venerdì 28 dicembre 2012

Cinque piccoli indiani in viaggio



Alle cinque di mattina dell’Epifania, cinque piccoli indiani con la valigia in mano, in fila per uno, in marcia verso la stazione. La pioggia sottile intristisce il paesaggio; mamma saluta dal balcone, ha già ago, filo e forbici vicini alla macchina da cucire. Ricordo quanto era diversa l’atmosfera del viaggio d’andata: spensierata, ilare, sbarazzina. Riepilogo nella mente il da farsi: una volta raggiunta la fermata dell’autobus, c’è il “2” che può trasportarci diritti in stazione. Due biglietti solo andata per Taormina e due per Messina, più il mio, di andata e ritorno. Dopo aver accompagnato in collegio i quattro piccoli indiani, domani prenderò l’autobus che mi porta ad Acireale, il luogo della mia reclusione. E’ già qualche anno che ho questo compito: lascio il collegio con un giorno di anticipo per recuperare i miei fratelli in giro per la Sicilia e vi faccio ritorno con qualche giorno di ritardo, dopo averli riportati a destinazione. Ogni volta mi tocca discutere col controllore dei biglietti: forse non ha torto, quando sostiene che è un rischio mandare in giro da soli cinque ragazzi così piccoli. Fortuna è che è sempre filato tutto liscio: i nostri viaggi in ogni occasione sono stati protetti da una buona stella. Qualche anno prima, invece, quando viaggiavamo con mamma, ricordo che ci toccò tornare a Catania dopo mezzanotte, a causa di un guasto al treno. A quell’ora non vi erano più mezzi pubblici in servizio per rientrare a casa: dovemmo spendere una cifra per prendere una carrozza. Nel silenzio della notte, gli zoccoli del cavallo sull’acciottolato di via Etnea e le nostre grida d’incoraggiamento, erano come le note di un’allegra canzone, di un inno alla fantasia e alla gioia. Qualche anno prima, invece, avevamo accettato per il giorno di Pasqua l’invito a pranzo della madrina di Natalia la più piccola delle sorelle, a Giardini Naxos: dopo l’abbuffata di rito, a qualcuno venne la stramba idea di andare a vedere la festa degli “spampanati” a Messina. Il nostro mezzo di trasporto era un “Ape”, il numero dei passeggeri, conducente escluso, era di una dozzina. Durante il viaggio, però, da un'automobile che ci precedeva, volarono via dei biglietti da mille lire: il guidatore frenò subito, grandi e piccini ci precipitammo a raccogliere il denaro e a dividercelo. Il raccolto, con gran gioia di tutti, fu superiore alle trentamila lire: molti furono spesi in dolci, lo stomaco al ritorno a casa, ancora borbottava per gli straordinari. Torniamo al giorno dell’Epifania del 1970: il treno per Messina è alle sette, l’arrivo a Giardini Naxos, prima tappa del viaggio è previsto per le otto della mattina. Il Collegio di Natalia non è distante dalla stazione, bastano cinque minuti per raggiungerlo a piedi. Dopo, però, bisogna spostarsi a Taormina per accompagnare Salve: se il meteo lo permette, possiamo prendere una scorciatoia che ci consente di arrivare a destinazione in venti minuti. In caso contrario, dobbiamo aspettare l’autobus di linea. Tornati in stazione dopo aver accompagnato Salve in collegio, prendiamo il primo treno per Messina: è il turno di Massimo ed Erminio. Un’ora dopo circa, si può completare l’opera: sono l’ultimo indiano ancora libero, anche se con le lacrime agli occhi. Il rientro a casa è previsto per le diciassette, dodici ore dopo la partenza: anche a tredici anni si può essere stanchi, dopo una giornata tanto convulsa. A volte i miei figli mi chiedono perché non amo viaggiare: se avranno la bontà di leggermi, potranno capire che ai miei occhi, l’idea del viaggio è associata a quella del distacco dagli affetti, dell’addio a chi si vuol bene.

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