sabato 17 novembre 2012

Incroci del destino





La scoperta


Amore mio

E' l'ultima mail che ti scrivo: ho giurato a me stessa che non ne seguiranno altre; forse presto i miei occhi non vedranno più  l'alba, non conosceranno il tepore di nuovi tramonti, i caldi abbracci di una notte tra amanti felici. Ciò che abbiamo vissuto ci ha riempito la vita, ora è tempo di mollare gli ormeggi, di provare a risalire dal fondale in cui mi trovo, ma senza il tuo aiuto. Ho le lacrime agli occhi, la mente confusa dai ricordi, ma la decisione è presa: ti chiedo solo di rispettarla, di cancellare il mio nome dalla lista degli impegni quotidiani, di lasciare solo alla memoria, il compito di riportare in vita, i tanti momenti di gioia di un amore autentico.

Lidia.  

Le soffitte sono spesso una miniera di sorprese: cercando vecchie foto della mia infanzia, mi sono imbattuto in un vecchio personal computer di mio padre, la curiosità mi ha spinto ad accenderlo; con un po' di lavoro e di fortuna sono riuscito a rimetterlo in funzione. Nella casella postale era conservata solo una mail, le altre, evidentemente, erano state puntigliosamente cancellate. M'interrogai sul significato di quelle parole, sul perché tra tutti, quello era l'unico scritto conservato. Nella mail c'era un'alternanza di disperazione e orgoglio, di rassegnazione e speranza che turbava ed inquietava chi come me, doveva leggerlo senza avere alcuna cognizione del suo vero significato. La data, il 1997, non passava inosservata: a quel tempo mio padre era già sposato, anche felicemente, a giudicare dai miei ricordi giovanili. La lettera non lasciava pensare ad un amore non corrisposto, ma a un'appassionata e impetuosa relazione clandestina. Non erano chiare le ragioni dell'addio: forse anche Lidia non poteva vivere alla luce del sole quella storia, oppure era solo mio padre, a doverla nascondere? Per curiosità o per desiderio di verità, decisi di approfondire, di capire ciò che ha prima unito e poi diviso Lidia e mio padre.

I miei ricordi


Ho sempre ricordato un'infanzia serena, una famiglia unita e felice: ero il figlio unico cui i genitori non hanno mai fatto mancare attenzioni, slanci d'affetto, doni e regali. La professione costringeva papà a essere spesso fuori casa, come si addiceva al manager di un’importante azienda informatica: mai, anche dall'altro capo del globo, però, dimenticava di mandarci un saluto, di chiedere a me e a mamma di raccontargli la nostra giornata. Mamma, invece, mi era sempre vicino: mi accompagnava a scuola, in piscina, a giocare con gli amici, mi leggeva le fiabe prima di rimboccarmi le coperte, di darmi il bacio della buona notte, sempre col sorriso sulle labbra e gli occhi colmi di amore materno. Conducevamo una vita agiata: oltre all'abitazione nel centro storico di Catania, possedevamo una casa al mare a Taormina, un'altra a Zafferana, un paese alle pendici dell'Etna; nel garage, non mancavano auto e moto di grossa cilindrata, alle pareti erano appesi quadri di gran valore, che alla morte di mio padre, ho ereditato. L'incidente aereo in cui ho perso papà, ha cambiato il volto della mia vita, quando, però, avevo già terminato l'università e avevo conosciuto Erica, la compagna con cui ho condiviso molte giornate della mia vita. Mamma abita ancora in centro a Catania, dove conduce una vita ritirata ma serena: nonostante le mie insistenze, ha declinato ogni invito ad abitare con me ed Erica, in nome della voglia d'indipendenza e di libertà. Vado a trovarla quasi tutti i giorni: la mia professione, a differenza di quella di papà, non m'impedisce di seguire gli affetti, d'avere tempo per gli svaghi, gli amici, tutto ciò che può rendere più ricca, la mia giornata. Scrivo romanzi: il mio genere preferito è il thriller, ma ho scritto a inizio carriera anche racconti d'amore. Ho molto tempo libero, che di solito dedico allo sport e agli eventi culturali e mondani della mia città.


Erica


Decisi di mostrare a Erica la mail trovata nel vecchio personal computer di papà: le spiegai i miei turbamenti, i dubbi e le inquietudini, che agitavano il mio animo da qualche giorno. Erica ha qualche anno meno di me: non dimostra, però, i trentacinque anni  che la carta d'identità certifica senza alcun dubbio. Esercita la professione di avvocato penalista: ha uno studio già ben avviato, un prestigio crescente negli ambienti forensi, la mentalità giusta per raggiungere luminosi traguardi sul lavoro. Capelli corti e rossi, colorito chiaro, occhi azzurri e profondi, un fisico che non passa inosservato ovunque si trovi. Abbiamo incrociato forse tardi le nostre rotte: già dopo i primi giorni di conoscenza siamo stati inseparabili, come colpiti e affondati da una passione che non ci ha più abbandonati. Non ci siamo ancora sposati: perché non crediamo nel matrimonio o solo perché vogliamo sentirci liberi, giorno dopo giorno, di confermarci l'amore reciproco, senza reti di protezione a sostenerci. Non abbiamo figli: questa è stata sinora la nostra scelta, ma stiamo già discutendo se è giusto cambiarla, se essere genitori può arricchire il nostro amore, oppure può segnare l'inizio della fine. Non siamo sempre d'accordo su tutto: di solito, anzi, abbiamo idee molto diverse, spesso opposte, sugli argomenti trattati. Come per miracolo, però, dopo discussioni e contrasti, troviamo il modo di comporre le nostre differenze, di raggiungere un accordo che non sia di pura facciata. Erica mi consiglia di dimenticare il contenuto della mail ritrovata: se ci sono situazioni in cui è preferibile non andare alla ricerca della verità a ogni costo, è proprio questa. Forse l'amore che ha legato Lidia a tuo padre, mi dice, è stato solo platonico: che bisogno hai di scoprire verità che il tempo ha sepolto, che lo schianto al suolo di un aereo, ha cancellato per sempre?

Le indagini


Lidia è ancora viva, ha più visto mio padre nei pochi anni trascorsi tra l'ultima lettera scritta e la morte di papà? Forse non ha nemmeno saputo del disastro aereo, non ha potuto visitare la sua tomba, piangere sulla sua lapide, porgergli l'ultimo saluto. Oppure, venuta a conoscenza per chissà quali vie dell'accaduto, ha partecipato ai funerali nascosta da spessi occhiali scuri e dall'anonimato del suo volto. Mi chiesi cosa potevo fare per rintracciarla: l'unico indizio in mio possesso era il suo indirizzò di posta elettronica, lidiadst@tin.it. Verificai i programmi di posta elettronica sul pc di papà: c'era una versione di Outlook; probabilmente scaricava con quel programma le mail ricevute. Può darsi che sul disco fisso, vi fossero tracce di quelle cancellate. Chiesi a un amico esperto d'informatica di aiutarmi a recuperarle: mi confermò che se erano state scaricate con Outlook, c’erano concrete possibilità di riuscirci. L'operazione recupero risultò meno difficile del previsto: il lavoro più fastidioso fu individuare tra le centinaia di mail ritrovate, quelle spedite da Lidia. Una decina in tutto che abbracciavano un arco temporale di due anni: solo le ultime due, però, avevano quell'indirizzo di posta elettronica, le altre erano state spedite col mittente liddst. Lessi la prima del gennaio 1995.
  
Amore mio  

La mia stanza è ancora impregnata del tuo profumo, forse stai ancora scendendo le scale, mentre mi accingo a scriverti. Non voglio sbirciare dalla finestra la tua partenza, i modi sfuggenti con cui cerchi di deviare l'attenzione di infreddoliti passanti dalla tua presenza. Temi che qualcuno ti riconosca, che l'auto di grossa cilindrata attiri sguardi indiscreti: mi fa male pensare che tra pochi minuti tornerai ad abbracciare tua moglie, che fingerai una volta di più di avere trascorso la serata in ufficio, a dettare fredde lettere alla tua fidata segretaria. Voglio che tutto qui resti identico sino al tuo ritorno: non sposterò alcun oggetto che le tue mani hanno toccato, lascerò il letto sfatto, dormirò sul divano del soggiorno, se necessario. Spero di ritrovarti prima possibile: so che sei in partenza per New York, che impegni professionali e familiari, possono tenerti lontano da me per un tempo che può sembrarmi infinito. Ti aspetterò con pazienza, ti rincorrerò sino in capo al mondo per sentire almeno un attimo la tua voce sussurrarmi parole d'amore, immaginerò ogni istante della tua giornata per condividerla, per averti vicino anche quando sei assente.

Lidia.  

Mail toccante ed emozionante, non priva d'indizi utili alla mia ricerca. Un primo dubbio è stato chiarito: Lidia viveva da sola, se poteva permettersi di lasciare il letto disfatto per molti giorni; con un marito, un convivente, un fidanzato, non sarebbe stato possibile. Si era fatta notte, ormai, Decisi, vista l’ora di continuare l’indomani la lettura delle altre, per concludere la serata tra le braccia di Erica.

Altri indizi da valutare


Le due successive in ordine cronologico non erano molto diverse per toni e contenuti: un'accurata descrizione di stati d'animo, di tormenti e di slanci del cuore, dichiarazioni d'amore sempre più esplicite, lirici abbandoni alla passione. Più interessante, almeno per le mie ricerche, la successiva, datata febbraio 1996.

Amore mio

La tristezza è compagna delle mie serate: al rientro dal lavoro posso licenziare i finti sorrisi, gli ipocriti commenti quotidiani sulla politica, la moda, il look e il gossip sulle colleghe, per concentrare su te i miei pensieri, per avvolgermi della tua assenza sino a sentire l'anima soffocare, le lacrime sgorgare copiose dagli occhi. Vorrei festeggiare con te San Valentino, ma il tuo tavolo è già occupato, forse mi accontenterò di guardarti negli occhi da quello più vicino che ho già prenotato nel tuo ristorante preferito o più probabilmente mi limiterò a immaginarti, mentre scambi languidi sguardi coniugali con chi ha condiviso con te gioie e delusioni, sino a questo momento. Il mio corpo gelato anela baci e carezze, la mia bocca vuole abbeverarsi direttamente alla fonte del piacere e condividerlo sino all'ultimo sorso, sino a quando avremo baci da scambiarci, occhiate da far morire all'alba, quando, raccogliendo i vestiti, chiuderai l'uscio alle mie speranze di felicità.

Lidia

Riflettei sugli indizi rivelati dalla mail di Lidia: aveva un lavoro, colleghi e colleghe in chissà quale ufficio di Catania e dintorni, ha prenotato un tavolo per il San Valentino del 1996 nel ristorante preferito di papà; mamma, di sicuro, può dirmi qual'è e se quella sera accadde qualcosa di strano o d’imprevisto. Prima di leggere le altre, forse conveniva accertare i fatti, approfondire ciò che le parole di Lidia suggerivano. Chiesi ancora un parere ad Erica su quella mail e sull'intenzione di domandare a mia madre di tornare con la memoria a quel giorno di molti anni fa. Mi confermò di non capire questa mia ossessione, mi disse che forse avrei fatto meglio a pensare di più al nostro futuro, che non era una buona idea coinvolgere mia madre in questa ricerca, m’implorò di lasciarle almeno l'illusione di non aver dovuto dividere il suo uomo con un altra donna. Le spiegai che non avevo intenzione di rivelare alcunché a mia madre, che avrei trovato un modo discreto per farmi raccontare gli eventi di quel San Valentino.


Una proposta di matrimonio


La proposta di Erica mi giunse inaspettata: avevamo parlato più volte di matrimonio, ma per escluderlo, per allontanarlo dall'orizzonte della nostra storia. Ci aveva pensato molto di recente, mi confermò: come conviventi, in assenza di nuove normative, non potevamo godere di alcuna protezione sociale in caso di decesso o di malattie invalidanti, non potevamo restare nemmeno al capezzale dell'altro, in ospedale, in caso di malattia, se qualcuno vi si opponeva. Le bastava, mi rivelò, una cerimonia semplice in Municipio, alla sola presenza dei testimoni , di genitori e fratelli. Senza banchetti, bomboniere, regali, partecipazioni, liste di nozze, viaggi dall'altra parte del globo. Non aveva cambiato idea sul matrimonio, lo riteneva, a questo punto un passo inevitabile, per garantire a entrambi un avvenire più sereno. Le chiesi un po' di tempo per rifletterci su, specificando, però, che la proposta, almeno nei termini in cui era formulata, non era irricevibile. Mi disse che cominciava a sentire il bisogno di maternità; ora che le lancette del suo orologio biologico erano già nel terzo quadrante, non c'era più tempo da perdere, se volevano avere un figlio. Troppe novità in un giorno solo: dovevo uscire, schiarirmi le idee, pensare a un futuro diverso da quello immaginato appena ieri. Chiesi ad Erica di rimandare ad un altro momento la discussione, inventai un impegno improrogabile per sottrarmi a quella tempesta di confusione che parole e proposte avevano generato nel mio animo. Decisi di andare a trovare mia madre, per chiarire gli eventi datati quattordici febbraio 1996.


Mia madre


Un appartamento signorile nel centro di Catania: arredato con preziosi mobili di antiquariato, riproduzioni di quadri dell'Ottocento alle pareti, vasi e ceramiche di valore e buongusto posti su ogni centimetro di superficie utile. Mamma era una donna ancora attiva, partecipe della vita culturale della città, ma non ostile ai cambiamenti, all'avanzata della tecnologia. Possedeva un portatile, utilizzava senza difficoltà il tablet che le avevo donato per l'ultimo compleanno, aveva un profilo su Facebook e Twitter, cui dedicava molta cura. Non dimostrava i 63 anni certificati dalla sua carta d'identità, nello spirito prima ancora che nel corpo. Dopo i convenevoli di rito, le chiesi di raccontarmi curiosità e aneddoti sulle giornate di San Valentino trascorse con papà: dove amavano trascorrerlo, come lo organizzavano, sui regali che si scambiavano. Scatenai una valanga di ricordi: i tempi del fidanzamento, quelli dei miei primi di anni di vita. La seguivo con attenzione, in attesa che la sua memoria tornasse ai fatti del 1996. Quando avevo quasi perso le speranze, arrivò la rivelazione: quella era stata l'unica volta in cui qualcosa era andato storto! Mi raccontò del ristorante prenotato, delle canzoni diffuse dagli altoparlanti del locale, del clima raccolto e intimo che vi si respirava. Poi si era avvicinata una donna: abito scuro e lungo, capelli neri e corti, occhi dello stesso colore, per chiedere con voce esitante l'accensione di una sigaretta. Papà le rispose in modo brusco e con modi poco civili le ordinò di tornare al suo tavolo, di non disturbarci più per il resto della serata. Accorsero i camerieri per sedare la discussione che quei toni avevano innescato: tornata la calma, pagò il conto e mi chiese di proseguire la serata in un altro locale, dove nessuno ci avrebbe disturbati. Ascoltai anche gli ultimi racconti per non dare l'impressione a mia madre di essere interessato solo a quell'avvenimento. Le chiesi, quando ebbe finito di parlare qualche informazione in più: se avesse mai rivisto quella donna, quale a suo parere era la vera ragione di una reazione tanto sproporzionata. Mi rivelò che non aveva la più pallida idea di chi fosse, che non l'aveva più rivista, che non capiva perché avesse prenotato un tavolo singolo, proprio il giorno di San Valentino e che non riusciva a spiegarsi la reazione di mio padre. Forse si trattava solo di stress da lavoro o semplicemente non voleva che quella serata fosse rovinata da una sconosciuta.

Litigi e contrasti


Le indagini non approdarono a nulla: nel ristorante indicatomi da mia madre non avevano in archivio le prenotazioni di quella serata di San Valentino. Ripresi la lettura della posta elettronica di mio padre, alla ricerca di nuovi indizi da seguire, di squarci di sole capaci di condurmi sino alla verità. La successiva mail di Lidia era del 15 febbraio 1996.

Amore mio

Non mi capacito del tuo comportamento di ieri: non credo di meritare tanta cattiveria, nemmeno il desiderio di allontanare i sospetti di tua moglie, può giustificare la scenata tanto incivile, quanto insensata che mi hai costretto a subire. Non mi hai ancora richiamata: magari per chiedere scusa o per spiegarmi le ragioni del tuo gesto. Il tuo silenzio mi ferisce: nella mia immaginazione, ti vedo aprire la porta, abbracciarmi con foga, tapparmi la bocca con un bacio, strapparmi i vestiti di dosso, per chiedere a un amplesso bollente di restituire un po' di pace, al nostro amore. Mi pento del gesto di sfida, dell'invasione nel tuo menage di coppia che, la mia presenza al tavolo accanto a quello in cui sedeva tua moglie, ha rappresentato. Perdonami l'impeto di donna innamorata: io sono pronta a scusare le tue occhiate di fuoco, le parole che ancora mi tormentano, se lo chiedi con un sussurro di voce.

Lidia

Il resoconto dettagliato della pace avvenuta era nella lettera successiva: descrizioni e argomenti trattati erano decisamente hard, vietati ai minori di anni diciotto. D'indizi capaci di far avanzare le indagini, invece, non c'era alcuna traccia, purtroppo, anche nelle mail successive: forse era meglio lasciar perdere, per concentrare l'attenzione sulle proposte di Erica.


Riflessioni sulla proposta di Erica


L'intesa con Erica vacillava; le tensioni innescate dalla proposta di matrimonio rendevano il clima in casa quasi irrespirabile. M'innervosiva tutto di lei: i passi veloci nel corridoio, la voce squillante, l'agitazione che trasmetteva quel suo non stare mai ferma, la capacità di non abbassare lo sguardo, di resistere a ogni tipo di pressione esterna. Non riuscivo a riordinare le idee, a capire, quale poteva essere il futuro di quella relazione, se ciò che chiamavo amore, non era, invece, solo l'abitudine ad averla vicino al risveglio o quando il desiderio mi spingeva a congiungere il mio respiro al suo, per renderlo la sola nota dello spartito del piacere. C'era del buonsenso nella proposta di Erica, ma forse avrei avuto meno dubbi, se le motivazioni addotte fossero di tutto un altro tipo, se avesse fatto leva sulla mozione degli affetti, se avesse parlato più al cuore che alla ragione o al portafoglio. Il suo desiderio di maternità, poi mi aveva lasciato senza fiato: quando vi aveva fatto cenno era solo per dichiararne l'assenza dai suoi orizzonti di vita, dai sogni e dalle speranze della sua anima. Cosa poteva aver capovolto le sue convinzioni? Bastavano l'età, l'avanzare delle lancette dell'orologio biologico, a spiegare questo improvviso cambiamento di prospettive? Non credo: solo qualcosa di più profondo e che ancora mi sfugge, può aver innescato il ripensamento ed è urgente, scoprirne l'origine e l'evoluzione.


A colloquio con mia madre


La consueta visita giornaliera a mia madre fu l'occasione per parlargli della proposta di matrimonio di Erica, del suo desiderio di maternità, dell'imbarazzo e della confusione che ciò mi creava. Forse scelsi la persona meno indicata per chiarirmi le idee; a motivare i suoi consigli, probabilmente, era il desiderio di diventare nonna, di avere qualche nuovo affetto cui dedicare l'ultimo quadrante della sua vita. Usò le stesse frasi di buonsenso di Erica, mi pregò di non pensare al matrimonio come a una gabbia, alla paternità solo come un dovere, di spazzare via dalla mente tutti i pregiudizi che sinora mi avevano impedito di mettere su famiglia. "Sono stata felice con tuo padre, disse per l'ennesima volta, mai mi sono pentita di aver condiviso con lui gioie e delusioni, di aver dovuto dedicare tutte le mie forze, alla tua crescita, prima e dopo la sua scomparsa". Non notò il lampo di tristezza che attraversò i miei occhi: forse, pensai, la felicità che hai difeso con i denti, non era la stessa sognata e inseguita da mio padre, quando trascorreva la notte tra le braccia di Lidia e di chissà quante altre prima. La distanza che separa l'amore eterno dalle noie quotidiane, dai doveri che il matrimonio comporta, è troppo elevata per resistere all'usura del tempo: non mi sento ancora pronto ad accettare una sfida da cui non ho alcuna speranza di uscire con la vittoria in pugno.


La china discendente di un amore


L'amore tra Lidia e mio padre aveva imboccato la china discendente: discussioni e litigi ormai intervallavano sempre più spesso gli abbandoni alla passione fisica e gli afflati romantici. La mail successiva testimoniava con chiarezza questo mutato clima.

Amore mio

Non capisco le ragioni delle tue accuse: non ti ho mai chiesto nulla; vivo del mio lavoro e voglio continuare a farlo, non aspiro alle tue ricchezze, non desidero altro che essere la tua donna alla luce del sole. Sono felice dei tuoi regali: non ho bisogno di ricevere in dono costosi gioielli, per esserti riconoscente; non è ai tuoi soldi che miro. Hai forse un'altra donna o c'è un amico cui ha confidato di noi che ti mette in guardia, che t'invita a piantarmi? Non ti riconosco più: i tuoi toni sono bruschi, quasi infastiditi; quando vieni a trovarmi non vedi l'ora di andar via, guardi l'orologio, fumi nervosamente una sigaretta dietro l'altra, fai l'amore in maniera svogliata, non mi guardi mai diritta negli occhi. Ti chiedo chiarimenti e ti alteri, provo ad abbracciarti e mi sfuggi; cerchi scuse, accampi alibi. La giornata di lavoro difficile, lo stress accumulato con i continui viaggi: ma quando entrando dalla porta mi abbracciavi con trasporto, mi baciavi con passione, mi prendevi sul letto con tutta la foga di cui eri capace, non facevi lo stesso lavoro, non viaggiavi con la stessa frequenza? Qualcosa è cambiato dentro di te: forse è arrivato il momento di discuterne senza finzioni.

Lidia

Un amico cui mio padre aveva confidato la sua storia con Lidia? Perché non vi ho pensato prima? Chi può essere? Interrogando i suoi amici, potrei capire chi frequentava più spesso in quel periodo, per individuare chi può aver ricevuto le sue confidenze. Nuovi indizi forse potrebbero condurmi a identificare chi è Lidia e dove ora si trova.


Un matrimonio in vista


La discussione con Erica procedeva: ormai ero entrato nell'ordine d'idee di sposarla; era necessario, però, definire i dettagli del matrimonio. La data, il tipo di cerimonia, gli invitati, il banchetto, il viaggio di nozze. C'era già l'accordo sulle cose importanti: non eravamo contrari alla comunione dei beni, non avevamo intenzione di andare ad abitare altrove, non scartavamo a priori l'idea di avere un figlio, ma ne avremmo discusso più a fondo solo dopo il matrimonio. La nostra era un'unione di lunga durata: non dovevamo comprare o affittare casa, ristrutturarla, arredarla di tutto punto; potevamo scegliere per il matrimonio la prima data compatibile con gli obblighi burocratici e gli impegni già assunti. Stabilimmo in linea di massima di sposarci entro il mese successivo, d'invitare solo i genitori e i testimoni. Niente partecipazioni, bomboniere, regali e viaggi di nozze: avremmo però invitato gli amici più cari a casa per  festeggiare l'avvenuto sposalizio, nel weekend successivo a quello della cerimonia. Stabilimmo d'informare genitori, amici e testimoni, solo dieci giorni prima della data delle nozze o più tardi possibile, per evitare di dover subire le inevitabili pressioni e lamentele che quella decisione così radicale poteva suscitare.


Gli amici di papà


Presi a contattare gli amici di mio padre: per telefono o di persona, per identificare chi poteva averne ricevuto le confidenze negli anni che hanno preceduto la sua scomparsa. Le indicazioni erano state unanimi: tra il 95 e il 98, era spesso in compagnia di Giorgio S., un collega di lavoro che frequentava anche fuori dell'ambiente professionale. Provai a chiedere a mia madre se avesse conosciuto e frequentato questo collega di papà: mi confermò di essere a conoscenza di questa intensa frequentazione, ma di averlo visto in maniera alquanto sporadica, in occasioni ufficiali, come le feste aziendali o le cene tra colleghi con le rispettive consorti. Non era mai stato invitato a casa e non aveva la più pallida idea di che fine avesse fatto. Consultai l'ufficio personale dell'azienda per cui aveva lavorato mio padre: m'informarono che Giorgio S. non faceva più parte del personale in servizio; era andato in pensione l'anno precedente. Su mia richiesta mi fornirono i suoi contatti: indirizzo, numero di telefono, i dati della posta elettronica. Andai a trovarlo lo stesso giorno: mi ricevette con molta cordialità, felice di poter conoscere il figlio dell'amico di un tempo. Ripercorse i momenti della frequentazione con mio padre, mi spiegò per quale ragioni, a suo dire, la loro amicizia era diventata così intensa; mi parlò del dolore provato per la sua scomparsa, di come, da allora, non era più riuscito a trovare qualcuno di cui potersi fidare ciecamente. Il suo volto si dipinse d'imbarazzo, quando dopo avergli mostrato le mail di Lidia, gli chiesi se era a conoscenza di quella relazione: mi confermò di averne parlato spesso con mio padre, di avere fatto tutto ciò che era possibile per convincerlo a troncarla, di essere stato felice, quando finalmente mio padre aveva accettato di seguire il suo consiglio. Di Lidia aveva una conoscenza indiretta: non l'aveva mai vista, non ne conosceva l'identità che mio padre da vero gentiluomo non aveva mai svelato per intero. Mi rivelò, però, dove abitava, perché vi aveva accompagnato a volte mio padre, quando era senza auto. Annotai l'indirizzo: finalmente una traccia concreta! Pur non conoscendo il cognome di Lidia, non sarebbe stato difficile accertarlo se era la proprietaria dell'appartamento in cui abitava attraverso i registri del catasto. Ringraziai Giorgio dell'aiuto, prima di congedarmi, promettendogli che lo avrei tenuto informato sullo stato delle mie ricerche.


Alla ricerca di Lidia


Mi recai subito all'indirizzo segnalatomi da Giorgio: il palazzo a tre piani, pur ubicato in un quartiere periferico della città, non mostrava segni d'incuria. Tra i nomi elencati nel citofono non c'era nessuna Lidia; forse, pensai, non abita più qui, oppure si è sposata. Suonai un campanello a caso: a chi mi rispose chiesi informazioni su Lidia, ma senza risultati; abitava solo da qualche anno in quella casa, mi disse senza alcun tentennamento. Ripetei l'operazione con i restanti inquilini del palazzo, senza alcuna fortuna: Lidia sembrava essersi volatilizzata, nessuno la ricordava. Il giorno dopo mi presentai all'ufficio del Catasto: per verificare se qualcuno di nome Lidia fosse stata la proprietaria di un’abitazione situata in quel palazzo di Corso Indipendenza. Un altro fiasco: anche questa volta gli indizi in mio possesso non approdarono a nulla, non mi consentirono d'identificare l'oggetto delle mie indagini. Contattai di nuovo Giorgio, informandolo dello stato delle ricerche e chiedendogli se magari fosse a conoscenza di altri dettagli: ad esempio a quale piano abitava e lo invitai a fare uno sforzo di memoria. Mi spiegò che al momento non ricordava se mio padre gli avesse fornito altri particolari, ma avrebbe fatto il possibile per ricordare ogni dettaglio. Lidia, ricordò di colpo, aveva una figlia che all'epoca non abitava con lei, perché ospite di un istituto religioso, di cui non ricordava il nome, dove frequentava le scuole superiori: tornava a casa solo per le vacanze. Mio padre più volte gli aveva parlato di questa figlia che però, non aveva ancora avuto modo d'incontrare: Lidia non voleva metterla a conoscenza della loro relazione.


I preparativi del matrimonio


I preparativi per il matrimonio procedevano: sbrigati gli adempimenti di legge, si era stabilito di celebrare le nozze il primo sabato di giugno. Mancavano ormai solo dieci giorni all'evento: scelsi e informai i miei testimoni, che approvarono con gioia la mia decisione, rivelai a mia madre la data esatta stabilita per la cerimonia nuziale. Altrettanto fece Erica: chiese a una coppia amica di farle da testimone, andò a trovare la madre per informarla dell'imminente avvenimento. Pur in formato minimalista il matrimonio comportava sempre un certo impegno: bisognava scegliere cosa indossare, il fotografo per immortalare l'evento; pettinatura, trucco della sposa, d'altra parte, non potevano essere lasciati al caso, il giorno delle nozze.  Quali che fossero le nostre idee e le rispettive attese, il giorno della cerimonia nuziale, restava una data da segnare in rosso, nel calendario dell'esistenza. Un giro vorticoso di telefonate servì a informare gli amici della nostra decisione e ad invitarli a casa, per domenica dieci giugno. Tutto nella storia d'amore con Erica sembrava indirizzato verso il felice happy end.


Verso la rottura con Lidia


Mi restava da leggere la penultima mail di Lidia, l'ultima, in cui chiedeva a mio padre di non farsi più sentire, era la prima trovata nel suo personal computer. I contrasti si erano approfonditi, finendo per diventare quasi insanabili; in quelle poche righe non sembrava quasi esserci più traccia della passione che sino ad allora li aveva uniti.

Amore mio

Non sono se posso ancora chiamarti così: da quella triste serata di San Valentino, sembriamo trascinati a fondo da una forza tanto sconosciuta quanto distruttrice. Non ti riconosco e non mi capisco: forse è il tuo nervosismo a farmi strepitare, a costringermi a criticare ogni tuo atteggiamento. Solo l'intesa sessuale, il desiderio che ancora ci coglie, quando smettiamo di litigare, ci ha salvato dalla rottura. Mi rendo conto, però, che non mi basta più: ti voglio solo per me, non riesco più a dividerti con un'altra, impazzisco solo al pensiero che tu possa tra le sue braccia, sussurrarle le stesse parole che mi bisbigli, durante l'amplesso. Non c'è verso di convincerti a lasciare tua moglie: forse è ora che me ne faccia una ragione, che capisca che non sei tu l'uomo che può farmi felice, che può accompagnarmi nei prossimi anni della mia vita. Ancora esito: distaccarmi da te è troppo doloroso; dei tuoi baci, dei tuoi sorrisi, di braccia capaci di stringermi ancora con forza, non posso e non so ancora fare a meno.

Lidia

Cosa è successo, cosa ha convinto Lidia a modificare il suo pensiero, è un mistero che non sarà forse mai chiarito o che, nell'imminenza del matrimonio, non era al centro dei miei ragionamenti.

Il giorno del matrimonio


Giunse il giorno del matrimonio: avevamo deciso con Erica di raggiungere insieme il municipio, una mezz'ora prima dell'inizio della cerimonia prevista per le undici. Saremmo stati raggiunti in loco dal fotografo, dalle due coppie di amici che avevano accettato di farci da testimoni, da mia madre e da quella di Erica. Erica si alzò all'alba per prepararsi all'evento: dopo una colazione veloce, il caffé mattutino, ebbe appena il tempo di fare la doccia prima di essere raggiunta dal parrucchiere per l'acconciatura e dalla truccatrice per il makeup. Non mi volle tra i piedi sino a lavori ultimati: nel frattempo poltrendo a letto, potevo godermi a pieno i raggi luminosi del sole di giugno. Cominciai a prepararmi alla nove in punto, dopo aver fatto colazione con cappuccino cornetto e caffé. Doccia, barba, il rito della vestizione, la cravatta da sistemare è l'operazione più difficile; in genere preferisco vestire casual, camicia, giacca e cravatta, mi fanno venire l'orticaria. Raggiunsi Erica per gli ultimi aggiustamenti: alle dieci eravamo pronti per uscire. Un taxi ci aspettava già da qualche minuto: considerato il numero dei partecipanti alla cerimonia era la soluzione giusta per raggiungere il municipio. Un arrivo in Limousine con tanto di autista, sarebbe stata una nota stonata, avevamo convenuto con Erica nella pianificazione della giornata. Dal taxi stesso provvedemmo a chiamare i testimoni per verificarne la puntualità dell'arrivo e i rispettivi genitori. Rincuorati dalle risposte, attendemmo con calma la fine della corsa del taxi.

La cerimonia


Entrammo cinque minuti prima delle undici nella sala delle cerimonie del municipio: il delegato del sindaco, con la fascia tricolore addosso, ci venne incontro e con fare gentile ci chiese se era tutto pronto per dare inizio al giuramento nuziale. Lo pregammo di aspettare qualche minuto, non avevamo notizie della madre della sposa, che stavamo cercando di contattare, per capire cosa stesse succedendo. Annuì e si allontanò proprio mentre dall'altro capo del telefono Lucia, la madre di Erica, c'informava che a causa di un incidente avvenuto a circa un chilometro del municipio, temeva di non poter presenziare alle nozze. Ci pregare di non aspettarla oltre, di dare ugualmente inizio alla cerimonia. Erica, rabbuiata in volto, dopo averla rimproverata per il vizio di arrivare sempre all'ultimo minuto, convenne che in questo caso, forse, era preferibile non attendere oltre. Poco dopo le undici il delegato del sindaco diede inizio alla lettura dei doveri degli sposi, cui fece seguito, il giuramento, lo scambio delle fedi e un breve discorso augurale. La lettura della formula del giuramento,quel “lo voglio" sussurrato da entrambi con un filo di voce,la fede infilata a fatica nell’anulare, sembravano la sequenza di un film visto tantissime volte, ma che ogni volta è capace di commuovere e far piangere chi lo guarda. La firma sul registro da parte dei testimoni concluse la cerimonia sulle note dell'adagio di Albinoni, da noi preferito alla più famosa marcia nuziale di Mendelssohn. Stavamo ancora scambiandoci gli auguri, quando entrò trafelata la madre di Erica: si avvicinò alla figlia e dopo averla baciata sulle guance e fatto gli auguri di rito, dopo essersi complimentata per l'abito, il makeup e l'acconciatura, si diresse verso di me, per fare altrettanto. Mi sentii tirare per la giacca da mia madre, con un cenno degli occhi mi chiese di parlarmi un attimo in disparte. Aveva di sicuro qualcosa di  urgente da dirmi,  perchè in genere non si comportava così. Ci allontanammo di qualche passo; con un soffio di voce mi rivelò che quella signora che era entrata, la madre di Erica, era la donna che mio padre aveva apostrofato in maniera dura nel giorno di San Valentino del 1996. Le risposi di getto che si stava sbagliando o che ricordava male, prima di dirigermi verso Lucia per salutarla: quel lampo di trionfo che vidi passare nei suoi occhi, però bastò a sconvolgermi, a chiarirmi che no, la memoria non aveva tradito mia madre!


Alla ricerca di spiegazioni


Mi recai in bagno per riordinare le idee e collegare i fatti: poteva essere un caso che Lucia o Lidia come si firmava nelle mail spedite a mio padre, era la madre di Erica? Solo uno scherzo del destino o un piano preparato a tavolino e realizzato con maestria? Nessun incidente aveva causato il ritardo di Lucia: se fosse arrivata in orario, mia madre l'avrebbe riconosciuta prima e non dopo le nozze; davvero abili, madre e figlia, non c'è che dire. Il piano aveva funzionato: Erica ora poteva disporre di ciò che la madre non era riuscita a scippare a mio padre, ossia metà del suo patrimonio. Forse le mail ritrovate le avevano costrette ad accelerare i programmi: ecco la spiegazione dell'improvvisa conversione di Erica alle nozze, la scelta della data più vicina per celebrarle. Possibile che chi aveva condiviso ogni attimo della mia vita negli ultimi anni, lo avesse fatto solo per vendetta o peggio per interesse e ritorsione? Non mi aveva mai amato, aveva solo finto di farlo, era stato solo una docile esecutrice dei piani della madre o nel realizzarli aveva comunque provato amore e passione per me? Lasciai il municipio senza salutare nessuno, fermai il primo taxi, per tornare a casa. Varcata la soglia mi diressi in camera da letto, presi a riempire di vestiti la valigia più capiente, tirai fuori dalla cassaforte a muro tutto il contante che vi era custodito, presi il portatile e il tablet. Chiusi la porta di casa e mi diressi verso il garage: alzata la saracinesca, misi la valigia nel portabagagli  dell'auto, accesi il motore e partii alla volta dell'aeroporto. Avevo bisogno di pensare al da farsi con calma, in una località dove nessuno avrebbe potuto trovarmi e raggiungermi.

Ritorno a casa

Tornai a casa solo due mesi dopo: delegai al legale di fiducia il compito di chiedere la separazione da Erica: dal giorno delle nozze non ci eravamo più sentiti. Anni di felice fidanzamento e pochi minuti di matrimonio: quasi un record da Guinness dei primati!
Aprii la posta arretrata: oltre alle solite bollette, alla pubblicità, trovai una lettera di Lidia o di Lucia.

Caro Paolo

Il sapore della vendetta e' sempre un po' amaro, specialmente se e' indirizzata verso un bersaglio incolpevole, quale tu sei. Ho trascorso gli ultimi anni di vita con un solo obiettivo: quello di ottenere attraverso mia figlia ciò che credevo che mi spettasse. Ho amato tuo padre? Erica ti ha amato? Sono le domande che ti frullano nel cervello e cui io non darò una risposta: se non hai capito in tanti anni di fidanzamento e di convivenza quanto era sincera la tua donna, non saranno certo le mie parole a chiarire i tuoi dubbi. Ho avuto il mio momento di trionfo, l'attimo cui dedicare una vita intera: ora posso uscire di scena. Quando leggerai questa lettera controlla i necrologi dei giornali, recati al cimitero: sulla mia lapide oltre alla mia foto troverai questa frase: "Una vita spesa per ottenere ciò di cui non avevo bisogno e per allontanare chi poteva rendermi felice"

Lidia

Trovai i manifesti listati a lutto nel muro di fianco all'ingresso dell'abitazione in cui si era trasferita Erica. Con le lacrime agli occhi pensai che forse, se non avessi acceso il pc di mio padre, se non avessi cercato chi si nascondeva dietro alla parole d'amore di Lidia, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Non ho bussato alla porta di Erica quel giorno, né credo lo farò mai: ha scelto di assecondare i piani di vendetta della madre, può godersi il denaro di mio padre e il mio e condurre una vita agiata, può innamorarsi, trovare un nuovo marito dopo che avrà divorziato da me, ma non può più avermi. L'amore e' quel vento impetuoso che tutto travolge al suo passaggio, ma che  non può più commuovere i cuori induriti dall'inganno.






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