lunedì 19 novembre 2012

Le rotte ingannevoli del cuore



Un matrimonio in frantumi


Un genio, del male o dell’inganno, ma un genio. Non lo era a prima, vista: l’apparenza a volte inganna, oppure la mente è incapace di analizzare fatti, di collegare indizi, quando è soprafatta dalla emozioni. Cinque anni fa, un giorno d’inverno, una lite coniugale: forse più accesa del solito, dettata dalla gelosia,dal fastidio e dal turbamento che può arrecare un’amicizia nata sul web, la frase un po’ ambigua, un po’ ironica, scritta su una chat. Quarantacinque anni, casalinga più annoiata che disperata, perennemente in lotta con la bilancia, ma non i conti di fine mese. Capelli neri corti e carnagione chiara, un fisico che ancora convinceva molti uomini a girarsi, quando camminavo per strada, a contattarmi quando pubblicavo le mie foto su Facebook. Un figlio e una figlia ormai maggiorenni, che non vedevano di buon occhio l’utilizzo compulsivo del mio personal computer. La lite degenerò, volarono parole grosse, le accuse passarono il segno, andarono oltre il limite di sopportazione della mia pazienza: forse fu tutta l’insoddisfazione di una vita a spalancare quella voragine dell’anima che mi costrinse a mettere l’indispensabile in valigia, a prendere il portatile, a fare il numero di un’amica in grado di ospitarmi in attesa di un’altra sistemazione. Bastarono pochi giorni per tornare a casa: il cuore di madre non può resistere alle insistenze dei figli, alle lacrime dipinte sui loro volti. Ciò non m’impedì di avviare le pratiche di separazione, che l’ostilità di mio marito ha protratto a lungo nel tempo e ha reso dispendiose per le mie finanze. Un lungo periodo di depressione, causate dal pesante clima familiare, dalle incomprensioni con i figli,seguì al mio ritorno a casa. Fu necessario il ricorso a sedute psicologiche, a farmaci antidepressivi, per andare avanti. Cominciai a giocare on line: al poker, al ramino, a tutto ciò che potesse, in qualche misura, allentare la tensione, arginare la voragine che giorno dopo giorno, s’apriva nella mia anima.

I primi passi di un nuovo amore

Fu allora che lo conobbi, in una chat di un sito di poker on line: mi colpirono di lui, la battuta pronta, lo spirito ironico, il temperamento incline all’allegria. Come un naufrago si aggrappa alla scialuppa, così mi appesi alla speranza che la sua presenza riportava nella mia vita. La frequenza delle chat, delle video chiamate cresceva col passare dei giorni: passavo quasi tutta la giornata davanti al portatile, a cazzeggiare, forse per lasciarmi alle spalle le depressione o per inseguire il sogno di cambiare vita. Mi stavo innamorando, il cuore era sempre più preso: non potevo più fare a meno delle sue prese in giro, di quello sguardo che consentiva alla mia voglia di vita di farsi largo, tra gli affanni quotidiani. Un giorno mi parlò a cuore aperto, mi disse tutto della sua vita: sapevo già che aveva moglie e figli, non ero a conoscenza, invece, dei suoi guai con la giustizia, della frequentazione assidua in passato del carcere, degli arresti domiciliari che stava scontando in quel momento. Era nato nel posto sbagliato, mi disse: da qualche mese, il minore dei suoi fratelli si era impiccato nella squallida cella del carcere di Bicocca a Catania, la mia città. Il più grande, invece, era stato da poco arrestato insieme ad altre trenta persone in una retata di polizia, finita con molta enfasi su tutti i giornali del Paese. Mi raccontò della sua triste vita quotidiana: la mancanza di lavoro lo costringeva a fare il criminale, a taglieggiare commercianti, a spacciare cocaina, a costringere donne straniere a vendere il proprio corpo. Il matrimonio era ormai una finzione: i rapporti con la moglie si limitavano al saluto o alle discussioni sui problemi domestici. Mi colpì la sua sincerità, fui felice quando qualche giorno dopo mi parlò della sua intenzione di venirmi a trovare, di passare con me qualche giorno: gli arresti domiciliari erano prossimi alla scadenza. Non battei ciglio quando mi chiese dei soldi: le sue finanze non potevano permettersi il viaggio da Roma, dove abitava, a Catania. Già il giorno dopo gli spedii, i cinquecento euro richiesti. Potei abbracciarlo ai primi di giugno del 2009, come convenuto in una stanza d’albergo: mi sembrò di toccare il cielo con un dito quando dopo aver fatto l’amore, sentii promettermi amore eterno, ascoltai dalla sua voce i progetti di un futuro insieme. 


L’apogeo della passione

L’attesa febbrile di un nuovo incontro, intervallato dal tempo rubato alla quiete coniugale, ai sospetti dei figli; i tanti sotterfugi da inventare ogni giorno per tenersi in contatto, per scambiarsi parole e promesse d’amore. Non feci caso alle nuove richieste di denaro; un anticipo per l’avvocato, per caricare la scheda del cellulare o per comprare le sigarette: i soldi utilizzati per rimetterlo sulla buona strada erano ben spesi, a mio parere. Programmammo un nuovo incontro per il mese successivo: mi spiegò che per ragioni di sicurezza non poteva raggiungermi da solo, aveva bisogno di qualcuno che lo scortasse. Servivano mille euro: questi erano il minimo indispensabile, per viaggio vitto e alloggio per due persone. Non esitai a spedirgli quanto chiesto: all’ultimo minuto, prima di raggiungere la stazione, con una telefonata, m’informò del cambio di programma. Impegni di “lavoro” improrogabili e improvvisi non lo permettevano; il timore di essere intercettato e la volontà di non coinvolgermi in affari illeciti, lo costrinse a restare sul vago. Un’ordinanza del giudice delle indagini preliminari aveva disposto l’obbligo di firma giornaliero al commissariato: per un po’ di tempo era impossibile vedersi. Telefonate, video chiamate, chat, s’intensificarono: l’attesa di un nuovo incontro era febbrile, come il desiderio di stringerlo tra le mie braccia, di riprovare le emozioni della prima volta. Non poteva più stare senza vedermi: almeno a novembre, nel giorno del mio compleanno, voleva incontrarmi, anche a costo di una denuncia per violazione dell’obbligo di firma. Mi chiese di spedirle del denaro: quello dell’ultima volta serviva per convincere qualche poliziotto di buon cuore a firmare al mio posto. Spedii subito quanto chiesto, fui felice di passare tra le sue braccia il compleanno più bello della mia vita. Si fermò solo un giorno, invece dei tre programmati: una telefonata misteriosa lo costrinse a disdire in fretta e in furia la stanza d’albergo e di mettersi subito in viaggio per Roma.


Tempi di crisi

Pianificammo un nuovo incontro: la solita richiesta di finanziamento per due, mille euro che andavano ad assottigliare il conto in banca ormai vicino al rosso fisso. Tre giorni da potersi godere finalmente in pace: senza l’assillo dei domiciliari o dell’obbligo di firma, ora scaduto. Utilizzò la macchina, al posto del treno per risparmiare sui costi del viaggio. La trepidante attesa in un caldo mattino di luglio, però, andò a vuoto: con una telefonata m’informò, che erano stati fermati dalla polizia stradale a un posto di blocco nei pressi di Messina, che l’auto su cui viaggiava era stata sequestrata perché risultata rubata il giorno prima in un paese nei dintorni di Roma. Mi stava chiamando dal cellulare: probabilmente avrebbe passato la giornata dietro le sbarre, in attesa dell’arrivo del suo avvocato, non sapeva quando avrebbe potuto contattarmi di nuovo. Lo sentii solo dopo una settimana: piangendo, in una video chiamata mi giurò che da quel momento avrebbe rigato diritto, che aveva accettato un lavoro come manovale in Emilia, offertogli da un’impresa di costruzioni della sua zona. Le telefonate si diradarono, come le video chiamate e le chat: la sera era troppo stanco per stare davanti al portatile. Qualcosa cominciò a insospettirmi nel suo comportamento, come certe nuove amicizie femminili su Facebook, o nelle chat dei siti on line di poker. Indagai, m’inventai hacker per sbrogliare la matassa: ebbi a stretto giro di posta le prove del suo tradimento, di una sua relazione con una donna emiliana di cinquanta anni. Troncai subito la relazione, rifiutai ogni contatto per un mese: stroncata dal dolore, però, lo cercai, gli tesi la mano, perdonai il suo tradimento, misi una pietra sopra alla sua debolezza di un momento.


L’addio

Il dubbio instillato del tradimento, però, tornò a farsi largo nel mio cuore: rosa dalla gelosia, cominciai a sospettare di tutto e di tutti, presi a tormentarlo, a infastidire tutte le sue amiche virtuali. Decisi di voler indagare sulla sua vita, per scoprire se aveva altre amanti: mi rivolsi a un’agenzia investigativa per averne la conferma. Andò a vuoto anche il successivo incontro: dopo il solito bonifico, accampò un’altra scusa per disdire l’albergo già prenotato. I soldi che gli avevo mandato non gli bastavano: aveva già un appuntamento per riscuotere dei crediti arretrati. Non ci fu verso, però di disse, di avere indietro il denaro prestato a un amico, non bastò minacciare tutta la famiglia con la pistola che si portava sempre appresso, picchiare il malcapitato sino a quando i vicini, impauriti dalle sue grida, non chiamarono il 113. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: avevo speso quindicimila euro per due incontri, un paio di giorni trascorsi insieme, settemilacinquecento euro a scopata, forse non poteva permetterselo nemmeno un ricco uomo politico. Cominciai a negarmi alle sue chiamate, a rifiutare gli inviti ad aprire la chat, a spedirgli altri soldi. Le mie finanze erano ormai allo stremo: nel mio conto non c’erano soldi a sufficienza per pagare l’onorario dell’avvocato che seguiva la pratica di separazione. Era ormai tempo di mettere la parola fine a una sciagurata storia.


La sorpresa

Protestò, inveì, minacciò: mi avrebbe aspettato sotto casa, per riempirmi di botte, non avrebbe esitato a fare fuoco, se non fossi tornata con lui. Nonostante le mie paure, tenni il punto, non accettai compromessi: nemmeno quando mi fece sapere di essere a pochi chilometri dalla mia abitazione, pronto a tutto pur di avermi. Lo attesi con un misto di ansia e terrore: non si fece vivo quel giorno, quello successivo, quello ancora dopo, nemmeno per telefono o per mail. Le mie indagini avevano accertato la verità: non si era mai mosso da Roma, mi aveva costretto ad assistere all’ennesima sceneggiata. Fui convocata qualche giorno dopo dall’agenzia investigativa: le indagini avevano dato gli esiti sperati. Aveva allacciato negli ultimi mesi altre due relazioni: con cinquantenni sposate, da cui si faceva mantenere. Era questa la sua professione, realizzata con la complicità della moglie. Non aveva mai avuto problemi con la giustizia: nessuna denuncia, niente arresti domiciliari, firme in commissariato, permanenze a Regina Coeli. Aveva inventato un modo geniale per spillare quattrini alle sue amanti: come potevano pretendere da chi era confinato dalla giustizia tra le mura domestiche, una relazione più intensa e incontri ravvicinati nel tempo? Di fantasia ne aveva parecchia: si era costruito un personaggio perfetto per spaventare chi non poteva permettersi uno scandalo e aveva soldi per mantenerlo.
La pistola in tasca, le cattive frequentazioni, le amicizie vantate con personaggi della malavita locale, i guai con la giustizia servivano al depistaggio: nessuno quando mente si dipinge più brutto di ciò che è, semmai cerca di migliorarsi. Crollarono certezze e illusioni: tornai con la mente ai primi momenti del nostro incontro; ora avevo la certezza che era tutta una finzione, che non l’amore, ma il denaro e l’inganno erano le basi della nostra storia. Aspettai la sua chiamata per sparargli in faccia le mie scoperte: non doveva più farsi vedere e sentire, non c’era più posto per lui nella mia vita.
La ferita è ancora sanguinante: prima o poi, è la mia speranza, qualcuna gli darà ciò che gli spetta: un colpo al cuore sparato con la pistola che porta in giro con tracotanza.

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