mercoledì 24 ottobre 2012

La cena dei miracoli

Passano in tanti da qui: non in visita di cortesia; chiedono consiglio, aiuto, s'informano su come tutelare i propri diritti, difendersi da loschi imprenditori o dalle truffe della new economy. Una vasta platea di umanità dolente, di uomini e donne segnati da esperienze negative. Si contano ormai sulle dita di una mano le visite di braccianti e muratori col viso bruciato dal sole e i calli alle mani, dei proletari di una volta: i miei interlocutori ormai sono solo giovani disillusi, laureati con centodieci e lode, insegnanti precari in lite con lo stato, lavoratori in nero di tutte le razze. La sede di un sindacato e' un ottimo osservatorio per capire come va il mondo o verso quale abisso può condurci il demone dell'avidità. L. si presento' in un pomeriggio d'autunno: aveva poco piu' di vent'anni;  i lunghi capelli biondi, gli occhi verdi, il sorriso timido, lo sguardo spaesato, ne esaltavano la delicata bellezza. Aveva un braccio ingessato, lividi alle gambe che la gonna corta non riusciva a coprire del tutto. Mi parlo' a cuore  aperto, raccontandomi una storia già sentita molte volte: otto ore al ristorante come cameriera, niente contributi versati, straordinari non retribuiti, le avance sempre più audaci del datore di lavoro tra l'indifferenza degli altri colleghi. Poi l'infortunio banale che fa precipitare la situazione: una semplice scivolata, il gomito che sbatte violentemente sul pavimento dinanzi ai clienti distratti, il dolore lancinante, la corsa verso il pronto soccorso più vicino, le radiografie, la telefonata a casa, la corsa trafelata dei genitori, il pianto dirotto di mamma, infine il gesso. Al poliziotto di guardia al pronto soccorso non poté dare una versione di comodo: aveva ancora addosso la divisa del locale, il cliente che l'aveva trasportata aveva già raccontato per sommi capi l'accaduto. Il datore di lavoro si fece vivo solo l'indomani, non per informarsi sulle sue condizioni di salute, ma per comunicarle il licenziamento immediato. Non basto' protestare, minacciare denunce, rivendicare i propri diritti: avevano già provveduto a sostituirla. L'ufficio del Lavoro e la Guardia di Finanza, si erano messi in moto dopo la segnalazione della Polizia: le indagini, pero' furono subito rallentate dall'intervento di deputati di maggioranza e opposizione, da sempre ospiti graditi e non paganti del ristorante. Quella visita era per lei  l'ultima spiaggia, la sola possibilità che ancora le rimaneva di avere giustizia. La congedai quasi subito, non prima pero' di aver segnato nell'agenda il numero di cellulare, l'indirizzo di posta elettronica e quello di casa. Nei giorni successivi pensai al modo migliore di aiutarla: con una causa legale, L. avrebbe ottenuto il risarcimento che le spettava, forse solo qualche mese prima della pensione. Servivano idee e soluzioni inusuali, interventi atipici come i contratti di lavoro più in voga. Preparai un piano: con l'aiuto di tre colleghi ci recammo al ristorante dove lavorava L.; da quattro tavoli diversi potevano avere il controllo di quanto accadeva in sala. Giocammo ai detective: telecamere e microfoni ben nascosti, ma perfettamente funzionanti. Aspettammo che la sala fosse piena: professionisti di grido con  signora in abito lungo al seguito, politici accompagnati da sedicenti figlie e nipoti...giovanissime, giornalisti con registratore e taccuino a portata di mano; il parterre quella sera era di prim'ordine. Finsi un malore, gridai all'avvelenamento, sbraitai tutta la mia rabbia al proprietario minacciandolo denuncia ai carabinieri, esposti in procura, interviste in tv. Si precipitarono giornalisti e politici: chi per testimoniare l'accaduto, chi per insabbiarlo. Il proprietario, pallido in viso prometteva mari e monti a tutti: cene gratis, costose  ceste natalizie, biglietti per lo stadio, buoni da spendere al sexy shop, dvd porno di casalinghe insoddisfatte. I miei colleghi riprendevano tutto di nascosto: le trattative col proprietario lunghe e serrate erano ormai vicine alla fumata bianca. Finsi di accettare le sue proposte: la diagnosi del pronto soccorso fu avvelenamento causato  da cibi avariati, l'agente di servizio verbalizzo', la natura domestica dell'incidente. Il lavoro di assemblaggio dei filmati girati al ristorante richiese qualche giorno: una volta completato, pero', confermo' la bontà dell'idea. I giornalisti e i politici che comparivano nel video non vi facevano una gran figura: venduti e corrotti per un'amatriciana fatta a regola d'arte, una bottiglia di Chianti d'annata, una sveltina gratis con una cameriera compiacente nello sgabuzzino degli stracci.  Spedì i video alla casella di posta elettronica degli interessati, accompagnati da una mail dove ne minacciava la diffusione su  You Tube. Scoppio' il panico: fui subito contattato da avvocati di grido, alti funzionari del sindacato, deputati barricaderi dell'opposizione in pieno assetto di guerriglia. Avanzai una proposta per evitare la diffusione dei filmati: nessuna trattativa, prendere o lasciare. Il giorno dopo L. fu sorpresa da una telefonata del datore di lavoro: pentito del licenziamento, si dichiarava pronto alla riassunzione, con contratto a tempo indeterminato, il versamento dei contributi arretrati,  di diecimila euro come risarcimento per i danni subiti con l'infortunio. Non mi ringrazio', perché non seppe mai, come questo miracolo era potuto accadere. 

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