sabato 20 ottobre 2012

Errori burocratici

Qualcosa non gli tornava. Nessuno dei colleghi già da un po'  si avvicinava alla sua scrivania per scambiare due parole, per commentare il lunedì i risultati del weekend di calcio, per invitarlo a prendere il caffè, per criticare i superiori. Si era accorto da qualche giorno che sul suo conto non gli era stato accreditato lo stipendio, forse per un ritardo nella trasmissione dei dati alla banca da parte dell'ufficio personale o solo per un errore burocratico. Al rientro a casa gli sembrava tutto diverso: la moglie lo accoglieva col sorriso, lo interrogava su come aveva trascorso la giornata, se aveva appetito, sui programmi della serata e dei giorni successivi. Era un piacere poter scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, discutere a tavola degli ultimi flirt di vip, veline e velone, attori e attrici di fiction, visto che la sua meta' non si occupava di politica, di letteratura, di arte o di sport.  Anche a casa, pero', c'era qualcosa che gli sfuggiva: spesso la moglie, dopo cena, invece di sdraiarsi sul divano a guardare la televisione, andava a giocare a carte con le amiche o al cinema con qualche collega di lavoro. Pc, cellulare e televisore erano ormai l'unico contatto con la realtà': anche gli amici su facebook e twitter, pero', da qualche tempo sembravano come eclissati. Cominciava a preoccuparsi: forse era ora di prendere dei provvedimenti, di capire cosa stesse succedendo. Una visita all'ufficio personale era il passo più urgente: senza l'accredito dello stipendio non poteva pagare la rata del mutuo e quella dell'auto, il parrucchiere, il centro benessere, la palestra e il corso di tango alla consorte. Rifiutarono di riceverlo, oppure finsero di non aver udito il suo nome, non e' ancora chiaro: di sicuro, non ebbe alcuna informazione sul mancato accredito delle sue spettanze. Decise di rivolgersi al sindacato: documenti alla mano dimostro'  al funzionario che volle incontrarlo, il diritto a ricevere quanto dovuto per il lavoro svolto. Lesse e approvo'  i toni ultimativi del sollecito, la minaccia dello stato di agitazione, di immediata sospensione degli straordinari, in caso di mancata adesione alle richieste formulate. Fece di piu': richiese via mail un appuntamento all'amministratore delegato, non prima di aver chiesto, tramite l'avvocato di fiducia, il risarcimento danni per il mobbing perpetrato ormai da mesi nei suoi confronti. Informo' la moglie di ogni suo passo, le chiari' che per il mese in corso doveva rinunciare alle cure estetiche, alla palestra, alle cene con le amiche, a ogni spesa superflua. L'avvocato gli comunico' d'aver fissato l'incontro con i vertici dell'azienda per l'inizio della settimana successiva e gli chiese di non recarsi in ufficio sino al chiarimento della vicenda. L'amministratore delegato li ricevette di pomeriggio; già la stretta di mano tradiva un certo imbarazzo. L'esposizione della vicenda dell'avvocato fu concisa ed esauriente; chiari' per sommi capi la vicenda, riepilogo' le richieste, identifico' con precisione i temi oggetti di trattativa. I toni dell'amministratore delegato erano cortesi, con voce calda si sforzava di spiegare la correttezza del suo operato e di quello dei propri collaboratori.  In rapida successione presento' alla controparte importanti documenti: un dispaccio della polizia di stato che informava della scomparsa avvenuta tre mesi prima, in un incidente stradale, del dipendente che aveva di fronte; carte bancarie e previdenziali di pari contenuto e tenore, un certificato di morte presentato dalla consorte per riscuotere la pensione di reversibilità'. Spiego' che tutti in ufficio pensavano che quello che ogni giorno si trovavano davanti in ufficio, fosse un fantasma, solo lo spettro vendicativo dell'impiegato defunto e per questo lo ignoravano. Chiari' che senza una sentenza del tribunale non poteva correre ai ripari o esaudire le loro richieste. Le spiegazioni dell'amministratore delegato non convinsero nessuno: aveva solo approfittato della situazione, per risparmiare su retribuzione, contributi e tasse da versare. Si recarono subito al commissariato per denunciare l'errore, quindi avviarono le pratiche burocratiche necessarie. Al rientro a casa, si trovo' davanti a un'amara sorpresa: la moglie aveva cambiato la serratura. Provo' a suonare: trasecolo' quando apri' la porta un uomo in vestaglia, inorridì, quando vide la moglie svenire, dopo aver pronunciato frasi sconnesse sui fantasmi, imprecato contro la polizia, gli avvocati, gli amministratori delegati. Fece due conti: mancava da casa, appena da qualche ora; ma come era riuscita la sua signora a cambiare la serratura, trovare un amante e proporgli una convivenza? Forse era solo un incubo, al risveglio ne avrebbe riso insieme alla moglie. Gli tornarono in mente le partite a carte con le amiche, i cinema con le colleghe: quell'uomo non era sbucato dal nulla, non era un accompagnatore affittato ad ore. Non doveva esserle sembrato vero: un marito defunto, una pensione da incassare, un amante da poter far venire allo scoperto, in cambio di qualche sceneggiata, di vere performance da attrice affermata. Un atroce sospetto gli passo' per la mente: quando avevano celebrato i funerali, dove era la sua lapide al cimitero? Possibile che non avessero avuto almeno la gentilezza di invitarlo, in modo da poter controllare chi era presente, in quanti lo piangevano, chi, invece, godeva della sua disgrazia. Un'idea si fece largo nella mente: se era defunto non poteva essere ritenuto responsabile di alcun reato. Poteva rapinare banche, non pagare alle prostitute quanto pattuito per le prestazioni, spacciare droga. Si procuro' un'arma, suono' alla porta di casa, sparo' alla moglie che gli venne ad aprire: prima che esalasse l'ultimo respiro, gli chiese quali documenti servivano per incassare la pensione di reversibilità, una volta uscito di prigione. 

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