giovedì 31 gennaio 2013

Un'indagine ad alto rischio



  
La trappola era pronta, per far scattare la vasta e complessa operazione “ Penne pulite”, si aspettava solo l’ordine finale. Intanto nella centrale operativa della Guardia di finanza si limavano gli ultimi dettagli, già si preparava il comunicato stampa dell’azione. L’indagine era nata per caso: un’intercettazione ambientale al parco pubblico aveva fatto drizzare le antenne agli investigatori. Un uomo anziano, un pensionato, riceveva un misterioso pacco da un pregiudicato sotto sorveglianza. La stessa scena si sarebbe ripetuta nei giorni successivi con altre persone: un’avvenente ragazza trentenne, un distinto professore universitario, un ragazzo tutto piercing e tatuaggi. Un traffico di cocaina? Una vendita al dettaglio di crack o di sostanze chimiche? La prima ipotesi dei detective non aveva prodotto alcunché: le persone che avevano ritirato il pacco sospetto erano incensurate, non si facevano di nessuna sostanza. Interrogate, però, si erano rifiutate di rivelare il contenuto dell’involucro ricevuto dal pregiudicato con cui erano entrate in contatto. Il delinquente era pedinato giorno e notte, i suoi telefoni erano sottoposti ad intercettazione: ogni parola, qualsiasi mossa non sfuggiva agli inquirenti che lo sorvegliavano. Aveva strane frequentazioni: mostre, convegni culturali, presentazioni di libri, prime teatrali. Discuteva con artisti, scrittori, critici letterari, filosofi, ingegneri, con cognizione di causa e linguaggio forbito. Pregiudicato? Si, ma non dei bassifondi, la cultura era per lui, anzi, un libro aperto. Nella sua scheda segnaletica era riportato un diploma di terza media: probabilmente  nei dieci anni di carcere già scontati, aveva trovato il modo di ampliare le sue conoscenze. L’inchiesta era ferma: non era possibile interrogare fior di professionisti ed intellettuali, senza avere uno straccio d’accusa. Come tante indagini, fu la fortuna a mettere gli inquirenti sulla pista giusta. Il solito parco, al tramonto: un’elegante bionda quarantenne si appartò col nostro sorvegliato. Gli agenti filmarono una sveltina in piena regola, conclusa con il pagamento di una somma di danaro da parte della signora e la consegna del solito pacco. Gli ordini della centrale furono concitati e tassativi: la bionda signora doveva essere fermata e condotta in centrale per un interrogatorio. L’apertura del pacco, però, lasciò tutti esterrefatti: il materiale oggetto di scambio era un libro di poesia. L’interrogatorio servì a chiarire molti lati oscuri di quella vicenda: la signora era la moglie di un noto avvocato  e si dilettava di poesia all'insaputa dell’illustre consorte. Il libro sequestrato era la prima copia di una sua raccolta, che stava pubblicando in incognito: il denaro era quanto pattuito con la casa editrice, la sveltina, invece, era il pagamento richiesto per quel favore. I detective delle finanze le mostrarono altri filmati, chiedendole se riconoscesse qualcuna delle persone inquadrate. Identificò il professore universitario: "È un conoscente di mio marito, un amante della poesia, un autore molto dotato" rivelò agli inquirenti. "Il commercio dei libri di poesia", chiese che fosse messo a verbale la bionda signora, "è quasi clandestino: ormai chi vuole pubblicare qualcosa, deve accettare questi metodi". Gli inquirenti ne vagliarono a lungo la deposizione, per capire quali estremi di reato potesse nascondere quella pratica di diffusione degli scritti. I dubbi crebbero col passare dei giorni, le modalità di consegna dei libri di poesia sembravano celare qualcosa di più losco di un tentativo di sottrarre le proprie opere all'attenzione di un marito ignaro. I dirigenti della casa editoriale che stava curando la pubblicazione del libro sequestrato, sentiti sull'argomento, non ebbero difficoltà a mettere a disposizione dei detective della Finanza, tutto il materiale in loro possesso: il testo originale, le bozze corrette, il contratto editoriale, le mail scambiate con l'autore. La documentazione era in ordine, non c'era nulla da eccepire sul comportamento della casa editrice: i reati, se di questo si trattava, erano a monte. Uno degli investigatori si prese la briga di leggere la pubblicazione, era esperto della materia, poeta in incognito anche lui. Capì subito di cosa si trattava, l'indomani, in ufficio avrebbe cercato sul web, tutti i riscontri alla propria ipotesi. Un traffico internazionale di versi: ecco di cosa si trattava. Qualcuno traduceva le opere di poeti sconosciuti nel nostro paese: estoni, iraniani, libanesi, kazaki, bulgari e li vendeva a degli autori. Rimaneggiati, aggiustati alla bisogna, potevano essere pubblicati a nome proprio. Il sistema aveva però, un anello debole: se uno di quegli autori diventava famoso, se i suoi versi iniziavano a circolare liberamente per il web, c'era il rischio che qualcuno scoprisse l'inganno. Era ciò che era capitato: l'investigatore si era imbattuto in una poesia di un autore che di recente era stato pubblicato e di cui aveva acquistato on line, l'opera. Le indagini poterono procedere velocemente: la bionda poetessa quarantenne, denunciata per plagio e ricettazione d'opere d'arte, accettò di collaborare con gli inquirenti. La prima poetessa "pentita" della storia: ecco il titolo di cui poteva vantarsi! Fece nomi e cognomi d’autori rei di plagio, dei siti di scrittura su cui si potevano contattare gli spacciatori di versi, dei collaboratori delle case editrici che dietro una piccola "donazione" chiudevano un occhio su quel che succedeva. Il canto dei poeti riempì migliaia di pagine di verbali giudiziari: alla prima minaccia di denuncia per plagio, non esitarono vuotare il sacco. In pochi giorni gli inquirenti furono sulle tracce degli organizzatori di quel traffico, ne conobbero l'organigramma, le sedi operative, i complici, ma anche i nomi degli ignari traduttori che ne consentivano la riuscita. La trappola era pronta per scattare, ma l'operazione "Penne pulite" non ebbe mai luogo: una telefonata dalle alte sfere bloccò tutto. Mesi d'indagine andarono in fumo, i poeti tornarono dopo un po' alle amate abitudini, tutto sembrò finire nel dimenticatoio. All'investigatore che aveva scoperto l'inganno, però, il rospo non andò giù: riprese ad indagare, per scoprire quale personaggio influente, toccato dalle indagini, aveva fatto insabbiare tutto. Ci volle un po' per arrivare alla verità; su quell'argomento c'erano troppo bocche cucite. Erano intervenuti i servizi d'intelligence: tra gli organizzatori del traffico, nascosto dietro un nome falso, c'era un famoso uomo politico e collezionista di libri. Non ebbe materialmente il tempo di rivelare ad alcuno la propria scoperta: gli fu fatale, nel bar in cui si recava la mattina prima di prendere servizio, un caffé corretto alla stricnina. Il referto autoptico parlò di morte naturale: al funerale, però, parteciparono oltre ai familiari stretti, ai colleghi, ai rappresentanti della Guardia di Finanza, anche i poeti " pentiti" Scrissero e recitarono l'elogio funebre: copiato da un poeta emergente del Mali, tanto per cambiare!


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