giovedì 22 novembre 2012

La porta socchiusa



Mi svegliò nel cuore della notte il pianto di un neonato, aprii gli occhi, mi alzai per raggiungere la culla di M., il mio angelo biondo, una bimba di soli sei mesi. Dormiva beata, aveva un sorriso accennato sul volto: non si sarebbe svegliata prima dell’alba, mi dissi. Tesi l’orecchio verso la stanza attigua: il pianto non era cessato, dopo avere indossato una vestaglia, varcai la porta che divideva la mia stanza da letto da quella di N., la segretaria di mio marito che da circa due anni divideva con noi l’appartamento. G. la sua prima figlia, aveva appena due mesi ma corde vocali tanto potenti da svegliare mezza città. M’informai sulle sue condizioni: il pianto era solo dovuto alla fame, N. stava già provvedendo a nutrirla col suo latte. Svegliato dal pianto e dalle luci accese, anche G. mio marito ci raggiunse, per informarsi dell’accaduto. Notai l’assenza totale d’imbarazzo nella sua segretaria nel mostrarsi a seno scoperto, mentre allattava la figlia.
N. era entrata nella vita di mio marito già da qualche anno: un breve colloquio bastò a selezionarla tra le poche candidate che risposero all’offerta di lavoro pubblicata sul quotidiano locale. Capelli e occhi neri, naso aquilino, voce quasi maschile, altezza media: il volto scavato e il corpo magro ne accentuavano la naturale sensualità. Poteva essere definita un tipo, ma non era certo una bellezza. Seguiva mio marito negli spostamenti tra gli uffici in cui G. si recava per svolgere la sua opera di analista e di programmatore di software.


Una gravidanza inattesa


All’epoca abitavo ancora da mia suocera, pur avendo già due figli e qualche anno di matrimonio alle spalle. Il posto era splendido: distava appena venti metri dal mare, separato solo dalla piazza che dava sul porticciolo in cui era attraccata anche la nostra barca da pesca. Vivevamo, insieme ai suoceri e al fratello di mio marito nell’abitazione al primo piano: G. nel tempo libero e quando le finanze lo permettevano, si dedicava alla ristrutturazione dell’appartamento che era situato al pianterreno. Era questo il vero motivo della nostra permanenza a casa dei suoi: l’arrivo di una terza figlia, però, ci costrinse a rivedere i nostri piani; non c’era abbastanza spazio per tutti. Affittammo un appartamento in un paese vicino: avevamo bisogno di un po’ di privacy, dopo anni di convivenza forzata. Qualche mese dopo ci raggiunse N.: i suoi, testimoni di Geova, l’avevano cacciata di casa dopo la scoperta della sua gravidanza. Prima di accoglierla, le chiesi di chi era il figlio: mi rivelò il nome del fidanzato, tra le lacrime mi raccontò lo svolgersi degli eventi, mi spiegò che il padre si era eclissato appena saputo dell’imminente arrivo di un bambino.


Una strana convivenza

Due donne in gravidanza, due figli, un uomo: potrebbe essere il titolo di una commedia brillante o di un film comico: gli ingredienti di successo, se mescolati nel modo giusto, sono tutti presenti. Di soldi a casa ne entravano pochi, servivano per pagare l’affitto, per il mantenimento dei figli: N. per fortuna si accontentava di vitto e alloggio e del pagamento delle spese necessarie a portare avanti la gravidanza. Mi aiutava in cucina: spesso anzi era lei a pensare a tutto quando la mia gestazione era in stato avanzato; il pranzo o la cena per noi tre, il latte a colazione per i miei figli. La convivenza scorreva serena: N. era quasi sempre a casa, come le aveva consigliato il ginecologo di fiducia. Ciò non le impediva, però, di seguire il lavoro di G. Non ho mai capito quali fossero le sue competenze: aveva il diploma di licenza media, nessuna conoscenza dell’informatica, non aveva seguito alcun corso di dattilografia. Eppure a detta di G. la sua opera era preziosa, irrinunciabile addirittura. Potevo ascoltarli quando, nella stanza da letto, N. trascriveva sul personal computer, ciò che mio marito dettava ad alta voce. La porta accostata e non chiusa mi rassicurava: dentro non poteva succedere nulla di male. Di notte il bagno era molto trafficato come è normale quando nella stessa abitazione convivono due donne in gravidanza: forse era l’unico inconveniente di quello stato di cose.


Primi sospetti

Il bagno restò trafficato anche dopo il parto di N., una cistite causa dalla gravidanza la costringeva ad alzarsi spesso la notte, fu la spiegazione, certificata dai farmaci prescritti dal medico di fiducia. G. da sempre era abituato a lavorare di notte e a dormire di giorno: ciò m’impediva di dare peso alla sua assenza dal letto matrimoniale, quando mi svegliavo per dare la poppata a mia figlia. Una notte, però, la porta del bagno prese a cigolare, a emettere strani suoni: a intervalli regolari, e cadenzati. Mi alzai senza far rumore: N. seduta sulla tazza del gabinetto, notes in una mano e penna nell’altra trascriveva ciò che mio marito le dettava a voce bassa. La mia richiesta di spiegazioni non andò a vuoto: mio marito l’aveva svegliata per farle trascrivere l’idea che ne aveva d’improvviso illuminato la mente, fu la sua tesi. Avrei mai creduto alla loro buona fede, mi dissero, se invece di trovarli in bagno, li avessi scoperti in camera da letto? Si scusarono per l’accaduto, ma continuarono imperterriti il loro lavoro. Non riuscii a prendere sonno anche nelle notti successive: la mente di G. era un vulcano, illuminazioni continue, frasi roboanti che alle tre di notte squarciavano l’aria, un’attività febbrile sino a mattina, quando il sonno aveva la meglio anche su di loro. Un nuovo sospetto mi si affacciò alla mente: N. era di nuovo incinta?

L’inganno svelato

Aveva ripreso da qualche mese la storia col vecchio fidanzato, mi disse quando le chiesi delle spiegazioni, perché voleva che sua figlia avesse un padre, ma non era in stato di gravidanza. Il sospetto non svanì: se N. era quasi sempre a casa, come poteva aver riallacciato a mia insaputa la vecchia relazione? Nessuna telefonata, nessun indizio, pur piccolo, portava in quella direzione: decisi di andare a fondo, tesi le orecchie, cercai di prestare attenzione a quei movimenti che di solito mi sfuggivano. Finsi di dormire la notte, russai a bella posta: nascosta dalla porta della stanza da letto semichiusa, N. seguiva ogni mio movimento nel letto. Rassicurata dal mio dormire, N. s’infilò subito in bagno, raggiunta dall’amante già in calore: fui costretta a spiarli dal buco della serratura, come un Alvaro Vitali qualunque, per avere le prove del tradimento. Non fecero in tempo a rivestirsi: quando entrai in bagno notes e penna erano riposti in maniera ordinata sulla tazza del w.c., la voce di G. non era ancora pronta a gridare ai posteri idee illuminanti. N. appoggiata sul lavandino con i pantaloni del pigiama abbassati, piagnucolava: era tutto un malinteso, il mal di schiena l’aveva bloccata, disse, quando stava lavandosi i denti! Anche G. protestò la sua innocenza: era entrato in bagno per fare pipì. Dopo essersi abbassati i pantaloni, non si era accorto della presenza di G. sul lavandino, a causa della luce spenta. Furono traditi dal preservativo: non riuscirono a spiegarne la presenza sul glande ancora in erezione di G.


La conclusione


Li costrinsi a fare i bagagli, a ripetere lo stesso mio percorso: c’era ancora una stanza libera da mia suocera, un intero piano da utilizzare per i loro giochi erotici. La strana convivenza ebbe termine: G.e N. hanno cresciuto tre figlie; l’inganno, però, non ha portato loro fortuna. N. è da anni su una sedia a rotelle, G. è costretto a farle da infermiere. Far male a chi ti ha aiutato nei momenti di difficoltà, evidentemente non piace al Dio dei cristiani e nemmeno a quello dei testimoni di Geova.
 


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