segno di un destino ineluttabile.
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