Alle cinque di mattina dell’Epifania, cinque piccoli indiani con la
valigia in mano, in fila per uno, in marcia verso la stazione. La pioggia
sottile intristisce il paesaggio; mamma saluta dal balcone, ha già ago, filo e
forbici vicini alla macchina da cucire. Ricordo quanto era diversa l’atmosfera
del viaggio d’andata: spensierata, ilare, sbarazzina. Riepilogo nella mente il
da farsi: una volta raggiunta la fermata dell’autobus, c’è il “2” che può trasportarci diritti
in stazione. Due biglietti solo andata per Taormina e due per Messina, più il
mio, di andata e ritorno. Dopo aver accompagnato in collegio i quattro piccoli
indiani, domani prenderò l’autobus che mi porta ad Acireale, il luogo della mia
reclusione. E’ già qualche anno che ho questo compito: lascio il collegio con
un giorno di anticipo per recuperare i miei fratelli in giro per la Sicilia e vi faccio
ritorno con qualche giorno di ritardo, dopo averli riportati a destinazione. Ogni
volta mi tocca discutere col controllore dei biglietti: forse non ha torto,
quando sostiene che è un rischio mandare in giro da soli cinque ragazzi così
piccoli. Fortuna è che è sempre filato tutto liscio: i nostri viaggi in ogni
occasione sono stati protetti da una buona stella. Qualche anno prima, invece,
quando viaggiavamo con mamma, ricordo che ci toccò tornare a Catania dopo
mezzanotte, a causa di un guasto al treno. A quell’ora non vi erano più mezzi
pubblici in servizio per rientrare a casa: dovemmo spendere una cifra per prendere
una carrozza. Nel silenzio della notte, gli zoccoli del cavallo
sull’acciottolato di via Etnea e le nostre grida d’incoraggiamento, erano come
le note di un’allegra canzone, di un inno alla fantasia e alla gioia. Qualche
anno prima, invece, avevamo accettato per il giorno di Pasqua l’invito a pranzo
della madrina di Natalia la più piccola delle sorelle, a Giardini Naxos: dopo l’abbuffata di
rito, a qualcuno venne la stramba idea di andare a vedere la festa degli
“spampanati” a Messina. Il nostro mezzo di trasporto era un “Ape”, il numero
dei passeggeri, conducente escluso, era di una dozzina. Durante il viaggio,
però, da un'automobile che ci precedeva, volarono via dei biglietti da mille
lire: il guidatore frenò subito, grandi e piccini ci precipitammo a raccogliere
il denaro e a dividercelo. Il raccolto, con gran gioia di tutti, fu superiore
alle trentamila lire: molti furono spesi in dolci, lo stomaco al ritorno a
casa, ancora borbottava per gli straordinari. Torniamo al giorno dell’Epifania
del 1970: il treno per Messina è alle sette, l’arrivo a Giardini Naxos, prima
tappa del viaggio è previsto per le otto della mattina. Il Collegio di Natalia
non è distante dalla stazione, bastano cinque minuti per raggiungerlo a piedi.
Dopo, però, bisogna spostarsi a Taormina per accompagnare Salve: se il meteo lo
permette, possiamo prendere una scorciatoia che ci consente di arrivare a
destinazione in venti minuti. In caso contrario, dobbiamo aspettare l’autobus
di linea. Tornati in stazione dopo aver accompagnato Salve in collegio, prendiamo
il primo treno per Messina: è il turno di Massimo ed Erminio. Un’ora dopo
circa, si può completare l’opera: sono l’ultimo indiano ancora libero, anche se
con le lacrime agli occhi. Il rientro a casa è previsto per le diciassette,
dodici ore dopo la partenza: anche a tredici anni si può essere stanchi, dopo
una giornata tanto convulsa. A volte i miei figli mi chiedono perché non amo
viaggiare: se avranno la bontà di leggermi, potranno capire che ai miei occhi,
l’idea del viaggio è associata a quella del distacco dagli affetti, dell’addio
a chi si vuol bene.
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