giovedì 29 novembre 2012

Questo matrimonio non s'ha da fare. Cronaca di una convivenza annunciata



Don Abbondio passeggiava come d'abitudine lungo la stradina che costeggiava il lago, intento nella lettura del breviario scaricato sul tablet all'ultima moda. Il suono celestiale  dell'Ave Maria di Schubert gli annunciò una telefonata in arrivo sul suo smartphone nuovo di zecca. Da un luogo imprecisato della terra qualcuno si prese la briga di spaventarlo: dopo averlo pazientemente ascoltato, gli chiese le generalità, per inserire i suoi ordini nella lunga lista delle cose che non "s’hanno da fare". Prima di riprendere la lettura dei Vespri, controllò l'agenda delle celebrazioni della settimana, tutte diligentemente trascritte nel suo blog di successo "Mi faccio i fatti miei". Giunto nei pressi della parrocchia notò uno strano assembramento, una calca insolita. Giornalisti, telecamere, semplici curiosi lo aspettavano al varco. Il primo istinto fu quello di darsi alla fuga: poi la ragione, ripreso il sopravvento, gli suggerì d'improvvisare una conferenza stampa. Un po' di pubblicità, rifletté, non ha mai fatto male a nessuno. "E' vero, gli chiese a bruciapelo un inviato dell'Ansa, che per domenica nove dicembre è prevista la celebrazione del matrimonio di Renzi e Lucia e di Bersani con una certa Crozza?" Il buon curato non poté che rispondere affermativamente alla domanda. "Dica ai telespettatori, insistette l'invito speciale del TG1, quale dei due sarà celebrato per primo?" Preso alla sprovvista Don Abbondio finse di non ricordare, affermò di dover controllare i documenti prima di fornire una risposta valida. Invitò i cronisti ad una nuova conferenza stampa per l'indomani. La notizia fece in breve il giro dei siti e dei quotidiani on line: si celebrerà mai il matrimonio tra Renzi e Lucia, Bersani e Crozza riusciranno a celebrare il loro sogno d'amore? Queste erano le domande che tutti si ponevano. Il Partito democratico entrò in fibrillazione, una direzione convocata d'urgenza dovette dirimere il seguente quesito: la scelta dell'ordine di celebrazione dei due matrimoni spettava a Don Abbondio o era di loro competenza? La discussione lunga e accesa, fu aggiornata, a notte fonda, all'alba dell'indomani: una nuova riunione doveva stabilire a chi toccava tra i promessi sposi, il diritto a salire prima sull'altare. Renzi e Bersani decisero di contattare uno per uno nella notte i loro sostenitori nella direzione, per studiare la strategie necessarie per ottenere il mandato a sposarsi per primo. I due fronti erano di pari consistenza: non fu possibile arrivare ad un compromesso, messe ai voti, le mozioni contrapposte ottennero lo stesso numero di preferenze. Dopo aver studiato a fondo lo statuto del partito, la direzione decise d'indire le primarie per domenica due dicembre. L'opinione pubblica si divise esattamente a metà: spetta al più anziano, sostenne una parte, tocca al più giovane replicò l'altra. Questo sembrava a tutti il punto: non una questione di merito, di diritti, di strategie, solo una questione di giorni, mesi, anni di vita. Rottamiamo i vecchi, a destra e a manca, ad Arcore o a Forlì, era il grido dei sostenitori di Renzi: a Firenze anche i seguaci di Savonarola, risvegliati dopo secoli dal frastuono, appiccarono fuochi agli ospizi, alle sedi dell'Inps, marciarono in corteo esponendo gigantografie della Fornero, inseguirono con i forconi gli sfaticati che si facevano scudo dell'art.18, per non farsi licenziare dall'azienda. Bersani e Crozza se la ridevano: si fecero riprendere dalle telecamere mentre giocavano a tressette, bevevano birra appartati in un angolo dello studio, raccontavano barzellette da ospizio. Don Abbondio, in attesa dell'esito delle primarie ascoltava su youtube una messa in latino, quando lo smartphone prese a suonare le note dell'Ave Maria di Scubert: il cuore cominciò a battere più forte, su quel numero arrivavano solo telefonate dall'alto. Rispose titubante, se la fece sotto, quando un misterioso interlocutore disse" Mi consenta, ma questo matrimonio non s'ha da fare!" "Quale dei due?" Fu la risposta immediata, stavolta forse, pensò, aveva una via di fuga. "Ma quello tra Renzi e Lucia, insistette l'interlocutore. Inventi qualcosa, si dia malato in mondovisione, ma faccia fare una figura da polli a quelli del PD! Mi costa una fortuna pagarla, almeno si guadagni lo stipendio"  Mortificato, Don Abbondio, prese ad annotare nel tablet: Venti novembre, ordini perentori dall'alto, matrimonio non s'ha da fare, inserito nel blog "Un curato in vendita al miglior offerente". I giornali del 3 dicembre titolarono sul trionfo di Renzi e Lucia, sulla vittoria della nuova generazione, dei bamboccioni sui vegliardi, di Savonarola sul dottor Balanzone. Il blog di Don Abbondio titolò a tutta pagina " I dolori di  un giovane curato". Domenica nove dicembre gli sposi trovarono la porta della piccola chiesa di campagna sbarrata, sulla porta una cartello scritto con mano tremolante informava del licenziamento di Don Abbondio da parte delle gerarchie ecclesiastiche: un ricorso d'urgenza al TAR non servì a sbloccare la situazione: senza la protezione dell'articolo 18' non era possibile chiedere il reintegro nelle sue funzioni. I seguaci di Savonarola tornarono al primo amore, l'incendio di chiese e uffici della Santa Sede, le gigantografie della Fornero finirono al rogo, i precari d'Italia chiamati a raccolta dal nuovo Blog di Don Abbondio "Occupy Arcore e dintorni" marciarono su Roma. Renzi e Lucia si consolarono: una nuova legge equiparò le coppie di fatto a quelle sposate, con buona pace di Don Abbondio e del suo nuovo blog" In attesa dell'estrema unzione".

mercoledì 28 novembre 2012

Monologo di un trasformista di successo



Sono bravo a fare due parti in commedia, se mi lasciano il tempo, se allungano un po’ la legislatura, può darsi che ne possa mandare a memoria una terza. Quella del trasformista è una vera arte: non sono come Giuda che si vende per trenta denari; non so a quanto corrispondono trenta denari, ma vi assicuro che la mia parcella è ben più alta. Vi racconto la mia storia: una telefonata può allungare la vita o può stravolgerla. Stavo visitando un paziente nel mio studio, uno molto paziente a dire il vero, quando la mia segretaria, una trentenne da svenimento, mi passa una telefonata che non ci azzecca nulla col mio lavoro. Dall’altra parte del filo, un famoso ex magistrato, un leader di grido della politica, mi propone un’avventura a Montecitorio. Scorrendo l’elenco telefonico di Messina e Provincia, mi dice, sono stato colpito dal tuo cognome: questo, mi sono detto, deve essere per forza un uomo onesto-un uomo probo, un ginecologo, un agopuntore, nella nostra lista non può mancare. Meno male, mi dico, che non ha visitato prima l’elenco dei protestati e degli indagati. Accetto con entusiasmo: mi è sempre piaciuto far politica. Ricordo ancora quando ai tempi del liceo, durante manifestazioni e cortei, sempre in prima fila, mi facevo onore prendendo in testa le migliori manganellate dell’anno. Ho vinto pure il primo premio al concorso “La testa più spaccata del mese” assegnato dal ministero degli interni a colui che si era distinto nel prendere il maggior numero di botte sulla capoccia. Dite che ciò può avermi reso stupido? Siete in errore: da allora ho vinto tante altre manifestazioni a premio: in Brasile mi hanno dato pure un paio d’onorificenze. Per la mia opera di divulgatore dell’agopuntura, non come miglior rappresentante della tradizione carnevalesca in Europa. Però, a dire il vero, qualche riconoscimento in questo campo, mi spetterebbe di diritto. La campagna elettorale è stata un trionfo: non ho speso una lira, non ho dovuto fare comizi od opera di proselitismo porta a porta: ho solo dovuto assistere gratis un paio di partorienti, infilato aghi ad muzzum o ad minchiam alla metà dei miei compaesani in quel di Barcellona. Pozzo di Gotto, ovviamente: se no magari qualcuno pensa che ho infilzato Messi e Iniesta. Il resto l’ha fatto il porcellum: poca fatica ed elezione garantita se il capo ti ha messo ai primi posti della lista. Mi brillano gli occhi già alla riscossione della prima retribuzione: quindicimila euro, dicasi quindicimila, solo per schiacciare un tasto quando si vota e fare un pisolino quando non parla uno del tuo partito. Un merito, però, mi va riconosciuto: sono il primo e forse l’unico a capire al volo l’intervento di Don Tonino, come lo chiamo io, il mio segretario. All’entusiasmo del neofita, però, subentra presto la noia: tra i banchi della maggioranza ci si diverte di più. Le donne innanzitutto: ma volete mettere la Carfagna, la Prestigiacomo o la Meloni, con Rosi Bindi? Nel centro destra è tutto un casino: per essere ricevuti dal premier in persona, è necessario presentarsi con almeno due veline di grido. Un giorno decido di chiedere anch’io un appuntamento: nei palazzi della politica c’è tempesta: Fini, tornato da Montecarlo, ha appena respinto l’invito di passare il Capodanno a Villa Certosa, in compagnia di Patrizia, Noemi, Ruby e compagnia cantante. La crisi di governo è nell’aria. Il presidente accetta di parlarmi, mi fissa un appuntamento per il giorno seguente: mi faccio in quattro per raccattare un paio d’escort, mi costano una fortuna, ma quando mi presento all’appuntamento anche Emilio Fede è costretto a farmi i complimenti. Il premier già solo a vederle ha l’espressione di Alvaro Vitali, quando spia dal buco della serratura la Fenech: faccio un figurone e vengo aggregato su due piedi alla compagnia del Centro Destra. Guardare la faccia dei miei ex compagni di partito, quando il presidente della camera annuncia il rigetto della mozione di sfiducia dell’opposizione per tre soli voti, non ha prezzo, io invece l’ho. A proposito di soldi: la mia dedizione è stata ben ricompensata: in beni durevoli, in bonifici e in favori.. sessuali, come si usa nei palazzi della politica. Popolarità e successo giungono a stretto giro di posta: all’uscita da Montecitorio, un nugolo di fotografi e di giornalisti, mi segue, la folla assiepata dietro le transenne grida il mio nome, tra una pernacchia e fischi da stadio. Un’intervista, una comparsata a Porta a Porta, tante dediche da parte dei comici alla moda: persino in Inghilterra, in Francia, in Germania, non sono più uno sconosciuto. Magari posso provare a vendere i miei libri di agopuntura anche a Londra e Parigi, dopo averli fatti tradurre gratis da dei giovani laureati con la promessa di un posto di lavoro a tempo indeterminato, ma proprio tanto, tanto indeterminato. La mia casa sapete è  piena di libri: i miei, invenduti. Tra poco mi toccherà scegliere se mandarli al macero o se cambiare abitazione.  I politici siamo i più precari tra i precari: con l’aria che tira, una rielezione tra le file del centrodestra è quasi impossibile. Ho in programma una nuova capriola, una conversione alla moda dell’antipolitica: ho già chiesto un colloquio a Grillo. Tra comici, ho pensato, ci si può intendere. Non mi ha ricevuto, mi ha mandato uno strano ambasciatore per rifiutare la mia proposta: “Domenico, mi ha detto, se fai il carino con me, ci penso io a convincere Beppe, a prenderti in squadra”, poi per essere più chiaro mi ha accarezzato le chiappe. Dite che cammino con difficoltà, che il mio volto assume un’espressione di dolore quando mi siedo? Che volete farci, della politica se ti entra nel sangue, non puoi più farne a meno!

lunedì 26 novembre 2012

L'isola dei dannati




Paolo e Francesca in nomination! Il nuovo reality "L'isola dei dannati" stava entrando nel vivo. La conduttrice, Beatrice P. aveva appena annunciato l'esito delle votazioni della terza  settimana. Già il Conte Ugolino e Bonifacio VIII avevano dovuto abbandonare gli studi televisivi costruiti per l'occasione in una  sperduta isola delle Antille nelle precedenti puntate serali dello show. L'applauso scrosciante del pubblico in sala seguì, le parole della conduttrice: tra gli ospiti spiccava il profilo dei concorrenti eliminati. Erano state prese tutte le precauzioni del caso: in un angolo della sala, troneggiava il ricco buffet a disposizione degli ospiti, spettatori e presentatrice erano dotati d'elmo d'ordinanza e di libri di preghiere in latino. L'aria era già elettrica, la suspense altissima, stava per essere letto il nome del secondo concorrente in nomination. Furono abbassate le luci, Beatrice sexy nel corto abito rosso che indossava, aprì la busta fattale pervenire dal notaio: "Ulisse in nomination", l'annuncio bastò a scatenare l'entusiasmo del pubblico. Dalla regia, Virgilio ordinò di zummare sui concorrenti nominati: Paolo e Francesca furono sorpresi, tablet alla mano nella visita a un sito per scambisti; Ulisse, invece, fu trovato, mentre tentava  di proteggere le orecchie con appositi tappi dalla musica rap diffusa a tutto volume dagli altoparlanti. L'inviato speciale chiese la linea: con voce accaldata, Dante A. prese a raccontare gli ultimi avvenimenti della giornata, non prima di avere sussurrato il suo tvb a Beatrice e al suo décoltè. Giuda aveva denunciato il furto del portafoglio con trenta euro, sospettando di Ulisse, lo aveva inserito tra le sue nomination. Achille, invece, si era procurato un infortunio al tallone nel tentativo fallito di precedere Bolt in una sfida sui cento metri. Fu  Tiresia l'indovino arrabbiato per la sconfitta di Achille, su cui aveva scommesso mille euro, a colpirlo col bastone al tallone, provocando la rottura del tendine. Voci di corridoio e spifferi di malelingue parlavano di una rottura tra Didone ed Enea, di un flirt in atto tra la bella regina e Ulisse.  Le riprese della camera da letto e delle docce, subito visionate, al momento non confermavano la notizia. Ottime news arrivarono dal fronte degli ascolti: il reality concorrente "Un angelo per amico" era stato sospeso dopo il flop della prima puntata. Microfono in mano, l'inviato speciale dell'isola dei dannati, chiese ad Ulisse se temeva per la sua permanenza nel gioco. Sono a cavallo, rispose il re di Itaca: voteranno per me tutti i furbi d'Italia, per i miei avversari, gli innamorati, a giudicare da ciò che si vede in giro non dovrebbe esserci partita. Occhi bassi, morale a terra,  voce sommessa: l'intervista di Paolo e Francesca era appena udibile. Fecero appello agli amanti, a coloro che quotidianamente dovevano inventare scuse per depistare il coniuge, ai cuori palpitanti che erano costretti a trascrivere nella rubrica del cellulare il nome dell'amato come idraulico, falegname, baby sitter, giardiniera. Commossi, Dante e Beatrice si scambiarono languide occhiate, si lasciarono sfuggire una lacrima furtiva. Le cronache del giorno dopo parlarono di un'impennata degli ascolti, di un boom dell'auditel. Sono più i furbi o i traditori? Siti  e giornali on line sondarono gli umori del pubblico: lo scontro, incerto sino all'ultimo voto, fu vinto dai traditori. Tiresia, l'indovino, arrabbiato per aver perso 5000 mila euro puntando sui furbi, accecò Ulisse ad un occhio: così vendicò anche l'amico Polifemo.
Il pubblico in sala si divise, i telefoni diventarono bollenti, durante l'interruzione pubblicitaria Didone ed Enea proposero a Paolo e Francesca uno scambio di coppia, Ulisse presentò domanda d'invalidità all'INPS, il conte Ugolino afferrò Tiresia per la testa, tra le urla d'incitamento del pubblico con l'elmetto in testa. Il verdetto arrivò a mezzanotte in punto: Paolo e Francesca erano salvi.  Nella notte, alla luce delle telecamere, Enea e Francesca, Didone e Paolo, poterono abbandonarsi al sesso più sfrenato. A Ulisse bastò l'occhio superstite per vincere i soliti trenta euro a Giuda, con la benedizione di Papa Bonifacio in persona. Dante diventò un attore di successo dopo aver accettato di fare pubblicità per una nota marca di carta igienica, Beatrice, invece, fu nominata consigliera in una regione della Padania.









giovedì 22 novembre 2012

La porta socchiusa



Mi svegliò nel cuore della notte il pianto di un neonato, aprii gli occhi, mi alzai per raggiungere la culla di M., il mio angelo biondo, una bimba di soli sei mesi. Dormiva beata, aveva un sorriso accennato sul volto: non si sarebbe svegliata prima dell’alba, mi dissi. Tesi l’orecchio verso la stanza attigua: il pianto non era cessato, dopo avere indossato una vestaglia, varcai la porta che divideva la mia stanza da letto da quella di N., la segretaria di mio marito che da circa due anni divideva con noi l’appartamento. G. la sua prima figlia, aveva appena due mesi ma corde vocali tanto potenti da svegliare mezza città. M’informai sulle sue condizioni: il pianto era solo dovuto alla fame, N. stava già provvedendo a nutrirla col suo latte. Svegliato dal pianto e dalle luci accese, anche G. mio marito ci raggiunse, per informarsi dell’accaduto. Notai l’assenza totale d’imbarazzo nella sua segretaria nel mostrarsi a seno scoperto, mentre allattava la figlia.
N. era entrata nella vita di mio marito già da qualche anno: un breve colloquio bastò a selezionarla tra le poche candidate che risposero all’offerta di lavoro pubblicata sul quotidiano locale. Capelli e occhi neri, naso aquilino, voce quasi maschile, altezza media: il volto scavato e il corpo magro ne accentuavano la naturale sensualità. Poteva essere definita un tipo, ma non era certo una bellezza. Seguiva mio marito negli spostamenti tra gli uffici in cui G. si recava per svolgere la sua opera di analista e di programmatore di software.


Una gravidanza inattesa


All’epoca abitavo ancora da mia suocera, pur avendo già due figli e qualche anno di matrimonio alle spalle. Il posto era splendido: distava appena venti metri dal mare, separato solo dalla piazza che dava sul porticciolo in cui era attraccata anche la nostra barca da pesca. Vivevamo, insieme ai suoceri e al fratello di mio marito nell’abitazione al primo piano: G. nel tempo libero e quando le finanze lo permettevano, si dedicava alla ristrutturazione dell’appartamento che era situato al pianterreno. Era questo il vero motivo della nostra permanenza a casa dei suoi: l’arrivo di una terza figlia, però, ci costrinse a rivedere i nostri piani; non c’era abbastanza spazio per tutti. Affittammo un appartamento in un paese vicino: avevamo bisogno di un po’ di privacy, dopo anni di convivenza forzata. Qualche mese dopo ci raggiunse N.: i suoi, testimoni di Geova, l’avevano cacciata di casa dopo la scoperta della sua gravidanza. Prima di accoglierla, le chiesi di chi era il figlio: mi rivelò il nome del fidanzato, tra le lacrime mi raccontò lo svolgersi degli eventi, mi spiegò che il padre si era eclissato appena saputo dell’imminente arrivo di un bambino.


Una strana convivenza

Due donne in gravidanza, due figli, un uomo: potrebbe essere il titolo di una commedia brillante o di un film comico: gli ingredienti di successo, se mescolati nel modo giusto, sono tutti presenti. Di soldi a casa ne entravano pochi, servivano per pagare l’affitto, per il mantenimento dei figli: N. per fortuna si accontentava di vitto e alloggio e del pagamento delle spese necessarie a portare avanti la gravidanza. Mi aiutava in cucina: spesso anzi era lei a pensare a tutto quando la mia gestazione era in stato avanzato; il pranzo o la cena per noi tre, il latte a colazione per i miei figli. La convivenza scorreva serena: N. era quasi sempre a casa, come le aveva consigliato il ginecologo di fiducia. Ciò non le impediva, però, di seguire il lavoro di G. Non ho mai capito quali fossero le sue competenze: aveva il diploma di licenza media, nessuna conoscenza dell’informatica, non aveva seguito alcun corso di dattilografia. Eppure a detta di G. la sua opera era preziosa, irrinunciabile addirittura. Potevo ascoltarli quando, nella stanza da letto, N. trascriveva sul personal computer, ciò che mio marito dettava ad alta voce. La porta accostata e non chiusa mi rassicurava: dentro non poteva succedere nulla di male. Di notte il bagno era molto trafficato come è normale quando nella stessa abitazione convivono due donne in gravidanza: forse era l’unico inconveniente di quello stato di cose.


Primi sospetti

Il bagno restò trafficato anche dopo il parto di N., una cistite causa dalla gravidanza la costringeva ad alzarsi spesso la notte, fu la spiegazione, certificata dai farmaci prescritti dal medico di fiducia. G. da sempre era abituato a lavorare di notte e a dormire di giorno: ciò m’impediva di dare peso alla sua assenza dal letto matrimoniale, quando mi svegliavo per dare la poppata a mia figlia. Una notte, però, la porta del bagno prese a cigolare, a emettere strani suoni: a intervalli regolari, e cadenzati. Mi alzai senza far rumore: N. seduta sulla tazza del gabinetto, notes in una mano e penna nell’altra trascriveva ciò che mio marito le dettava a voce bassa. La mia richiesta di spiegazioni non andò a vuoto: mio marito l’aveva svegliata per farle trascrivere l’idea che ne aveva d’improvviso illuminato la mente, fu la sua tesi. Avrei mai creduto alla loro buona fede, mi dissero, se invece di trovarli in bagno, li avessi scoperti in camera da letto? Si scusarono per l’accaduto, ma continuarono imperterriti il loro lavoro. Non riuscii a prendere sonno anche nelle notti successive: la mente di G. era un vulcano, illuminazioni continue, frasi roboanti che alle tre di notte squarciavano l’aria, un’attività febbrile sino a mattina, quando il sonno aveva la meglio anche su di loro. Un nuovo sospetto mi si affacciò alla mente: N. era di nuovo incinta?

L’inganno svelato

Aveva ripreso da qualche mese la storia col vecchio fidanzato, mi disse quando le chiesi delle spiegazioni, perché voleva che sua figlia avesse un padre, ma non era in stato di gravidanza. Il sospetto non svanì: se N. era quasi sempre a casa, come poteva aver riallacciato a mia insaputa la vecchia relazione? Nessuna telefonata, nessun indizio, pur piccolo, portava in quella direzione: decisi di andare a fondo, tesi le orecchie, cercai di prestare attenzione a quei movimenti che di solito mi sfuggivano. Finsi di dormire la notte, russai a bella posta: nascosta dalla porta della stanza da letto semichiusa, N. seguiva ogni mio movimento nel letto. Rassicurata dal mio dormire, N. s’infilò subito in bagno, raggiunta dall’amante già in calore: fui costretta a spiarli dal buco della serratura, come un Alvaro Vitali qualunque, per avere le prove del tradimento. Non fecero in tempo a rivestirsi: quando entrai in bagno notes e penna erano riposti in maniera ordinata sulla tazza del w.c., la voce di G. non era ancora pronta a gridare ai posteri idee illuminanti. N. appoggiata sul lavandino con i pantaloni del pigiama abbassati, piagnucolava: era tutto un malinteso, il mal di schiena l’aveva bloccata, disse, quando stava lavandosi i denti! Anche G. protestò la sua innocenza: era entrato in bagno per fare pipì. Dopo essersi abbassati i pantaloni, non si era accorto della presenza di G. sul lavandino, a causa della luce spenta. Furono traditi dal preservativo: non riuscirono a spiegarne la presenza sul glande ancora in erezione di G.


La conclusione


Li costrinsi a fare i bagagli, a ripetere lo stesso mio percorso: c’era ancora una stanza libera da mia suocera, un intero piano da utilizzare per i loro giochi erotici. La strana convivenza ebbe termine: G.e N. hanno cresciuto tre figlie; l’inganno, però, non ha portato loro fortuna. N. è da anni su una sedia a rotelle, G. è costretto a farle da infermiere. Far male a chi ti ha aiutato nei momenti di difficoltà, evidentemente non piace al Dio dei cristiani e nemmeno a quello dei testimoni di Geova.
 


lunedì 19 novembre 2012

Le rotte ingannevoli del cuore



Un matrimonio in frantumi


Un genio, del male o dell’inganno, ma un genio. Non lo era a prima, vista: l’apparenza a volte inganna, oppure la mente è incapace di analizzare fatti, di collegare indizi, quando è soprafatta dalla emozioni. Cinque anni fa, un giorno d’inverno, una lite coniugale: forse più accesa del solito, dettata dalla gelosia,dal fastidio e dal turbamento che può arrecare un’amicizia nata sul web, la frase un po’ ambigua, un po’ ironica, scritta su una chat. Quarantacinque anni, casalinga più annoiata che disperata, perennemente in lotta con la bilancia, ma non i conti di fine mese. Capelli neri corti e carnagione chiara, un fisico che ancora convinceva molti uomini a girarsi, quando camminavo per strada, a contattarmi quando pubblicavo le mie foto su Facebook. Un figlio e una figlia ormai maggiorenni, che non vedevano di buon occhio l’utilizzo compulsivo del mio personal computer. La lite degenerò, volarono parole grosse, le accuse passarono il segno, andarono oltre il limite di sopportazione della mia pazienza: forse fu tutta l’insoddisfazione di una vita a spalancare quella voragine dell’anima che mi costrinse a mettere l’indispensabile in valigia, a prendere il portatile, a fare il numero di un’amica in grado di ospitarmi in attesa di un’altra sistemazione. Bastarono pochi giorni per tornare a casa: il cuore di madre non può resistere alle insistenze dei figli, alle lacrime dipinte sui loro volti. Ciò non m’impedì di avviare le pratiche di separazione, che l’ostilità di mio marito ha protratto a lungo nel tempo e ha reso dispendiose per le mie finanze. Un lungo periodo di depressione, causate dal pesante clima familiare, dalle incomprensioni con i figli,seguì al mio ritorno a casa. Fu necessario il ricorso a sedute psicologiche, a farmaci antidepressivi, per andare avanti. Cominciai a giocare on line: al poker, al ramino, a tutto ciò che potesse, in qualche misura, allentare la tensione, arginare la voragine che giorno dopo giorno, s’apriva nella mia anima.

I primi passi di un nuovo amore

Fu allora che lo conobbi, in una chat di un sito di poker on line: mi colpirono di lui, la battuta pronta, lo spirito ironico, il temperamento incline all’allegria. Come un naufrago si aggrappa alla scialuppa, così mi appesi alla speranza che la sua presenza riportava nella mia vita. La frequenza delle chat, delle video chiamate cresceva col passare dei giorni: passavo quasi tutta la giornata davanti al portatile, a cazzeggiare, forse per lasciarmi alle spalle le depressione o per inseguire il sogno di cambiare vita. Mi stavo innamorando, il cuore era sempre più preso: non potevo più fare a meno delle sue prese in giro, di quello sguardo che consentiva alla mia voglia di vita di farsi largo, tra gli affanni quotidiani. Un giorno mi parlò a cuore aperto, mi disse tutto della sua vita: sapevo già che aveva moglie e figli, non ero a conoscenza, invece, dei suoi guai con la giustizia, della frequentazione assidua in passato del carcere, degli arresti domiciliari che stava scontando in quel momento. Era nato nel posto sbagliato, mi disse: da qualche mese, il minore dei suoi fratelli si era impiccato nella squallida cella del carcere di Bicocca a Catania, la mia città. Il più grande, invece, era stato da poco arrestato insieme ad altre trenta persone in una retata di polizia, finita con molta enfasi su tutti i giornali del Paese. Mi raccontò della sua triste vita quotidiana: la mancanza di lavoro lo costringeva a fare il criminale, a taglieggiare commercianti, a spacciare cocaina, a costringere donne straniere a vendere il proprio corpo. Il matrimonio era ormai una finzione: i rapporti con la moglie si limitavano al saluto o alle discussioni sui problemi domestici. Mi colpì la sua sincerità, fui felice quando qualche giorno dopo mi parlò della sua intenzione di venirmi a trovare, di passare con me qualche giorno: gli arresti domiciliari erano prossimi alla scadenza. Non battei ciglio quando mi chiese dei soldi: le sue finanze non potevano permettersi il viaggio da Roma, dove abitava, a Catania. Già il giorno dopo gli spedii, i cinquecento euro richiesti. Potei abbracciarlo ai primi di giugno del 2009, come convenuto in una stanza d’albergo: mi sembrò di toccare il cielo con un dito quando dopo aver fatto l’amore, sentii promettermi amore eterno, ascoltai dalla sua voce i progetti di un futuro insieme. 


L’apogeo della passione

L’attesa febbrile di un nuovo incontro, intervallato dal tempo rubato alla quiete coniugale, ai sospetti dei figli; i tanti sotterfugi da inventare ogni giorno per tenersi in contatto, per scambiarsi parole e promesse d’amore. Non feci caso alle nuove richieste di denaro; un anticipo per l’avvocato, per caricare la scheda del cellulare o per comprare le sigarette: i soldi utilizzati per rimetterlo sulla buona strada erano ben spesi, a mio parere. Programmammo un nuovo incontro per il mese successivo: mi spiegò che per ragioni di sicurezza non poteva raggiungermi da solo, aveva bisogno di qualcuno che lo scortasse. Servivano mille euro: questi erano il minimo indispensabile, per viaggio vitto e alloggio per due persone. Non esitai a spedirgli quanto chiesto: all’ultimo minuto, prima di raggiungere la stazione, con una telefonata, m’informò del cambio di programma. Impegni di “lavoro” improrogabili e improvvisi non lo permettevano; il timore di essere intercettato e la volontà di non coinvolgermi in affari illeciti, lo costrinse a restare sul vago. Un’ordinanza del giudice delle indagini preliminari aveva disposto l’obbligo di firma giornaliero al commissariato: per un po’ di tempo era impossibile vedersi. Telefonate, video chiamate, chat, s’intensificarono: l’attesa di un nuovo incontro era febbrile, come il desiderio di stringerlo tra le mie braccia, di riprovare le emozioni della prima volta. Non poteva più stare senza vedermi: almeno a novembre, nel giorno del mio compleanno, voleva incontrarmi, anche a costo di una denuncia per violazione dell’obbligo di firma. Mi chiese di spedirle del denaro: quello dell’ultima volta serviva per convincere qualche poliziotto di buon cuore a firmare al mio posto. Spedii subito quanto chiesto, fui felice di passare tra le sue braccia il compleanno più bello della mia vita. Si fermò solo un giorno, invece dei tre programmati: una telefonata misteriosa lo costrinse a disdire in fretta e in furia la stanza d’albergo e di mettersi subito in viaggio per Roma.


Tempi di crisi

Pianificammo un nuovo incontro: la solita richiesta di finanziamento per due, mille euro che andavano ad assottigliare il conto in banca ormai vicino al rosso fisso. Tre giorni da potersi godere finalmente in pace: senza l’assillo dei domiciliari o dell’obbligo di firma, ora scaduto. Utilizzò la macchina, al posto del treno per risparmiare sui costi del viaggio. La trepidante attesa in un caldo mattino di luglio, però, andò a vuoto: con una telefonata m’informò, che erano stati fermati dalla polizia stradale a un posto di blocco nei pressi di Messina, che l’auto su cui viaggiava era stata sequestrata perché risultata rubata il giorno prima in un paese nei dintorni di Roma. Mi stava chiamando dal cellulare: probabilmente avrebbe passato la giornata dietro le sbarre, in attesa dell’arrivo del suo avvocato, non sapeva quando avrebbe potuto contattarmi di nuovo. Lo sentii solo dopo una settimana: piangendo, in una video chiamata mi giurò che da quel momento avrebbe rigato diritto, che aveva accettato un lavoro come manovale in Emilia, offertogli da un’impresa di costruzioni della sua zona. Le telefonate si diradarono, come le video chiamate e le chat: la sera era troppo stanco per stare davanti al portatile. Qualcosa cominciò a insospettirmi nel suo comportamento, come certe nuove amicizie femminili su Facebook, o nelle chat dei siti on line di poker. Indagai, m’inventai hacker per sbrogliare la matassa: ebbi a stretto giro di posta le prove del suo tradimento, di una sua relazione con una donna emiliana di cinquanta anni. Troncai subito la relazione, rifiutai ogni contatto per un mese: stroncata dal dolore, però, lo cercai, gli tesi la mano, perdonai il suo tradimento, misi una pietra sopra alla sua debolezza di un momento.


L’addio

Il dubbio instillato del tradimento, però, tornò a farsi largo nel mio cuore: rosa dalla gelosia, cominciai a sospettare di tutto e di tutti, presi a tormentarlo, a infastidire tutte le sue amiche virtuali. Decisi di voler indagare sulla sua vita, per scoprire se aveva altre amanti: mi rivolsi a un’agenzia investigativa per averne la conferma. Andò a vuoto anche il successivo incontro: dopo il solito bonifico, accampò un’altra scusa per disdire l’albergo già prenotato. I soldi che gli avevo mandato non gli bastavano: aveva già un appuntamento per riscuotere dei crediti arretrati. Non ci fu verso, però di disse, di avere indietro il denaro prestato a un amico, non bastò minacciare tutta la famiglia con la pistola che si portava sempre appresso, picchiare il malcapitato sino a quando i vicini, impauriti dalle sue grida, non chiamarono il 113. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: avevo speso quindicimila euro per due incontri, un paio di giorni trascorsi insieme, settemilacinquecento euro a scopata, forse non poteva permetterselo nemmeno un ricco uomo politico. Cominciai a negarmi alle sue chiamate, a rifiutare gli inviti ad aprire la chat, a spedirgli altri soldi. Le mie finanze erano ormai allo stremo: nel mio conto non c’erano soldi a sufficienza per pagare l’onorario dell’avvocato che seguiva la pratica di separazione. Era ormai tempo di mettere la parola fine a una sciagurata storia.


La sorpresa

Protestò, inveì, minacciò: mi avrebbe aspettato sotto casa, per riempirmi di botte, non avrebbe esitato a fare fuoco, se non fossi tornata con lui. Nonostante le mie paure, tenni il punto, non accettai compromessi: nemmeno quando mi fece sapere di essere a pochi chilometri dalla mia abitazione, pronto a tutto pur di avermi. Lo attesi con un misto di ansia e terrore: non si fece vivo quel giorno, quello successivo, quello ancora dopo, nemmeno per telefono o per mail. Le mie indagini avevano accertato la verità: non si era mai mosso da Roma, mi aveva costretto ad assistere all’ennesima sceneggiata. Fui convocata qualche giorno dopo dall’agenzia investigativa: le indagini avevano dato gli esiti sperati. Aveva allacciato negli ultimi mesi altre due relazioni: con cinquantenni sposate, da cui si faceva mantenere. Era questa la sua professione, realizzata con la complicità della moglie. Non aveva mai avuto problemi con la giustizia: nessuna denuncia, niente arresti domiciliari, firme in commissariato, permanenze a Regina Coeli. Aveva inventato un modo geniale per spillare quattrini alle sue amanti: come potevano pretendere da chi era confinato dalla giustizia tra le mura domestiche, una relazione più intensa e incontri ravvicinati nel tempo? Di fantasia ne aveva parecchia: si era costruito un personaggio perfetto per spaventare chi non poteva permettersi uno scandalo e aveva soldi per mantenerlo.
La pistola in tasca, le cattive frequentazioni, le amicizie vantate con personaggi della malavita locale, i guai con la giustizia servivano al depistaggio: nessuno quando mente si dipinge più brutto di ciò che è, semmai cerca di migliorarsi. Crollarono certezze e illusioni: tornai con la mente ai primi momenti del nostro incontro; ora avevo la certezza che era tutta una finzione, che non l’amore, ma il denaro e l’inganno erano le basi della nostra storia. Aspettai la sua chiamata per sparargli in faccia le mie scoperte: non doveva più farsi vedere e sentire, non c’era più posto per lui nella mia vita.
La ferita è ancora sanguinante: prima o poi, è la mia speranza, qualcuna gli darà ciò che gli spetta: un colpo al cuore sparato con la pistola che porta in giro con tracotanza.

sabato 17 novembre 2012

Incroci del destino





La scoperta


Amore mio

E' l'ultima mail che ti scrivo: ho giurato a me stessa che non ne seguiranno altre; forse presto i miei occhi non vedranno più  l'alba, non conosceranno il tepore di nuovi tramonti, i caldi abbracci di una notte tra amanti felici. Ciò che abbiamo vissuto ci ha riempito la vita, ora è tempo di mollare gli ormeggi, di provare a risalire dal fondale in cui mi trovo, ma senza il tuo aiuto. Ho le lacrime agli occhi, la mente confusa dai ricordi, ma la decisione è presa: ti chiedo solo di rispettarla, di cancellare il mio nome dalla lista degli impegni quotidiani, di lasciare solo alla memoria, il compito di riportare in vita, i tanti momenti di gioia di un amore autentico.

Lidia.  

Le soffitte sono spesso una miniera di sorprese: cercando vecchie foto della mia infanzia, mi sono imbattuto in un vecchio personal computer di mio padre, la curiosità mi ha spinto ad accenderlo; con un po' di lavoro e di fortuna sono riuscito a rimetterlo in funzione. Nella casella postale era conservata solo una mail, le altre, evidentemente, erano state puntigliosamente cancellate. M'interrogai sul significato di quelle parole, sul perché tra tutti, quello era l'unico scritto conservato. Nella mail c'era un'alternanza di disperazione e orgoglio, di rassegnazione e speranza che turbava ed inquietava chi come me, doveva leggerlo senza avere alcuna cognizione del suo vero significato. La data, il 1997, non passava inosservata: a quel tempo mio padre era già sposato, anche felicemente, a giudicare dai miei ricordi giovanili. La lettera non lasciava pensare ad un amore non corrisposto, ma a un'appassionata e impetuosa relazione clandestina. Non erano chiare le ragioni dell'addio: forse anche Lidia non poteva vivere alla luce del sole quella storia, oppure era solo mio padre, a doverla nascondere? Per curiosità o per desiderio di verità, decisi di approfondire, di capire ciò che ha prima unito e poi diviso Lidia e mio padre.

I miei ricordi


Ho sempre ricordato un'infanzia serena, una famiglia unita e felice: ero il figlio unico cui i genitori non hanno mai fatto mancare attenzioni, slanci d'affetto, doni e regali. La professione costringeva papà a essere spesso fuori casa, come si addiceva al manager di un’importante azienda informatica: mai, anche dall'altro capo del globo, però, dimenticava di mandarci un saluto, di chiedere a me e a mamma di raccontargli la nostra giornata. Mamma, invece, mi era sempre vicino: mi accompagnava a scuola, in piscina, a giocare con gli amici, mi leggeva le fiabe prima di rimboccarmi le coperte, di darmi il bacio della buona notte, sempre col sorriso sulle labbra e gli occhi colmi di amore materno. Conducevamo una vita agiata: oltre all'abitazione nel centro storico di Catania, possedevamo una casa al mare a Taormina, un'altra a Zafferana, un paese alle pendici dell'Etna; nel garage, non mancavano auto e moto di grossa cilindrata, alle pareti erano appesi quadri di gran valore, che alla morte di mio padre, ho ereditato. L'incidente aereo in cui ho perso papà, ha cambiato il volto della mia vita, quando, però, avevo già terminato l'università e avevo conosciuto Erica, la compagna con cui ho condiviso molte giornate della mia vita. Mamma abita ancora in centro a Catania, dove conduce una vita ritirata ma serena: nonostante le mie insistenze, ha declinato ogni invito ad abitare con me ed Erica, in nome della voglia d'indipendenza e di libertà. Vado a trovarla quasi tutti i giorni: la mia professione, a differenza di quella di papà, non m'impedisce di seguire gli affetti, d'avere tempo per gli svaghi, gli amici, tutto ciò che può rendere più ricca, la mia giornata. Scrivo romanzi: il mio genere preferito è il thriller, ma ho scritto a inizio carriera anche racconti d'amore. Ho molto tempo libero, che di solito dedico allo sport e agli eventi culturali e mondani della mia città.


Erica


Decisi di mostrare a Erica la mail trovata nel vecchio personal computer di papà: le spiegai i miei turbamenti, i dubbi e le inquietudini, che agitavano il mio animo da qualche giorno. Erica ha qualche anno meno di me: non dimostra, però, i trentacinque anni  che la carta d'identità certifica senza alcun dubbio. Esercita la professione di avvocato penalista: ha uno studio già ben avviato, un prestigio crescente negli ambienti forensi, la mentalità giusta per raggiungere luminosi traguardi sul lavoro. Capelli corti e rossi, colorito chiaro, occhi azzurri e profondi, un fisico che non passa inosservato ovunque si trovi. Abbiamo incrociato forse tardi le nostre rotte: già dopo i primi giorni di conoscenza siamo stati inseparabili, come colpiti e affondati da una passione che non ci ha più abbandonati. Non ci siamo ancora sposati: perché non crediamo nel matrimonio o solo perché vogliamo sentirci liberi, giorno dopo giorno, di confermarci l'amore reciproco, senza reti di protezione a sostenerci. Non abbiamo figli: questa è stata sinora la nostra scelta, ma stiamo già discutendo se è giusto cambiarla, se essere genitori può arricchire il nostro amore, oppure può segnare l'inizio della fine. Non siamo sempre d'accordo su tutto: di solito, anzi, abbiamo idee molto diverse, spesso opposte, sugli argomenti trattati. Come per miracolo, però, dopo discussioni e contrasti, troviamo il modo di comporre le nostre differenze, di raggiungere un accordo che non sia di pura facciata. Erica mi consiglia di dimenticare il contenuto della mail ritrovata: se ci sono situazioni in cui è preferibile non andare alla ricerca della verità a ogni costo, è proprio questa. Forse l'amore che ha legato Lidia a tuo padre, mi dice, è stato solo platonico: che bisogno hai di scoprire verità che il tempo ha sepolto, che lo schianto al suolo di un aereo, ha cancellato per sempre?

Le indagini


Lidia è ancora viva, ha più visto mio padre nei pochi anni trascorsi tra l'ultima lettera scritta e la morte di papà? Forse non ha nemmeno saputo del disastro aereo, non ha potuto visitare la sua tomba, piangere sulla sua lapide, porgergli l'ultimo saluto. Oppure, venuta a conoscenza per chissà quali vie dell'accaduto, ha partecipato ai funerali nascosta da spessi occhiali scuri e dall'anonimato del suo volto. Mi chiesi cosa potevo fare per rintracciarla: l'unico indizio in mio possesso era il suo indirizzò di posta elettronica, lidiadst@tin.it. Verificai i programmi di posta elettronica sul pc di papà: c'era una versione di Outlook; probabilmente scaricava con quel programma le mail ricevute. Può darsi che sul disco fisso, vi fossero tracce di quelle cancellate. Chiesi a un amico esperto d'informatica di aiutarmi a recuperarle: mi confermò che se erano state scaricate con Outlook, c’erano concrete possibilità di riuscirci. L'operazione recupero risultò meno difficile del previsto: il lavoro più fastidioso fu individuare tra le centinaia di mail ritrovate, quelle spedite da Lidia. Una decina in tutto che abbracciavano un arco temporale di due anni: solo le ultime due, però, avevano quell'indirizzo di posta elettronica, le altre erano state spedite col mittente liddst. Lessi la prima del gennaio 1995.
  
Amore mio  

La mia stanza è ancora impregnata del tuo profumo, forse stai ancora scendendo le scale, mentre mi accingo a scriverti. Non voglio sbirciare dalla finestra la tua partenza, i modi sfuggenti con cui cerchi di deviare l'attenzione di infreddoliti passanti dalla tua presenza. Temi che qualcuno ti riconosca, che l'auto di grossa cilindrata attiri sguardi indiscreti: mi fa male pensare che tra pochi minuti tornerai ad abbracciare tua moglie, che fingerai una volta di più di avere trascorso la serata in ufficio, a dettare fredde lettere alla tua fidata segretaria. Voglio che tutto qui resti identico sino al tuo ritorno: non sposterò alcun oggetto che le tue mani hanno toccato, lascerò il letto sfatto, dormirò sul divano del soggiorno, se necessario. Spero di ritrovarti prima possibile: so che sei in partenza per New York, che impegni professionali e familiari, possono tenerti lontano da me per un tempo che può sembrarmi infinito. Ti aspetterò con pazienza, ti rincorrerò sino in capo al mondo per sentire almeno un attimo la tua voce sussurrarmi parole d'amore, immaginerò ogni istante della tua giornata per condividerla, per averti vicino anche quando sei assente.

Lidia.  

Mail toccante ed emozionante, non priva d'indizi utili alla mia ricerca. Un primo dubbio è stato chiarito: Lidia viveva da sola, se poteva permettersi di lasciare il letto disfatto per molti giorni; con un marito, un convivente, un fidanzato, non sarebbe stato possibile. Si era fatta notte, ormai, Decisi, vista l’ora di continuare l’indomani la lettura delle altre, per concludere la serata tra le braccia di Erica.

Altri indizi da valutare


Le due successive in ordine cronologico non erano molto diverse per toni e contenuti: un'accurata descrizione di stati d'animo, di tormenti e di slanci del cuore, dichiarazioni d'amore sempre più esplicite, lirici abbandoni alla passione. Più interessante, almeno per le mie ricerche, la successiva, datata febbraio 1996.

Amore mio

La tristezza è compagna delle mie serate: al rientro dal lavoro posso licenziare i finti sorrisi, gli ipocriti commenti quotidiani sulla politica, la moda, il look e il gossip sulle colleghe, per concentrare su te i miei pensieri, per avvolgermi della tua assenza sino a sentire l'anima soffocare, le lacrime sgorgare copiose dagli occhi. Vorrei festeggiare con te San Valentino, ma il tuo tavolo è già occupato, forse mi accontenterò di guardarti negli occhi da quello più vicino che ho già prenotato nel tuo ristorante preferito o più probabilmente mi limiterò a immaginarti, mentre scambi languidi sguardi coniugali con chi ha condiviso con te gioie e delusioni, sino a questo momento. Il mio corpo gelato anela baci e carezze, la mia bocca vuole abbeverarsi direttamente alla fonte del piacere e condividerlo sino all'ultimo sorso, sino a quando avremo baci da scambiarci, occhiate da far morire all'alba, quando, raccogliendo i vestiti, chiuderai l'uscio alle mie speranze di felicità.

Lidia

Riflettei sugli indizi rivelati dalla mail di Lidia: aveva un lavoro, colleghi e colleghe in chissà quale ufficio di Catania e dintorni, ha prenotato un tavolo per il San Valentino del 1996 nel ristorante preferito di papà; mamma, di sicuro, può dirmi qual'è e se quella sera accadde qualcosa di strano o d’imprevisto. Prima di leggere le altre, forse conveniva accertare i fatti, approfondire ciò che le parole di Lidia suggerivano. Chiesi ancora un parere ad Erica su quella mail e sull'intenzione di domandare a mia madre di tornare con la memoria a quel giorno di molti anni fa. Mi confermò di non capire questa mia ossessione, mi disse che forse avrei fatto meglio a pensare di più al nostro futuro, che non era una buona idea coinvolgere mia madre in questa ricerca, m’implorò di lasciarle almeno l'illusione di non aver dovuto dividere il suo uomo con un altra donna. Le spiegai che non avevo intenzione di rivelare alcunché a mia madre, che avrei trovato un modo discreto per farmi raccontare gli eventi di quel San Valentino.


Una proposta di matrimonio


La proposta di Erica mi giunse inaspettata: avevamo parlato più volte di matrimonio, ma per escluderlo, per allontanarlo dall'orizzonte della nostra storia. Ci aveva pensato molto di recente, mi confermò: come conviventi, in assenza di nuove normative, non potevamo godere di alcuna protezione sociale in caso di decesso o di malattie invalidanti, non potevamo restare nemmeno al capezzale dell'altro, in ospedale, in caso di malattia, se qualcuno vi si opponeva. Le bastava, mi rivelò, una cerimonia semplice in Municipio, alla sola presenza dei testimoni , di genitori e fratelli. Senza banchetti, bomboniere, regali, partecipazioni, liste di nozze, viaggi dall'altra parte del globo. Non aveva cambiato idea sul matrimonio, lo riteneva, a questo punto un passo inevitabile, per garantire a entrambi un avvenire più sereno. Le chiesi un po' di tempo per rifletterci su, specificando, però, che la proposta, almeno nei termini in cui era formulata, non era irricevibile. Mi disse che cominciava a sentire il bisogno di maternità; ora che le lancette del suo orologio biologico erano già nel terzo quadrante, non c'era più tempo da perdere, se volevano avere un figlio. Troppe novità in un giorno solo: dovevo uscire, schiarirmi le idee, pensare a un futuro diverso da quello immaginato appena ieri. Chiesi ad Erica di rimandare ad un altro momento la discussione, inventai un impegno improrogabile per sottrarmi a quella tempesta di confusione che parole e proposte avevano generato nel mio animo. Decisi di andare a trovare mia madre, per chiarire gli eventi datati quattordici febbraio 1996.


Mia madre


Un appartamento signorile nel centro di Catania: arredato con preziosi mobili di antiquariato, riproduzioni di quadri dell'Ottocento alle pareti, vasi e ceramiche di valore e buongusto posti su ogni centimetro di superficie utile. Mamma era una donna ancora attiva, partecipe della vita culturale della città, ma non ostile ai cambiamenti, all'avanzata della tecnologia. Possedeva un portatile, utilizzava senza difficoltà il tablet che le avevo donato per l'ultimo compleanno, aveva un profilo su Facebook e Twitter, cui dedicava molta cura. Non dimostrava i 63 anni certificati dalla sua carta d'identità, nello spirito prima ancora che nel corpo. Dopo i convenevoli di rito, le chiesi di raccontarmi curiosità e aneddoti sulle giornate di San Valentino trascorse con papà: dove amavano trascorrerlo, come lo organizzavano, sui regali che si scambiavano. Scatenai una valanga di ricordi: i tempi del fidanzamento, quelli dei miei primi di anni di vita. La seguivo con attenzione, in attesa che la sua memoria tornasse ai fatti del 1996. Quando avevo quasi perso le speranze, arrivò la rivelazione: quella era stata l'unica volta in cui qualcosa era andato storto! Mi raccontò del ristorante prenotato, delle canzoni diffuse dagli altoparlanti del locale, del clima raccolto e intimo che vi si respirava. Poi si era avvicinata una donna: abito scuro e lungo, capelli neri e corti, occhi dello stesso colore, per chiedere con voce esitante l'accensione di una sigaretta. Papà le rispose in modo brusco e con modi poco civili le ordinò di tornare al suo tavolo, di non disturbarci più per il resto della serata. Accorsero i camerieri per sedare la discussione che quei toni avevano innescato: tornata la calma, pagò il conto e mi chiese di proseguire la serata in un altro locale, dove nessuno ci avrebbe disturbati. Ascoltai anche gli ultimi racconti per non dare l'impressione a mia madre di essere interessato solo a quell'avvenimento. Le chiesi, quando ebbe finito di parlare qualche informazione in più: se avesse mai rivisto quella donna, quale a suo parere era la vera ragione di una reazione tanto sproporzionata. Mi rivelò che non aveva la più pallida idea di chi fosse, che non l'aveva più rivista, che non capiva perché avesse prenotato un tavolo singolo, proprio il giorno di San Valentino e che non riusciva a spiegarsi la reazione di mio padre. Forse si trattava solo di stress da lavoro o semplicemente non voleva che quella serata fosse rovinata da una sconosciuta.

Litigi e contrasti


Le indagini non approdarono a nulla: nel ristorante indicatomi da mia madre non avevano in archivio le prenotazioni di quella serata di San Valentino. Ripresi la lettura della posta elettronica di mio padre, alla ricerca di nuovi indizi da seguire, di squarci di sole capaci di condurmi sino alla verità. La successiva mail di Lidia era del 15 febbraio 1996.

Amore mio

Non mi capacito del tuo comportamento di ieri: non credo di meritare tanta cattiveria, nemmeno il desiderio di allontanare i sospetti di tua moglie, può giustificare la scenata tanto incivile, quanto insensata che mi hai costretto a subire. Non mi hai ancora richiamata: magari per chiedere scusa o per spiegarmi le ragioni del tuo gesto. Il tuo silenzio mi ferisce: nella mia immaginazione, ti vedo aprire la porta, abbracciarmi con foga, tapparmi la bocca con un bacio, strapparmi i vestiti di dosso, per chiedere a un amplesso bollente di restituire un po' di pace, al nostro amore. Mi pento del gesto di sfida, dell'invasione nel tuo menage di coppia che, la mia presenza al tavolo accanto a quello in cui sedeva tua moglie, ha rappresentato. Perdonami l'impeto di donna innamorata: io sono pronta a scusare le tue occhiate di fuoco, le parole che ancora mi tormentano, se lo chiedi con un sussurro di voce.

Lidia

Il resoconto dettagliato della pace avvenuta era nella lettera successiva: descrizioni e argomenti trattati erano decisamente hard, vietati ai minori di anni diciotto. D'indizi capaci di far avanzare le indagini, invece, non c'era alcuna traccia, purtroppo, anche nelle mail successive: forse era meglio lasciar perdere, per concentrare l'attenzione sulle proposte di Erica.


Riflessioni sulla proposta di Erica


L'intesa con Erica vacillava; le tensioni innescate dalla proposta di matrimonio rendevano il clima in casa quasi irrespirabile. M'innervosiva tutto di lei: i passi veloci nel corridoio, la voce squillante, l'agitazione che trasmetteva quel suo non stare mai ferma, la capacità di non abbassare lo sguardo, di resistere a ogni tipo di pressione esterna. Non riuscivo a riordinare le idee, a capire, quale poteva essere il futuro di quella relazione, se ciò che chiamavo amore, non era, invece, solo l'abitudine ad averla vicino al risveglio o quando il desiderio mi spingeva a congiungere il mio respiro al suo, per renderlo la sola nota dello spartito del piacere. C'era del buonsenso nella proposta di Erica, ma forse avrei avuto meno dubbi, se le motivazioni addotte fossero di tutto un altro tipo, se avesse fatto leva sulla mozione degli affetti, se avesse parlato più al cuore che alla ragione o al portafoglio. Il suo desiderio di maternità, poi mi aveva lasciato senza fiato: quando vi aveva fatto cenno era solo per dichiararne l'assenza dai suoi orizzonti di vita, dai sogni e dalle speranze della sua anima. Cosa poteva aver capovolto le sue convinzioni? Bastavano l'età, l'avanzare delle lancette dell'orologio biologico, a spiegare questo improvviso cambiamento di prospettive? Non credo: solo qualcosa di più profondo e che ancora mi sfugge, può aver innescato il ripensamento ed è urgente, scoprirne l'origine e l'evoluzione.


A colloquio con mia madre


La consueta visita giornaliera a mia madre fu l'occasione per parlargli della proposta di matrimonio di Erica, del suo desiderio di maternità, dell'imbarazzo e della confusione che ciò mi creava. Forse scelsi la persona meno indicata per chiarirmi le idee; a motivare i suoi consigli, probabilmente, era il desiderio di diventare nonna, di avere qualche nuovo affetto cui dedicare l'ultimo quadrante della sua vita. Usò le stesse frasi di buonsenso di Erica, mi pregò di non pensare al matrimonio come a una gabbia, alla paternità solo come un dovere, di spazzare via dalla mente tutti i pregiudizi che sinora mi avevano impedito di mettere su famiglia. "Sono stata felice con tuo padre, disse per l'ennesima volta, mai mi sono pentita di aver condiviso con lui gioie e delusioni, di aver dovuto dedicare tutte le mie forze, alla tua crescita, prima e dopo la sua scomparsa". Non notò il lampo di tristezza che attraversò i miei occhi: forse, pensai, la felicità che hai difeso con i denti, non era la stessa sognata e inseguita da mio padre, quando trascorreva la notte tra le braccia di Lidia e di chissà quante altre prima. La distanza che separa l'amore eterno dalle noie quotidiane, dai doveri che il matrimonio comporta, è troppo elevata per resistere all'usura del tempo: non mi sento ancora pronto ad accettare una sfida da cui non ho alcuna speranza di uscire con la vittoria in pugno.


La china discendente di un amore


L'amore tra Lidia e mio padre aveva imboccato la china discendente: discussioni e litigi ormai intervallavano sempre più spesso gli abbandoni alla passione fisica e gli afflati romantici. La mail successiva testimoniava con chiarezza questo mutato clima.

Amore mio

Non capisco le ragioni delle tue accuse: non ti ho mai chiesto nulla; vivo del mio lavoro e voglio continuare a farlo, non aspiro alle tue ricchezze, non desidero altro che essere la tua donna alla luce del sole. Sono felice dei tuoi regali: non ho bisogno di ricevere in dono costosi gioielli, per esserti riconoscente; non è ai tuoi soldi che miro. Hai forse un'altra donna o c'è un amico cui ha confidato di noi che ti mette in guardia, che t'invita a piantarmi? Non ti riconosco più: i tuoi toni sono bruschi, quasi infastiditi; quando vieni a trovarmi non vedi l'ora di andar via, guardi l'orologio, fumi nervosamente una sigaretta dietro l'altra, fai l'amore in maniera svogliata, non mi guardi mai diritta negli occhi. Ti chiedo chiarimenti e ti alteri, provo ad abbracciarti e mi sfuggi; cerchi scuse, accampi alibi. La giornata di lavoro difficile, lo stress accumulato con i continui viaggi: ma quando entrando dalla porta mi abbracciavi con trasporto, mi baciavi con passione, mi prendevi sul letto con tutta la foga di cui eri capace, non facevi lo stesso lavoro, non viaggiavi con la stessa frequenza? Qualcosa è cambiato dentro di te: forse è arrivato il momento di discuterne senza finzioni.

Lidia

Un amico cui mio padre aveva confidato la sua storia con Lidia? Perché non vi ho pensato prima? Chi può essere? Interrogando i suoi amici, potrei capire chi frequentava più spesso in quel periodo, per individuare chi può aver ricevuto le sue confidenze. Nuovi indizi forse potrebbero condurmi a identificare chi è Lidia e dove ora si trova.


Un matrimonio in vista


La discussione con Erica procedeva: ormai ero entrato nell'ordine d'idee di sposarla; era necessario, però, definire i dettagli del matrimonio. La data, il tipo di cerimonia, gli invitati, il banchetto, il viaggio di nozze. C'era già l'accordo sulle cose importanti: non eravamo contrari alla comunione dei beni, non avevamo intenzione di andare ad abitare altrove, non scartavamo a priori l'idea di avere un figlio, ma ne avremmo discusso più a fondo solo dopo il matrimonio. La nostra era un'unione di lunga durata: non dovevamo comprare o affittare casa, ristrutturarla, arredarla di tutto punto; potevamo scegliere per il matrimonio la prima data compatibile con gli obblighi burocratici e gli impegni già assunti. Stabilimmo in linea di massima di sposarci entro il mese successivo, d'invitare solo i genitori e i testimoni. Niente partecipazioni, bomboniere, regali e viaggi di nozze: avremmo però invitato gli amici più cari a casa per  festeggiare l'avvenuto sposalizio, nel weekend successivo a quello della cerimonia. Stabilimmo d'informare genitori, amici e testimoni, solo dieci giorni prima della data delle nozze o più tardi possibile, per evitare di dover subire le inevitabili pressioni e lamentele che quella decisione così radicale poteva suscitare.


Gli amici di papà


Presi a contattare gli amici di mio padre: per telefono o di persona, per identificare chi poteva averne ricevuto le confidenze negli anni che hanno preceduto la sua scomparsa. Le indicazioni erano state unanimi: tra il 95 e il 98, era spesso in compagnia di Giorgio S., un collega di lavoro che frequentava anche fuori dell'ambiente professionale. Provai a chiedere a mia madre se avesse conosciuto e frequentato questo collega di papà: mi confermò di essere a conoscenza di questa intensa frequentazione, ma di averlo visto in maniera alquanto sporadica, in occasioni ufficiali, come le feste aziendali o le cene tra colleghi con le rispettive consorti. Non era mai stato invitato a casa e non aveva la più pallida idea di che fine avesse fatto. Consultai l'ufficio personale dell'azienda per cui aveva lavorato mio padre: m'informarono che Giorgio S. non faceva più parte del personale in servizio; era andato in pensione l'anno precedente. Su mia richiesta mi fornirono i suoi contatti: indirizzo, numero di telefono, i dati della posta elettronica. Andai a trovarlo lo stesso giorno: mi ricevette con molta cordialità, felice di poter conoscere il figlio dell'amico di un tempo. Ripercorse i momenti della frequentazione con mio padre, mi spiegò per quale ragioni, a suo dire, la loro amicizia era diventata così intensa; mi parlò del dolore provato per la sua scomparsa, di come, da allora, non era più riuscito a trovare qualcuno di cui potersi fidare ciecamente. Il suo volto si dipinse d'imbarazzo, quando dopo avergli mostrato le mail di Lidia, gli chiesi se era a conoscenza di quella relazione: mi confermò di averne parlato spesso con mio padre, di avere fatto tutto ciò che era possibile per convincerlo a troncarla, di essere stato felice, quando finalmente mio padre aveva accettato di seguire il suo consiglio. Di Lidia aveva una conoscenza indiretta: non l'aveva mai vista, non ne conosceva l'identità che mio padre da vero gentiluomo non aveva mai svelato per intero. Mi rivelò, però, dove abitava, perché vi aveva accompagnato a volte mio padre, quando era senza auto. Annotai l'indirizzo: finalmente una traccia concreta! Pur non conoscendo il cognome di Lidia, non sarebbe stato difficile accertarlo se era la proprietaria dell'appartamento in cui abitava attraverso i registri del catasto. Ringraziai Giorgio dell'aiuto, prima di congedarmi, promettendogli che lo avrei tenuto informato sullo stato delle mie ricerche.


Alla ricerca di Lidia


Mi recai subito all'indirizzo segnalatomi da Giorgio: il palazzo a tre piani, pur ubicato in un quartiere periferico della città, non mostrava segni d'incuria. Tra i nomi elencati nel citofono non c'era nessuna Lidia; forse, pensai, non abita più qui, oppure si è sposata. Suonai un campanello a caso: a chi mi rispose chiesi informazioni su Lidia, ma senza risultati; abitava solo da qualche anno in quella casa, mi disse senza alcun tentennamento. Ripetei l'operazione con i restanti inquilini del palazzo, senza alcuna fortuna: Lidia sembrava essersi volatilizzata, nessuno la ricordava. Il giorno dopo mi presentai all'ufficio del Catasto: per verificare se qualcuno di nome Lidia fosse stata la proprietaria di un’abitazione situata in quel palazzo di Corso Indipendenza. Un altro fiasco: anche questa volta gli indizi in mio possesso non approdarono a nulla, non mi consentirono d'identificare l'oggetto delle mie indagini. Contattai di nuovo Giorgio, informandolo dello stato delle ricerche e chiedendogli se magari fosse a conoscenza di altri dettagli: ad esempio a quale piano abitava e lo invitai a fare uno sforzo di memoria. Mi spiegò che al momento non ricordava se mio padre gli avesse fornito altri particolari, ma avrebbe fatto il possibile per ricordare ogni dettaglio. Lidia, ricordò di colpo, aveva una figlia che all'epoca non abitava con lei, perché ospite di un istituto religioso, di cui non ricordava il nome, dove frequentava le scuole superiori: tornava a casa solo per le vacanze. Mio padre più volte gli aveva parlato di questa figlia che però, non aveva ancora avuto modo d'incontrare: Lidia non voleva metterla a conoscenza della loro relazione.


I preparativi del matrimonio


I preparativi per il matrimonio procedevano: sbrigati gli adempimenti di legge, si era stabilito di celebrare le nozze il primo sabato di giugno. Mancavano ormai solo dieci giorni all'evento: scelsi e informai i miei testimoni, che approvarono con gioia la mia decisione, rivelai a mia madre la data esatta stabilita per la cerimonia nuziale. Altrettanto fece Erica: chiese a una coppia amica di farle da testimone, andò a trovare la madre per informarla dell'imminente avvenimento. Pur in formato minimalista il matrimonio comportava sempre un certo impegno: bisognava scegliere cosa indossare, il fotografo per immortalare l'evento; pettinatura, trucco della sposa, d'altra parte, non potevano essere lasciati al caso, il giorno delle nozze.  Quali che fossero le nostre idee e le rispettive attese, il giorno della cerimonia nuziale, restava una data da segnare in rosso, nel calendario dell'esistenza. Un giro vorticoso di telefonate servì a informare gli amici della nostra decisione e ad invitarli a casa, per domenica dieci giugno. Tutto nella storia d'amore con Erica sembrava indirizzato verso il felice happy end.


Verso la rottura con Lidia


Mi restava da leggere la penultima mail di Lidia, l'ultima, in cui chiedeva a mio padre di non farsi più sentire, era la prima trovata nel suo personal computer. I contrasti si erano approfonditi, finendo per diventare quasi insanabili; in quelle poche righe non sembrava quasi esserci più traccia della passione che sino ad allora li aveva uniti.

Amore mio

Non sono se posso ancora chiamarti così: da quella triste serata di San Valentino, sembriamo trascinati a fondo da una forza tanto sconosciuta quanto distruttrice. Non ti riconosco e non mi capisco: forse è il tuo nervosismo a farmi strepitare, a costringermi a criticare ogni tuo atteggiamento. Solo l'intesa sessuale, il desiderio che ancora ci coglie, quando smettiamo di litigare, ci ha salvato dalla rottura. Mi rendo conto, però, che non mi basta più: ti voglio solo per me, non riesco più a dividerti con un'altra, impazzisco solo al pensiero che tu possa tra le sue braccia, sussurrarle le stesse parole che mi bisbigli, durante l'amplesso. Non c'è verso di convincerti a lasciare tua moglie: forse è ora che me ne faccia una ragione, che capisca che non sei tu l'uomo che può farmi felice, che può accompagnarmi nei prossimi anni della mia vita. Ancora esito: distaccarmi da te è troppo doloroso; dei tuoi baci, dei tuoi sorrisi, di braccia capaci di stringermi ancora con forza, non posso e non so ancora fare a meno.

Lidia

Cosa è successo, cosa ha convinto Lidia a modificare il suo pensiero, è un mistero che non sarà forse mai chiarito o che, nell'imminenza del matrimonio, non era al centro dei miei ragionamenti.

Il giorno del matrimonio


Giunse il giorno del matrimonio: avevamo deciso con Erica di raggiungere insieme il municipio, una mezz'ora prima dell'inizio della cerimonia prevista per le undici. Saremmo stati raggiunti in loco dal fotografo, dalle due coppie di amici che avevano accettato di farci da testimoni, da mia madre e da quella di Erica. Erica si alzò all'alba per prepararsi all'evento: dopo una colazione veloce, il caffé mattutino, ebbe appena il tempo di fare la doccia prima di essere raggiunta dal parrucchiere per l'acconciatura e dalla truccatrice per il makeup. Non mi volle tra i piedi sino a lavori ultimati: nel frattempo poltrendo a letto, potevo godermi a pieno i raggi luminosi del sole di giugno. Cominciai a prepararmi alla nove in punto, dopo aver fatto colazione con cappuccino cornetto e caffé. Doccia, barba, il rito della vestizione, la cravatta da sistemare è l'operazione più difficile; in genere preferisco vestire casual, camicia, giacca e cravatta, mi fanno venire l'orticaria. Raggiunsi Erica per gli ultimi aggiustamenti: alle dieci eravamo pronti per uscire. Un taxi ci aspettava già da qualche minuto: considerato il numero dei partecipanti alla cerimonia era la soluzione giusta per raggiungere il municipio. Un arrivo in Limousine con tanto di autista, sarebbe stata una nota stonata, avevamo convenuto con Erica nella pianificazione della giornata. Dal taxi stesso provvedemmo a chiamare i testimoni per verificarne la puntualità dell'arrivo e i rispettivi genitori. Rincuorati dalle risposte, attendemmo con calma la fine della corsa del taxi.

La cerimonia


Entrammo cinque minuti prima delle undici nella sala delle cerimonie del municipio: il delegato del sindaco, con la fascia tricolore addosso, ci venne incontro e con fare gentile ci chiese se era tutto pronto per dare inizio al giuramento nuziale. Lo pregammo di aspettare qualche minuto, non avevamo notizie della madre della sposa, che stavamo cercando di contattare, per capire cosa stesse succedendo. Annuì e si allontanò proprio mentre dall'altro capo del telefono Lucia, la madre di Erica, c'informava che a causa di un incidente avvenuto a circa un chilometro del municipio, temeva di non poter presenziare alle nozze. Ci pregare di non aspettarla oltre, di dare ugualmente inizio alla cerimonia. Erica, rabbuiata in volto, dopo averla rimproverata per il vizio di arrivare sempre all'ultimo minuto, convenne che in questo caso, forse, era preferibile non attendere oltre. Poco dopo le undici il delegato del sindaco diede inizio alla lettura dei doveri degli sposi, cui fece seguito, il giuramento, lo scambio delle fedi e un breve discorso augurale. La lettura della formula del giuramento,quel “lo voglio" sussurrato da entrambi con un filo di voce,la fede infilata a fatica nell’anulare, sembravano la sequenza di un film visto tantissime volte, ma che ogni volta è capace di commuovere e far piangere chi lo guarda. La firma sul registro da parte dei testimoni concluse la cerimonia sulle note dell'adagio di Albinoni, da noi preferito alla più famosa marcia nuziale di Mendelssohn. Stavamo ancora scambiandoci gli auguri, quando entrò trafelata la madre di Erica: si avvicinò alla figlia e dopo averla baciata sulle guance e fatto gli auguri di rito, dopo essersi complimentata per l'abito, il makeup e l'acconciatura, si diresse verso di me, per fare altrettanto. Mi sentii tirare per la giacca da mia madre, con un cenno degli occhi mi chiese di parlarmi un attimo in disparte. Aveva di sicuro qualcosa di  urgente da dirmi,  perchè in genere non si comportava così. Ci allontanammo di qualche passo; con un soffio di voce mi rivelò che quella signora che era entrata, la madre di Erica, era la donna che mio padre aveva apostrofato in maniera dura nel giorno di San Valentino del 1996. Le risposi di getto che si stava sbagliando o che ricordava male, prima di dirigermi verso Lucia per salutarla: quel lampo di trionfo che vidi passare nei suoi occhi, però bastò a sconvolgermi, a chiarirmi che no, la memoria non aveva tradito mia madre!


Alla ricerca di spiegazioni


Mi recai in bagno per riordinare le idee e collegare i fatti: poteva essere un caso che Lucia o Lidia come si firmava nelle mail spedite a mio padre, era la madre di Erica? Solo uno scherzo del destino o un piano preparato a tavolino e realizzato con maestria? Nessun incidente aveva causato il ritardo di Lucia: se fosse arrivata in orario, mia madre l'avrebbe riconosciuta prima e non dopo le nozze; davvero abili, madre e figlia, non c'è che dire. Il piano aveva funzionato: Erica ora poteva disporre di ciò che la madre non era riuscita a scippare a mio padre, ossia metà del suo patrimonio. Forse le mail ritrovate le avevano costrette ad accelerare i programmi: ecco la spiegazione dell'improvvisa conversione di Erica alle nozze, la scelta della data più vicina per celebrarle. Possibile che chi aveva condiviso ogni attimo della mia vita negli ultimi anni, lo avesse fatto solo per vendetta o peggio per interesse e ritorsione? Non mi aveva mai amato, aveva solo finto di farlo, era stato solo una docile esecutrice dei piani della madre o nel realizzarli aveva comunque provato amore e passione per me? Lasciai il municipio senza salutare nessuno, fermai il primo taxi, per tornare a casa. Varcata la soglia mi diressi in camera da letto, presi a riempire di vestiti la valigia più capiente, tirai fuori dalla cassaforte a muro tutto il contante che vi era custodito, presi il portatile e il tablet. Chiusi la porta di casa e mi diressi verso il garage: alzata la saracinesca, misi la valigia nel portabagagli  dell'auto, accesi il motore e partii alla volta dell'aeroporto. Avevo bisogno di pensare al da farsi con calma, in una località dove nessuno avrebbe potuto trovarmi e raggiungermi.

Ritorno a casa

Tornai a casa solo due mesi dopo: delegai al legale di fiducia il compito di chiedere la separazione da Erica: dal giorno delle nozze non ci eravamo più sentiti. Anni di felice fidanzamento e pochi minuti di matrimonio: quasi un record da Guinness dei primati!
Aprii la posta arretrata: oltre alle solite bollette, alla pubblicità, trovai una lettera di Lidia o di Lucia.

Caro Paolo

Il sapore della vendetta e' sempre un po' amaro, specialmente se e' indirizzata verso un bersaglio incolpevole, quale tu sei. Ho trascorso gli ultimi anni di vita con un solo obiettivo: quello di ottenere attraverso mia figlia ciò che credevo che mi spettasse. Ho amato tuo padre? Erica ti ha amato? Sono le domande che ti frullano nel cervello e cui io non darò una risposta: se non hai capito in tanti anni di fidanzamento e di convivenza quanto era sincera la tua donna, non saranno certo le mie parole a chiarire i tuoi dubbi. Ho avuto il mio momento di trionfo, l'attimo cui dedicare una vita intera: ora posso uscire di scena. Quando leggerai questa lettera controlla i necrologi dei giornali, recati al cimitero: sulla mia lapide oltre alla mia foto troverai questa frase: "Una vita spesa per ottenere ciò di cui non avevo bisogno e per allontanare chi poteva rendermi felice"

Lidia

Trovai i manifesti listati a lutto nel muro di fianco all'ingresso dell'abitazione in cui si era trasferita Erica. Con le lacrime agli occhi pensai che forse, se non avessi acceso il pc di mio padre, se non avessi cercato chi si nascondeva dietro alla parole d'amore di Lidia, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Non ho bussato alla porta di Erica quel giorno, né credo lo farò mai: ha scelto di assecondare i piani di vendetta della madre, può godersi il denaro di mio padre e il mio e condurre una vita agiata, può innamorarsi, trovare un nuovo marito dopo che avrà divorziato da me, ma non può più avermi. L'amore e' quel vento impetuoso che tutto travolge al suo passaggio, ma che  non può più commuovere i cuori induriti dall'inganno.