martedì 16 ottobre 2012

Frontiera chiusa agli evasori: per guerra

Il consiglio dei ministri era riunito da ore in seduta d'emergenza: il momento era grave; servivano nervi saldi, decisioni equilibrate. La situazione era degenerata di colpo, dopo che il governo federale, in osservanza di una delibera dell'Onu, aveva tassato con un'aliquota del quaranta per cento i capitali introdotti illegalmente nella Confederazione. Qualche mugugno era atteso, ma dalla frontiera tedesca e francese, ad esempio, le notizie in arrivo, pur spiacevoli, non destavano alcun allarme. Nulla a che vedere con ciò che le telecamere della tv di stato avevano ripreso alla frontiera italiana: una colonna interminabile di auto di grossa cilindrata, di evasori in attesa di trasferire i capitali in uno dei pochi paradisi fiscali che non avevano ancora obbedito alla delibera delle Nazioni Unite. La relazione del capo dei servizi d'intelligence lascio' molti di stucco; i ministri del governo si guardarono stupiti quando appresero che che tra la folla vociante dei contestatori erano stati riconosciuti il presidente del consiglio italiano in carica, tre suoi predecessori, un'ampia rappresentanza di ministri e sottosegretari, compresi quelli dell'economia, il capo delle Forze armate e di tutte le armi di polizia, la maggioranza dei parlamentari della repubblica. L'intervento del ministro della Difesa non servi' a ridurre la tensione: per difendere i confini dello Stato e garantire ai cittadini l'intangibilità dei risparmi, non bastava utilizzare i nuclei antisommossa della polizia, ma era necessario l'intervento dell'esercito, preceduto dalla consegna della dichiarazione di guerra ai rappresentanti della nazione italiana. Non tutti furono d'accordo con la dichiarazione del ministro della Difesa: la massa di evasori che premeva alle frontiere, per quanto istituzionalmente prestigiosa, sostennero alcuni ministri, era disarmata, non rappresentava un pericolo per l'unità territoriale della Confederazione. Un nuovo aggiornamento dei servizi d'intelligence getto' tutti nello sconforto: tra gli evasori erano stati riconosciuti i capi latitanti di mafia, camorra e ndrangheta, armati di tutto punto, difesi a vista da decine di guardie del corpo e da agenti in borghese appositamente assegnati dal capo della polizia. In un lancio d'agenzia dell'Ats, si dava notizia di scontri tra le guardie di confine e la frangia più estremista e violenta degli evasori. Arrivarono presto informazioni più dettagliate sugli scontri: la situazione era precipitata dopo la morte del ministro degli Esteri italiano. Tocco' al capo del governo stendere la dichiarazione di guerra dopo averne fatto votare a maggioranza l'adozione: al momento del voto avevano lasciato la seduta, i rappresentanti del governo provenienti dal Canton Ticino. Fu convocato l'ambasciatore a Roma: la dichiarazione di guerra andava consegnata al Capo dello Stato Italiano, al Capo del governo e in via informale al Governatore della Banca d'Italia e al capo di Cosa Nostra. Dopo quasi mezzo millennio, la Svizzera era in Guerra.  Furono subito richiamate le guardie del Papa, il Capo delle Forze Armate fu inviato negli Stati Uniti per un corso di aggiornamento intensivo, al suo vice, invece, tocco' andare sino in Iraq, per informarsi sulle moderne tecniche di guerriglia. Furono ordinate armi all'avanguardia: bombardieri invisibili, aerei da combattimento ultra veloci, missili terra aria intelligenti, mezzi corazzati imperforabili, balestre di ultima generazione. Furono richiamati alle armi i riservisti e gli uomini tra i diciotto e i cinquant'anni: fu necessario, pero', l'aiuto di molti mercenari, per completare l'organico. Non mancarono i tentativi di mediazione per fermare il conflitto: il Segretario di Stato del Vaticano propose un piano in cinque punti, con al centro il dimezzamento dell'aliquota da applicare, in cambio di una rinuncia degli evasori al trasferimento dei capitali e di un trattamento di favore per i beni ecclesiastici depositati nelle banche svizzere. Più radicale la proposta di mediazione dell'Iran, basata sull'interposizione di una forza internazionale a guida araba al confine dei due stati, sull'avvio di trattative immediate per una soluzione diplomatica della crisi, sul deposito presso la Banca Nazionale dell'Iran dei capitali oggetti dello scontro. Non bastarono appelli d'intellettuali, mozioni di parlamenti, preghiere di folle di fedeli, denunce di Capi di stato e di bastone a fermare il sordo rullare di tamburi. Fu l'esercito italiano a fare la prima mossa: una manovra a tenaglia concordata con le forze armate di Austria, Francia e Germania, un piano partorito dalle menti più brillanti dei generali d'oltralpe. Alla Confederazione, circondata da ogni frontiera non resto' che la mossa della disperazione: la corruzione del nemico, l'offerta di denaro e altre utilità ai generali dell'esercito avverso. Mai soluzione fu più astuta e dispendiosa: una schiera di intransigenti parlamentari, d'integerrimi ministri, di patrioti senza macchia e paura, si promise al nemico in cambio di fiumi di denaro, appartamenti in centro, favori sessuali di varia natura, promesse di futuri appoggi, di sconti speciali sull'esportazione illegale di capitali.  Basto' a far tacere i cannoni, a far rientrare i bombardieri, a mettere il silenziatore  al rumore dei cingolati, all'avanzata di eserciti e fanti. Qualcuno si scordo' di fermare balestre ed arcieri: la strage di corrotti fu ampia e sanguinosa, ma non definitiva. Purtroppo. 

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