Mi svegliò nel cuore della notte il pianto di un neonato, aprii gli
occhi, mi alzai per raggiungere la culla di M., il mio angelo biondo, una bimba
di soli sei mesi. Dormiva beata, aveva un sorriso accennato sul volto: non si sarebbe
svegliata prima dell’alba, mi dissi. Tesi l’orecchio verso la stanza attigua:
il pianto non era cessato, dopo avere indossato una vestaglia, varcai la porta
che divideva la mia stanza da letto da quella di N., la segretaria di mio
marito che da circa due anni divideva con noi l’appartamento. G. la sua prima
figlia, aveva appena due mesi ma corde vocali tanto potenti da svegliare mezza
città. M’informai sulle sue condizioni: il pianto era solo dovuto alla fame, N.
stava già provvedendo a nutrirla col suo latte. Svegliato dal pianto e dalle
luci accese, anche G. mio marito ci raggiunse, per informarsi dell’accaduto. Notai
l’assenza totale d’imbarazzo nella sua segretaria nel mostrarsi a seno
scoperto, mentre allattava la figlia.
N. era entrata nella vita di mio marito già da qualche anno: un
breve colloquio bastò a selezionarla tra le poche candidate che risposero
all’offerta di lavoro pubblicata sul quotidiano locale. Capelli e occhi neri,
naso aquilino, voce quasi maschile, altezza media: il volto scavato e il corpo
magro ne accentuavano la naturale sensualità. Poteva essere definita un tipo,
ma non era certo una bellezza. Seguiva mio marito negli spostamenti tra gli
uffici in cui G. si recava per svolgere la sua opera di analista e di
programmatore di software.
Una gravidanza inattesa
All’epoca abitavo ancora da mia suocera, pur avendo già due figli e
qualche anno di matrimonio alle spalle. Il posto era splendido: distava appena
venti metri dal mare, separato solo dalla piazza che dava sul porticciolo in
cui era attraccata anche la nostra barca da pesca. Vivevamo, insieme ai suoceri
e al fratello di mio marito nell’abitazione al primo piano: G. nel tempo libero
e quando le finanze lo permettevano, si dedicava alla ristrutturazione
dell’appartamento che era situato al pianterreno. Era questo il vero motivo
della nostra permanenza a casa dei suoi: l’arrivo di una terza figlia, però, ci
costrinse a rivedere i nostri piani; non c’era abbastanza spazio per tutti.
Affittammo un appartamento in un paese vicino: avevamo bisogno di un po’ di
privacy, dopo anni di convivenza forzata. Qualche mese dopo ci raggiunse N.: i suoi,
testimoni di Geova, l’avevano cacciata di casa dopo la scoperta della sua
gravidanza. Prima di accoglierla, le chiesi di chi era il figlio: mi rivelò il
nome del fidanzato, tra le lacrime mi raccontò lo svolgersi degli eventi, mi
spiegò che il padre si era eclissato appena saputo dell’imminente arrivo di un bambino.
Una strana convivenza
Due donne in gravidanza, due figli, un uomo: potrebbe essere il
titolo di una commedia brillante o di un film comico: gli ingredienti di
successo, se mescolati nel modo giusto, sono tutti presenti. Di soldi a casa ne
entravano pochi, servivano per pagare l’affitto, per il mantenimento dei figli:
N. per fortuna si accontentava di vitto e alloggio e del pagamento delle spese
necessarie a portare avanti la gravidanza. Mi aiutava in cucina: spesso anzi
era lei a pensare a tutto quando la mia gestazione era in stato avanzato; il
pranzo o la cena per noi tre, il latte a colazione per i miei figli. La
convivenza scorreva serena: N. era quasi sempre a casa, come le aveva
consigliato il ginecologo di fiducia. Ciò non le impediva, però, di seguire il
lavoro di G. Non ho mai capito quali fossero le sue competenze: aveva il diploma
di licenza media, nessuna conoscenza dell’informatica, non aveva seguito alcun
corso di dattilografia. Eppure a detta di G. la sua opera era preziosa,
irrinunciabile addirittura. Potevo ascoltarli quando, nella stanza da letto, N.
trascriveva sul personal computer, ciò che mio marito dettava ad alta voce. La
porta accostata e non chiusa mi rassicurava: dentro non poteva succedere nulla
di male. Di notte il bagno era molto trafficato come è normale quando nella
stessa abitazione convivono due donne in gravidanza: forse era l’unico
inconveniente di quello stato di cose.
Primi sospetti
Il bagno restò trafficato anche dopo il parto di N., una cistite
causa dalla gravidanza la costringeva ad alzarsi spesso la notte, fu la
spiegazione, certificata dai farmaci prescritti dal medico di fiducia. G. da
sempre era abituato a lavorare di notte e a dormire di giorno: ciò m’impediva
di dare peso alla sua assenza dal letto matrimoniale, quando mi svegliavo per
dare la poppata a mia figlia. Una notte, però, la porta del bagno prese a
cigolare, a emettere strani suoni: a intervalli regolari, e cadenzati. Mi alzai
senza far rumore: N. seduta sulla tazza del gabinetto, notes in una mano e
penna nell’altra trascriveva ciò che mio marito le dettava a voce bassa. La mia
richiesta di spiegazioni non andò a vuoto: mio marito l’aveva svegliata per
farle trascrivere l’idea che ne aveva d’improvviso illuminato la mente, fu la sua tesi. Avrei
mai creduto alla loro buona fede, mi dissero, se invece di trovarli in bagno,
li avessi scoperti in camera da letto? Si scusarono per l’accaduto, ma
continuarono imperterriti il loro lavoro. Non riuscii a prendere sonno anche
nelle notti successive: la mente di G. era un vulcano, illuminazioni continue,
frasi roboanti che alle tre di notte squarciavano l’aria, un’attività febbrile
sino a mattina, quando il sonno aveva la meglio anche su di loro. Un nuovo sospetto mi si affacciò alla mente: N. era di nuovo incinta?
L’inganno svelato
Aveva ripreso da qualche mese la storia col vecchio fidanzato, mi
disse quando le chiesi delle spiegazioni, perché voleva che sua figlia avesse
un padre, ma non era in stato di gravidanza. Il sospetto non svanì: se N. era quasi sempre a casa, come poteva
aver riallacciato a mia insaputa la vecchia relazione? Nessuna telefonata,
nessun indizio, pur piccolo, portava in quella direzione: decisi di andare a
fondo, tesi le orecchie, cercai di prestare attenzione a quei movimenti che di
solito mi sfuggivano. Finsi di dormire la notte, russai a bella posta: nascosta
dalla porta della stanza da letto semichiusa, N. seguiva ogni mio movimento nel
letto. Rassicurata dal mio dormire, N. s’infilò subito in bagno, raggiunta
dall’amante già in calore: fui costretta a spiarli dal buco della serratura,
come un Alvaro Vitali qualunque, per avere le prove del tradimento. Non fecero
in tempo a rivestirsi: quando entrai in bagno notes e penna erano riposti in
maniera ordinata sulla tazza del w.c., la voce di G. non era ancora pronta a
gridare ai posteri idee illuminanti. N. appoggiata sul lavandino con i
pantaloni del pigiama abbassati, piagnucolava: era tutto un malinteso, il mal
di schiena l’aveva bloccata, disse, quando stava lavandosi i denti! Anche G.
protestò la sua innocenza: era entrato in bagno per fare pipì. Dopo essersi
abbassati i pantaloni, non si era accorto della presenza di G. sul lavandino, a
causa della luce spenta. Furono traditi dal preservativo: non riuscirono a
spiegarne la presenza sul glande ancora in erezione di G.
La conclusione
Li costrinsi a fare i bagagli, a ripetere lo stesso mio percorso:
c’era ancora una stanza libera da mia suocera, un intero piano da utilizzare
per i loro giochi erotici. La strana convivenza ebbe termine: G.e N. hanno
cresciuto tre figlie; l’inganno, però, non ha portato loro fortuna. N. è da
anni su una sedia a rotelle, G. è costretto a farle da infermiere. Far male a chi ti ha aiutato nei momenti di
difficoltà, evidentemente non piace al Dio dei cristiani e nemmeno a quello dei
testimoni di Geova.
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